Autostima, autoinganni e pie illusioni
Talvolta lottare per diventare chi vogliamo cede il passo al fingersi chi non siamo. Una menzogna per convincere noi stessi, oltre agli altri.
Pochi sono i termini, all’interno della moderna psicologia, così frequentemente usati quanto quello di “autostima”; troppo spesso tale costrutto, indicante una conquista da realizzare attraverso la concreta esperienza, fatta di sudore, lacrime e sangue, viene considerato una condicio sine qua non delle prestazioni personali e persino della felicità. Questo evidente rovesciamento del naturale processo di acquisizione di fiducia nelle proprie risorse personali rende l’autostima una qualità non frutto di esperienze di successo, ma di ciò che dovrebbe produrle; pertanto vengono proposte “promettenti” metodiche per costruire l’autostima, dai training di assertività comportamentale a workshop e percorsi condotti da motivatori, all’ormai onnipresente mindfulness, fino al sottoporsi a massacranti prove di sopravvivenza o ultramaratone, il tutto per imparare a credere in sé stessi.
Nella società moderna, dove tutto è accelerato, spesso ci si dimentica che ci sono cose che, per essere realizzate, richiedono tempi prolungati e reiterato esercizio sotto la guida di veri esperti. Il cambiamento, anche il più difficile da realizzare, può essere ottenuto in tempi rapidi se, con precisione, si sa premere sulle leve giuste. Anche il palazzo più imponente può essere fatto crollare rapidamente, se minato nel punto giusto; ma per costruirlo, sebbene la tecnologia sia così avanzata, sono necessari tempi prolungati. Gli apprendimenti evoluti e le acquisizioni di fiducia in queste competenze personali richiedono sacrifici ripetuti, successi reiterati, non esistono scorciatoie ma solo promesse illusorie. Si può essere anche la persona più talentuosa, ma, se non si coltiva il “dono” ricevuto, esso o non si attiva per nulla o si attiva solo episodicamente e casualmente, dato che pure il talento, per divenire capacità deliberatamente espressa, necessita di essere esercitato e sperimentato in maniera prolungata. Per perfezionarlo, poi, sono richiesti ancora più lavoro e spesso l’aiuto di un buon “maestro”.
Nonostante tutto ciò, a contribuire, più delle ingannevoli profezie proposte del “guru” di turno, a costruirsi la pia illusione di essere “grandi” ed “eccezionali” nella moderna società liquida si osserva sempre più il fenomeno dell’autoinganno del vanaglorioso, come lo definirebbe Dante, ovvero il fatto che sempre più persone esibiscono virtù che non hanno e delle quali vogliono convincere gli altri per convincere sé stesse.
Questa dinamica comunicativa, da noi dettagliatamente descritta in L’arte di mentire a se stessi e agli altri (2014), è osservata da sempre ma negli ultimi decenni è divenuta una sorta di pandemia, grazie anche al fatto che la comunicazione digitale la facilita; e non è un caso che il fenomeno delle cosiddette fake news, cioè false notizie, sia divenuto così pervasivo. Il soggetto inizia con il raccontare una menzogna, allo scopo di elevarsi nei confronti degli altri; se questa viene creduta, la sua autostima ne verrà rafforzata, per ciò egli la ribadirà in una escalation per la quale più convince gli altri, del suo essere ciò che non è e di aver fatto ciò che non è mai stato in grado di fare, e più finisce per crederci anche lui, trasformando la propria menzogna in una “verità”.
L’autostima è sorretta da un autoinganno divenuto realtà creduta, la pia illusione si è concretizzata. Il problema, tuttavia, verrà facilmente a galla quando il soggetto si troverà messo effettivamente alla prova delle sue declamate virtù e la maschera dell’eroico protagonista lascerà il passo allo svergognamento totale. Per evitare ciò, questi finti eroi, il più delle volte, eludono le prove dei fatti, come nel caso delle “ghost identity” presenti nei social, ove il soggetto è costretto a evitare di incontrare dal vivo le persone con le quali ha creato una virtuale intimità fondata in buona parte su bugie.
Ma c’è anche chi ha costruito carriere di successo mediante il presentarsi come colui che non è mai stato e talvolta, nell’esserne convinto così bene, svolge egregiamente il ruolo raggiunto mediante la menzogna: si pensi ai numerosi finti medici molto apprezzati dai loro inconsapevoli pazienti o agli accademici che hanno completamente plagiato opere altrui per ottenere la cattedra, non di rado stimati sia da studenti che da colleghi. In questi casi l’autoinganno è divenuto funzionale. Al riguardo si deve notare che a livello di pubblicazioni scientifiche e professionali è divenuto uno sport internazionale molto praticato non citare correttamente le fonti e attribuirsi meriti non propri; purtroppo, per un falsario svelato, numerosi sono quelli che rimangono impuniti e ciò sospinge al comportamento truffaldino.
Tutto questo indica come l’autostima espressa e osservabile in un soggetto non corrisponda necessariamente alle sue reali doti e capacità. Perciò credere anche illusoriamente in sé stessi può condurre a incrementare le proprie abilità ma non ad essere ciò che vorremmo ma non possiamo essere, sebbene di questo possiamo ingannare tanto gli altri quanto noi stessi. Pertanto ritengo che si debba imparare a diffidare di chi esibisce costantemente le proprie virtù e i propri atti eroici. Nella mia personale esperienza ho avuto la fortuna di incontrare, conoscere e spesso collaborare con grandi personalità; avevano tutte in comune una caratteristica: l’umiltà. Anche perché, come insegna l’antica saggezza, «Chi si esibisce non brilla».
Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua creatività che per il suo rigore metodologico.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui