di: Paola A. Sacchetti
Bambini e ragazzi nella pandemia
Da poco pubblicato, il Report del Centro di Ricerca UNICEF Innocenti Vite a colori propone una fotografia vivida di come un gruppo di adolescenti italiani ha vissuto l’arrivo, le limitazioni, le difficoltà e la successiva convivenza forzata con il Covid-19. Attraverso le loro parole si riesce a entrare nelle loro vite, a scorgerne i timori e le incertezze, a percepirne la forza e il coraggio, la voglia di rimettersi in gioco e di affrontare la vita e le sfide che continuerà a dare loro. Ne emerge uno spaccato molto realistico e vibrante, che ogni adulto che si occupi di bambini e ragazzi dovrebbe conoscere per cercare di comprendere meglio come questa pandemia, che ha cambiato tutte le nostre vite, abbia radicalmente modificato la traiettoria delle loro, consentendoci di imparare «cosa vuol dire essere adolescenti in Italia durante questo particolare, se non unico, periodo storico».
Nel Report viene utilizzata la metafora del surf, che diventa la cornice in cui raccontare come bambini e ragazzi hanno vissuto e stanno vivendo la pandemia: il Covid-19 è un’onda anomala che produce uno tsunami e gli adolescenti sono degli apprendisti surfisti, che usano una tavola da surf fatta di relazioni e rete sociale. Ce le potete illustrare?
Le relazioni e la rete sociale che costituiscono la tavola da surf di ognuno dei partecipanti sono multiple. Le persone con cui vivono – genitori, fratelli e sorelle, ma anche nonni in alcuni casi, o coinquilini ed educatori nelle strutture di accoglienza per Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) – sono parte fondamentale della tavola. Gli amici, soprattutto quelli più intimi, e gli adulti di riferimento, insegnanti ed educatori compresi, ne rafforzano ulteriormente la solidità.
La tavola è indispensabile per imparare a surfare (a vivere, secondo la nostra metafora). Lo è ancora di più nel momento in cui si verifica uno tsunami. Anche chi non sa surfare, aggrappandosi alla tavola, può rimanere a galla. Più la tavola è solida, fatta di materiale di qualità, più possibilità ci sono che resista all’onda anomala di Covid-19. La pandemia, da un lato, ha messo a dura prova la tavola e ne ha evidenziato le eventuali fragilità, dall’altro, è stata un’opportunità per i partecipanti alla ricerca per rendersi conto dell’importanza della tavola stessa.
Il lockdown nazionale iniziato a marzo 2020 è stato definito da molti come un momento in cui i rapporti con la propria famiglia si sono rafforzarti perché si è avuto il tempo di conoscersi meglio, nei propri pregi e difetti. Questo percorso non è stato semplice per tutti. Per i partecipanti appartenenti alla comunità LGBTQI+ la continua vicinanza ai propri genitori, non sempre consci della loro identità di genere, è stata a volte faticosa; lo stesso è valso per chi abita in ambienti molto piccoli o esperisce conflitti familiari.
Anche le relazioni con gli amici sono state messe alla prova da questo periodo e quelle che sono sopravvissute hanno acquisito lo status di “vere amicizie”. I nonni sono mancati moltissimo a parecchi dei ragazzi, così come le figure dei tutori volontari ad alcuni degli MSNA, evidenziando quanto questi tipi di relazione siano parte integrante della tavola da surf. Grazie alle interazioni online, tuttavia, bambini e ragazzi sono riusciti a sentire vicini quei “pezzi di tavola da surf” con cui non potevano vedersi affatto o non più nelle modalità pre-pandemia.
La scuola, in quanto spazio sociale, è la parte della tavola maggiormente sgretolata dall’onda anomala di Covid-19. Nel Rapporto sottolineiamo quanto i partecipanti soffrano del fatto che la scuola, sia in DAD che in presenza, non sia più quella pre-pandemia. Si sentono lontani dai loro insegnanti e dai loro compagni perché tutti gli spazi di socializzazione e scambio che la scuola offre (i bagni, i corridoi, le palestre, la parte antistante l’ingresso ecc.) sono assenti (in DAD) o completamente cambiati nelle modalità di interazione (in presenza).
Che cosa è emerso dall’indagine? Quali sono gli elementi più significativi a cui prestare attenzione?
Il Rapporto mette in luce che l’esperienza della pandemia è un’esperienza traumatica per i partecipanti e che un fattore protettivo durante il periodo interessato dalla ricerca (marzo 2020-giugno 2021) è stato costituito dal tempo libero. Avere più tempo per sé stessi, per coltivare alcuni hobby e per esplorarne di nuovi, per pensare, creare e, durante il primo lockdown, aver avuto l’opportunità di trascorrere tempo con i propri genitori (generalmente molto occupati) sono elementi chiave che hanno aiutato bambini e ragazzi. È quindi importante preservarli, anzi, far sì che gli adolescenti possano avere più tempo a disposizione per sé e in famiglia.
L’analisi sottolinea anche i leitmotiv che uniscono i partecipanti e che donano loro un’identità comune, nella quale riconoscersi o essere riconosciuti. È un’identità fatta di esperienze condivise molto forti legate alla pandemia, che probabilmente rimarranno con loro e nelle quali si riconosceranno anche da adulti. Il quadro è quello di un gruppo di giovani che sente di aver sacrificato tanto del proprio, di vivere un’adolescenza anomala, e che questo sacrificio non venga riconosciuto appieno dagli adulti. Si tratta di un gruppo generalmente preoccupato per la propria salute mentale e capacità relazionale, soprattutto a fronte della pandemia. Al di là di questa, si vede un gruppo che si rispecchia nella sua varietà, etnica e di genere, considerandola un valore aggiunto. Tutti questi sono elementi fondamentali ai quali prestare attenzione per imparare a conoscere questa generazione di bambini e ragazzi.
Inoltre, Vite a Colori pone l’accento sul fatto che la pandemia rischi di amplificare diseguaglianze esistenti e crearne di nuove. Il Covid-19 costringe a mischiarsi meno con gli altri, quindi tende a segregare. Gli MSNA hanno passato più tempo tra loro, limitando i contatti col mondo al di fuori della comunità. Coloro che si identificano come LGBTQI+ sono rimasti più a lungo nella loro bolla di amici, chi li capiscono e rispettano. Bambini e ragazzi con background socioeconomico svantaggiato non hanno ricevuto l’usuale supporto dai loro pari a scuola, in luoghi pubblici o in contesti associativi, e non hanno potuto mescolarsi con coetanei e confrontarsi con persone di background diverso. Tutte le azioni programmate a livello legislativo, politico, economico e sociale necessitano di un approccio che non sia soltanto inclusivo, ma che miri altresì a sradicare quelle barriere che, in maniera sistemica, impediscono a determinati gruppi di adolescenti di fruire al meglio e come tutti gli altri dei loro diritti.
Dal Report emerge un ritratto di giovani che hanno imparato a guardarsi dentro con onestà e hanno sviluppato consapevolezza e coraggio, si rileva inoltre forte il bisogno di essere visti e ascoltati, di essere riconosciuti adeguatamente e in modo corretto, di essere supportati nelle loro esigenze di costruzione di un futuro che pare non facilmente immaginabile e di essere aiutati nelle paure e difficoltà che percepiscono. Dai dati raccolti rilevate uno schema ricorrente che può essere interpretato secondo la “teoria della crescita post-traumatica”: di che cosa si tratta?
Il modello di crescita post-traumatica teorizzato da Tedeschi e Calhoun (Posttraumatic growth: conceptual foundations and empirical evidence. Psychological Inquiry, 15/1, 1-18, 2004) fa riferimento al cambiamento positivo che un individuo esperisce a seguito della lotta mirata al superamento di circostanze di vita impegnative e sfidanti, di un trauma, di una crisi. Secondo gli autori, si manifesta in una varietà di modi, principalmente in: riconoscimento di nuove possibilità (nuovi interessi, nuove passioni, nuovi percorsi di vita); cambiamento nel modo in cui ci si relaziona con gli altri; percezione aumentata delle proprie risorse interiori (aumento dell’autostima e della propria forza d’animo); apprezzamento per le cose importanti della vita, le piccole cose; cambiamento spirituale dovuto al confronto con dubbi esistenziali e nuovi significati dell’esistenza. È opportuno sottolineare che questo processo di crescita non si innesca al verificarsi di un evento traumatico, ma solo quando esso sconvolge le proprie credenze nei confronti del mondo e della propria vita.
Alcuni autori utilizzano questo modello per interpretare le conseguenze psicologiche di traumi collettivi dovuti a disastri ambientali o di altro genere, incluse quindi le pandemie, sugli individui. Il modello ha permesso di ben interpretare anche i risultati della nostra ricerca, rilevati a oltre un anno dalla dichiarazione di pandemia globale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
La pandemia come trauma individuale e collettivo ha portato i partecipanti alla nostra ricerca all’acquisizione di nuove capacità e competenze, quali il riconoscimento di nuove possibilità, il cambiamento nelle relazioni con gli altri, la percezione acuita delle proprie risorse interiori e l’apprezzamento delle “piccole cose” della vita. Ovviamente, questo non avviene per tutti allo stesso modo, ma emerge come schema ricorrente nei dati. I ragazzi intervistati non subiscono il periodo di pandemia come vittime vulnerabili, ma reagiscono, “rinegoziano”, si “riorientano” e spesso si scoprono forti e cambiati. Cogliamo in modo molto incisivo nelle loro parole una visione della pandemia come opportunità di trasformazione e miglioramento.
Come bilanciare rischi e opportunità determinati da un trauma come l’attuale pandemia?
Rischi e opportunità non sono mai slegati: per avere opportunità spesso si incorre in dei rischi, e, viceversa, per ridurre i rischi bisogna far fruttare le opportunità. È in quest’ottica che riteniamo sia necessario riflettere su come bilanciare rischi e opportunità determinati dall’esperienza traumatica della pandemia. Innanzitutto bisogna comportarsi, agire e ragionare tenendo presente che non è ancora finita e che non può essere trattata come una parentesi. Pensare al periodo post-pandemico come a un ritorno alla “normalità” è il rischio principale verso cui noi, come società, andiamo incontro.
I rischi legati alle conseguenze della pandemia ruotano intorno al tracollo economico dovuto alle restrizioni messe in campo per evitare i contagi, alla crescita del debito pubblico e alle conseguenze pesanti sul futuro dei giovani, alla riduzione dell’apprendimento scolastico e delle competenze tecniche, al peggioramento di salute mentale e capacità relazionale. Un altro rischio è legato alla polarizzazione mediatica che pone come antagonisti gruppi sociali differenti: i giovani rappresentati come fattore di rischio (non si contagiano, non subiscono le conseguenze se si ammalano, sono “irresponsabili”) e gli anziani come soggetti vulnerabili (vittime primarie del Covid-19) da proteggere.
D’altro canto, la pandemia rappresenta un’opportunità per mettere in discussione un modello sociale ed economico le cui criticità ha messo in luce (si pensi alle politiche per la famiglia, al sistema scolastico, pedagogico ed educativo, al sistema sanitario). Potrebbe rappresentare un giro di boa, un’occasione di decostruire valori e norme alla base della nostra organizzazione sociale, per costruire un modo nuovo di organizzarsi, essere in relazione e confrontarsi, che sia fluido e focalizzato sull’intergenerazionalità.
Per trovare un bilanciamento bisogna concentrarsi sull’opportunità di risolvere quei problemi e quelle criticità già presenti ed esacerbati dalla crisi. La pandemia è quindi sintomo di problematiche preesistenti che andrebbero affrontate in modo approfondito e strutturale, per evitare che altre crisi in futuro possano mettere in scacco il Paese e portare a un ulteriore aumento di povertà, di diseguaglianza e dei tanti fattori di rischio per bambini e ragazzi e per tutti i cittadini.
Se passato, presente e futuro vengono ormai calibrati sul “prima”, “durante” e “dopo” pandemia, se per frustrazione e stanchezza spesso si auspica un ritorno alla normalità, è proprio un cambiamento di rotta, radicale e forte, in cui gli stessi bambini e ragazzi, insieme agli adulti, siano protagonisti nella creazione delle soluzioni, che può consentire di ridurre i rischi e di trasformare le tavole da surf in velieri solidi alla volta di nuovi orizzonti.
Quali sono i suggerimenti e le richieste che sono emerse dai partecipanti al Report? Che cosa, secondo loro, sarebbe necessario per sostenere realmente e attivamente i ragazzi?
Bambini e ragazzi intervistati ci parlano a lungo di quelli che ritengono essere elementi fondamentali per il loro benessere individuale e di gruppo. Sono preoccupati per sé stessi e per i loro amici e familiari, ma sperano che la pandemia possa essere un’opportunità di cambiamento sociale positivo e forte. In particolare, auspicano una società in cui le persone siano più rispettose e gentili le une con le altre. Il Report include queste raccomandazioni chiave, proposte dai partecipanti.
- Si mostrano molto interessati e motivati a parlare di salute mentale e benessere psicologico. Chiedono la presenza di un servizio di supporto psicologico nelle scuole, di tutti i livelli, e la promozione di attività laboratoriali sul tema dell’affettività, delle relazioni e dell’empatia, aspetti fortemente messi alla prova dalle misure finalizzate al contenimento dei contagi.
- Riflettono sul fatto che avere tempo a disposizione per pensare, coltivare le proprie passioni e incuriosirsi per cose nuove in modo libero sia un elemento importante per il proprio benessere psicosociale. Per questo premono affinché le scuole, i genitori e gli insegnanti si fermino ad ascoltare i loro bisogni, e insistono su una ripartenza graduale, che allevi lo stress della pandemia. I troppi compiti e le pressioni sullo studio rischiano di togliere loro il tempo per affrontare le difficoltà emerse dalla vita in pandemia, e diventano quindi un ostacolo al loro benessere.
- Pongono luce su ciò che hanno appreso grazie alla didattica a distanza, che in un certo senso li ha visti protagonisti del loro percorso di apprendimento, non senza difficoltà. Chiedono che questo sia l’inizio di un percorso che cambi il modo di fare scuola, che introduca tecnologia e nuove modalità di apprendimento, innovative e partecipative, tra le mura degli istituti scolastici.
- Sono sensibili alla diversità etnica e di genere, e sottolineano che razzismo e omofobia sono problematiche primarie della società. Come individui e come gruppo, ritengono che la pandemia sia un’occasione da non perdere per lavorare a livello sociale su queste tematiche, affrontarle e migliorare il modo in cui si sta insieme.
- In generale, si sentono preoccupati per le conseguenze sociali ed economiche che la pandemia sta causando, e chiedono di essere ascoltati e interpellati nella definizione dei piani di ripresa. Sentono che sono proprio loro, come generazione, a essere la chiave per affrontare le sfide legate al futuro economico del Paese, al degrado ambientale e al cambiamento climatico.
Come leggere questi risultati? In quale modo possono essere realmente utili alla società “adulta”?
I risultati di questa ricerca mostrano quanto sia importante ascoltare e parlare con bambini e ragazzi di pandemia, di paure e di speranze. In primo luogo è essenziale continuare a riflettere sul fatto che le vite dei giovani sono segnate dalla pandemia, che ne ha cambiato le abitudini, i comportamenti e anche tutta quella ritualità tipica del percorso di transizione all’età adulta: le uscite con gli amici, le feste, gli ultimi giorni di scuola, gli abbracci di saluto prima di intraprendere nuovi percorsi.
La pandemia non è ancora finita, ormai dura da due anni e probabilmente continuerà a essere una realtà quotidiana per i mesi, se non anni, a venire. Bisogna quindi continuare a parlarne, e avere consapevolezza dei sacrifici fatti dai giovani per il benessere della collettività e delle lezioni di vita da loro apprese. Questi ragazzi hanno sviluppato una competenza importante e nuova rispetto alle generazioni precedenti nei Paesi occidentali e cioè quella di resistere a una situazione di rischio collettivo di vastissime dimensioni.
In quest’ottica gli adulti devono assicurarsi di supportarli, di riconoscere i sacrifici e i contributi che stanno dando alla società di cui fanno parte come membri al pari degli adulti. Devono ascoltarli e includerli nei processi decisionali, dai contesti familiari alle decisioni per il futuro dell’Italia. Come possono farlo?
- Devono concentrarsi su quello che i ragazzi hanno appreso grazie alla pandemia e sui bisogni emergenti. Le preoccupazioni diffuse legate alla perdita di apprendimento scolastico non dovrebbero mettere in ombra gli altri bisogni. Il rischio di sottoporre gli adolescenti a ulteriori pressioni per far sì che raggiungano i risultati accademici che i loro coetanei hanno raggiunto negli anni passati è alto e può avere effetti molto negativi.
- Devono riconoscere pubblicamente i sacrifici e contributi fatti da bambini e ragazzi, che hanno radicalmente modificato i loro comportamenti per il benessere collettivo e se ne sono assunti la responsabilità quotidianamente. Gli adulti devono quindi supportare la creazione di un’immagine positiva degli adolescenti che si continuano a impegnare per il miglioramento della società.
- Devono ascoltarli e renderli partecipi, senza partire dal presupposto di sapere come si sentono e cosa sia meglio per loro. Questa ricerca mostra le numerose risorse interiori messe in gioco per trasformare l’esperienza dura e stravolgente della pandemia in una di crescita e miglioramento. Sono individui pieni di risorse che possono aiutare il processo di “ricostruzione” del futuro e di trasformazione sociale che ci aspetta a seguito della pandemia. Per coinvolgerli al massimo nei processi democratici sarà importante esplorare spazi già esistenti nelle scuole, nei paesi, nelle città e sui social media, e creare nuovi spazi di ascolto e di confronto con loro. Hanno buone idee e proposte che possono contribuire in modo sensibile al miglioramento della società.
(Le opinioni espresse in questa intervista sono delle autrici e non riflettono necessariamente quelle di UNICEF.)
Maria Rosaria Centrone, è consulente presso il Dipartimento di politiche sociali ed economiche dell’UNICEF Office of Research – Innocenti e co-autrice del Rapporto Vite a Colori. Con diversi anni di esperienza nel settore dei diritti dei minori in Europa, Asia Meridionale e Medio Oriente, attualmente contribuisce in qualità di ricercatrice qualitativa al progetto internazionale Children’s experiences and perceptions of COVID-19 e alla pubblicazione Report Card 17: Environment and child wellbeing.
Francesca Viola, è consulente presso il Dipartimento di politiche sociali ed economiche dell’UNICEF Office of Research – Innocenti dal 2018 e co-autrice del Rapporto Vite a Colori. Ricercatrice dal background qualitativo e quantitativo, si occupa di progetti di ricerca nell’ambito dei diritti dei minori e della protezione sociale tra l’Europa e l’Africa Sub-Sahariana. Attualmente gestisce il progetto internazionale Children’s experiences and perceptions of COVID-19 che, oltre all’Italia, si svolge in Angola, Canada, Cile, Indonesia, Lesotho e Madagascar e di cui Vite a Colori è la prima pubblicazione.
Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.