Antifragilità: intervista a Giuseppe Vercelli
Giuseppe Vercelli ci parla di antifragilità, la capacità di far tesoro delle difficoltà, nell’ambito sia personale che organizzativo.
N. Botti. Professore, che cos’è l’antifragilità?
G. Vercelli. È molto utile definire l’antifragilità come qualcosa che appartiene a tutti noi e che ha a che fare con la dimensione naturalistica. Possiamo definirla come uno stato mentale, o una posizione esistenziale, che si attiva quando nel nostro cammino verso il raggiungimento di un obiettivo incontriamo volatilità, un’incertezza o un rischio o un ostacolo, e la nostra mente attiva tutte le risorse che ci permettono di usare quell’imprevisto a nostro vantaggio. All’interno di ognuno di noi, il motore propulsivo dell’antifragilità è l’emozione, e in particolare l’emozione di sorpresa e curiosità. In sintesi, l’antifragilità ci permette di trasformare un limite in un’opportunità.
B. Cosa significa essere antifragili e come sono le persone e le organizzazioni antifragili?
V. La persona antifragile mi piace definirla come un’avventuriera, qualcuno che ama il rischio in modo intrinseco. È l’esatto opposto della cosiddetta persona “comoda o realizzata”. Forse, in modo più poetico, si può dire che l’antifragile come individuo è colui che ha il senso della sfida che deve ancora realizzarsi e che non vive il passato come l’unico momento in cui ha realizzato qualcosa di importante. Una persona così, in questa posizione evolutiva, sa perfettamente che il rischio più grande è quello di non rischiare. Per quanto riguarda invece l’organizzazione antifragile, essa è un sistema consapevole che domani è il primo giorno del resto della sua esistenza e della sua evoluzione. È quindi un’organizzazione che non si basa su piani di azione intesi in senso classico, ma che sviluppa le risorse umane attivando tutte le risorse di tipo transpersonale e allontanando coloro che rendono poco. Allontana, per esempio, coloro che si adattano troppo o che tendono a compiacere, sapendo che adattamento e compiacenza sono nemici del raggiungimento del prossimo obiettivo. L’organizzazione antifragile è assai evoluta e sa che tutto ciò che oggi viene definito come realtà, domani non sarà altro che una bellissima, o una tremenda, illusione.
B. Si nasce antifragili o lo si può diventare?
V. Dentro ognuno di noi ci sono i semi dell’antifragilità. Questi semi hanno iniziato a germogliare quando da bambini, forse una delle prime volte che abbiamo cominciato a gattonare, ci siamo ritrovati nella stanza accanto, superando tutti gli imprevisti e gli ostacoli incontrati dalla nostra posizione iniziale a quella finale. Ognuno di noi raggiunge la stanza accanto per curiosità: è insito nella nostra natura. Peccato che poi le istituzioni, l’educazione e le limitazioni in generale facciano perdere alla maggior parte di noi questa caratteristica, tant’è vero che con il tempo dobbiamo recuperarla, ritornare a quel momento e quindi, magari non più gattonando ma camminando o correndo nella nostra vita, riallenare una qualità che di fatto era nata con noi. In definitiva, sicuramente si nasce antifragili, ma per fortuna oggi sappiamo anche che questa capacità la si può allenare o riallenare.
B. E allora, com’è che possiamo allenare l’antifragilità?
V. Ripartendo dal richiamo verso l’avventura, quindi riattivando quella curiosità che dopo ci permette di avviare uno stato mentale diverso. Per allenare l’antifragilità possiamo considerare 3 passaggi fondamentali. Il primo è proprio il recupero di questa dimensione perduta, quella dell’avventuriero. Il secondo è il riconoscimento delle nostre personali modalità utilizzate nel superamento degli ostacoli e delle sfide nei tempo moderni, quindi da adulti. Il terzo è infine il potenziamento dei fattori che compongono l’antifragilità e che tramite il test sull’antifragilità (AFQ) sono stati sviluppati e riconosciuti. Potremmo dire che per allenare l’antifragilità dobbiamo passare dalla finzione alla realizzazione, dal pensiero all’azione.
B. In quali ambiti possiamo utilizzare tale competenza?
Sicuramente in ogni ambito in cui c’è una sfida in atto, dato che l’antifragilità è strettamente connessa con la nostra evoluzione. Quindi negli affetti, nell’educazione dei figli, nella politica, in economia. Il concetto di antifragilità è molto utile in particolare nel management e per i responsabili di risorse umane che vogliono sviluppare l’organizzazione in questa direzione. Chi agisce in modo antifragile deve conoscere assai bene sé stesso, quindi deve aver sconfitto i propri limiti interni per poter estendere verso l’esterno l’atteggiamento di cui parliamo. L’antifragilità è fondamentale soprattutto quando ci troviamo di fronte a piccoli o grandi “cigni neri”, cioè piccoli o grandi eventi imprevisti che possono cambiare l’esito del futuro che ci eravamo immaginati. C’è una cosa importante da evidenziare: non si può fare gli antifragili, si può solamente essere antifragili. Tale costrutto può essere molto utile al manager del futuro.
B. Come si è evoluto il concetto di antifragilità e come sta evolvendo?
V. Intanto possiamo dire che sta certamente evolvendo rispetto alla visione iniziale del pensatore Nassim Nicholas Taleb, del 2012. Questo concetto ha suscitato grande interesse fin da subito e si è iniziato a studiarlo e applicarlo. Oggi però ci troviamo di fronte a una versione di antifragilità che potremmo chiamare “2.0” per 3 motivi fondamentali. Il primo motivo è che adesso sappiamo quali sono i fattori che compongono l’antifragilità, cioè i 4 contenuti fondamentali del test AFQ: adattamento proattivo, evoluzione agonistica, agilità emotiva e distruttività consapevole. Poi sappiamo come misurare l’antifragilità: il possesso di detta capacità può essere identificato su un livello che è indubbiamente diverso per persone, situazioni e organizzazioni. Il terzo motivo è che sappiamo come allenarla sia nella sua globalità sia nei fattori specifici che possono dare un vantaggio perché magari sono quelli più carenti.
B. Quali sono gli ambiti in cui tutti noi dovremmo essere maggiormente antifragili?
V. Questa risposta potrebbe essere molto semplice: potremmo dire nella vita! Ovunque sia necessaria un’evoluzione, questa capacità naturalistica è fondamentale. Lo sguardo del leader che ci conduce verso nuove prospettive, o dell’avventuriero che sa rischiare nel modo giusto, dovrebbe essere sempre rivolto al futuro, ma dovrebbe anche originare da quella stanza che noi come bambini abbiamo esplorato per la prima volta gattonando. Poi siamo saliti sulla sedia che ci ha portati a curiosare sul ripiano del mobile, magari ci siamo fatti male, ci siamo sbucciati le ginocchia, ma è proprio il ricordo di quella prima esperienza dolorosa che ancora oggi ci permette di andare a curiosare su ripiani o su livelli più alti, giacché sappiamo che solo in quel modo si può vivere veramente.
B. Un’ultima domanda, chiedendole qualche suggerimento: da dove dobbiamo iniziare per essere antifragili?
V. Rispondo dando 3 consigli, che sono tre passi verso l’antifragilità che ognuno di noi può fare fin da subito. Il primo è cambiare il nome agli ostacoli, a certi blocchi, ossia togliere i pregiudizi che abbiamo rispetto a certe situazioni. Il secondo lo riferisco al nostro atteggiamento emotivo nei confronti di un fatto: non possiamo sapere immediatamente se quel fatto sarà positivo o negativo, sarà solo il tempo a dirci come lo avremo utilizzato. Il terzo suggerimento è ricordarci che, forse, il rischio più grande che possiamo correre è quello di non rischiare.
GIUSEPPE VERCELLI, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia dello sport all’Università di Torino. È autore di numerose pubblicazioni divulgative e scientifiche, tra cui Vincere con la mente (Ponte alle Grazie).
NICOLETTA BOTTI è Head of Client Solutions di Giunti Psychometrics.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
G. Vercelli, C. Gambarino, A. Sacco, A. Maglietto, AFQ – Anti-Fragile Questionnaire. Manuale, Giunti Psychometrics, Firenze, 2020.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui