"Che strano, anche gli altri provano sentimenti!"
Sappiamo che l’autismo si può presentare in una variante “ad alto funzionamento”. Molte persone autistiche, infatti, hanno un livello d’intelligenza normale o superiore e nella vita quotidiana passano a prima vista inosservati. L’unico handicap: la vita interiore altrui per loro è un mistero.
Nella vita quotidiana incontriamo regolarmente gli altri. Molti di questi sono persone che ben conosciamo: il partner, i figli, i colleghi, gli amici. In questi casi riusciamo generalmente a prevedere cosa pensa, sente o desidera l’altro, cioè “cosa gli passa per la testa”. Più difficile è quando incontriamo degli estranei. Dobbiamo allora cercare, in maniera spontanea e intuitiva, di “metterci nei loro panni”, cioè assumere il loro punto di vista, se vogliamo comunicare adeguatamente.
Per farlo ci serviamo in gran parte di segnali non verbali: gesti, mimica, sguardi. Su questa base possiamo avere un’idea del vissuto interno dell’altro. Saperlo fare è particolarmente necessario quando le sue parole esprimono qualcosa che non corrisponde al linguaggio corporeo – può dirci, per esempio, che sta bene, ma la sua mimica e i suoi gesti forniscono esattamente l’impressione opposta. Dobbiamo allora mettere insieme i diversi segnali e valutare il quadro complessivo.
Qui sta la difficoltà principale delle persone con autismo. In questo tipo di contatti commettono spesso “sbagli”: valutano erroneamente la situazione interiore degli altri, o dicono qualcosa di involontariamente offensivo. I processi che, per lo più inconsapevolmente, regolano i nostri incontri con gli altri, nelle persone con autismo funzionano in altra maniera.
Negli ultimi anni, sia in ambito scientifico che nel pubblico generale, si è osservato un interesse crescente per la diversità autistica, come dimostrano servizi giornalistici e televisivi, film e libri, anche autobiografici. Molte persone che a Colonia si rivolgono al nostro ambulatorio – un servizio specializzato nel trattamento dell’autismo in età adulta – lo fanno perché indotti proprio da questa sollecitazione mediatica che conduce a sospettare di soffrire di autismo.
Quando la diagnosi è fatta in età adulta, si tratta quasi sempre di “autismo ad alto funzionamento”, con livello d’intelligenza almeno nella media, come nella sindrome di Asperger. Si può parlare in questi casi di un disturbo settoriale, che lascia intatte le altre funzioni cognitive, compromettendo solo la cognizione sociale, cioè quei processi che ci servono nell’interazione e comunicazione con gli altri.
Non mancando d’intelligenza, molte di queste persone hanno acquisito da tempo una certa consapevolezza delle loro difficoltà, sviluppando strategie alternative per aggirare il deficit. Per esempio, fin da ragazzi imparano come ci si comporta nei compleanni o nelle feste in famiglia, oppure che si deve guardare l’interlocutore negli occhi, perché distogliere lo sguardo è interpretato generalmente come disinteresse o scortesia.
Al momento in cui arriva a una diagnosi conclamata, per lo più hanno convissuto per anni con il disturbo. Le strategie compensatorie a volte riescono così bene che la misura reale delle loro difficoltà non è senz’altro riconoscibile. Magari il contatto sociale è un po’ goffo, ma gli estranei non si accorgono di altro. Molti autistici arrivano addirittura a occupare posizioni di alto o medio livello nelle gerarchie aziendali.
Se però il lavoro comporta flessibilità e responsabilità di conduzione del personale, cominciano a emergere chiari segni di sovraffaticamento, attribuibili al nucleo fondamentale della sintomatologia autistica. Queste persone si lamentano allora che i molti incontri cui sono obbligati nella giornata lavorativa sono troppo faticosi e stressanti: «Ho il sospetto», dichiara un paziente con sindrome di Asperger, «di essere così esaurito perché ogni interazione sociale sul lavoro mi consuma tutta l’energia».
La difficoltà centrale negli incontri interpersonali riguarda la “mentalizzazione”, il sapersi immedesimare nel mondo interno degli altri. Tutti noi diamo per scontato che ogni persona abbia un suo mondo interiore, ma questa idea intuitiva non è per niente ovvia per i soggetti autistici. Molti di loro scoprono per la prima volta solo alle soglie dell’adolescenza, o anche più tardi, che le altre persone hanno un vissuto interno, sentimenti e pensieri. Così lo scrittore Axel Brauns racconta che aveva 15 anni quando ha pensato che sua madre poteva provare le stesse cose che provava lui, e solo da quel momento ha smesso di considerarla “vuota”: un riconoscimento difficile, perché significava che la madre, se aveva un vissuto interiore, era come lui, cosa che gli sembrava inconcepibile.
Per le persone autistiche spesso non è affatto logico che gli esseri umani siano fondamentalmente diversi dagli oggetti inanimati. Il comportamento di questi ultimi infatti segue le leggi naturali della fisica ed è quindi prevedibile, mentre gli esseri umani mostrano una sorta di “nucleo interno” che non è direttamente accessibile agli altri. Il loro comportamento obbedisce a regole psicologicamente comprensibili, che tuttavia non permettono affatto predizioni certe.
UNA MEZZ'ORA BUONA PER LA PRIMA IMPRESSIONE
In fondo è davvero curioso quanto ci sembri naturale l’esperienza interna degli altri, benché sia invisibile. Siamo predisposti a cogliere in maniera automatica e intuitiva tale nucleo nascosto nella persona che abbiamo davanti, senza bisogno di rifletterci. Le persone autistiche, al contrario, in un contatto interpersonale devono per prima cosa faticosamente cogliere, distinguere e calcolare molti aspetti diversi.
Il riconoscimento intuitivo dello stato psichico altrui per loro è molto difficile. Ma possono seguire una via indiretta: analizzano la situazione e i segnali comunicativi inviati dall’altro e ne traggono conclusioni. Sul piano teorico ci riescono bene. Un adulto autistico non ha problemi a risolvere la maggior parte dei test standard sull’attitudine a mentalizzare. Le riflessioni, i sentimenti e i pensieri altrui li deduce servendosi di regole e formule esplicite, spesso apprese con fatica. Nei test per lo più c’è la possibilità di ricorrere a queste competenze acquisite, perché spesso le domande descrivono situazioni sociali chiaramente strutturate e il tempo a disposizione per rispondere è sufficiente.
Hanno invece grande difficoltà a formarsi un’impressione del prossimo “a prima vista”. Mentre agli altri bastano pochi secondi, le persone con autismo hanno bisogno anche di una buona mezz’ora. Le loro strategie richiedono tempo: per esempio, devono simulare consapevolmente come si sentirebbero essi stessi in quella data situazione. In realtà, secondo alcuni ricercatori, tutti noi ricorriamo a questo tipo di simulazione per comprendere la vita interna degli altri. Presumibilmente la differenza fondamentale sta nel fatto che le persone autistiche devono eseguire il processo volontariamente, mentre negli altri è inconsapevole e quindi rapidissimo. Un soggetto autistico come Marc Segar, nel suo Manuale di sopravvivenza per le persone con sindrome di Asperger, la descrive così: «Le persone autistiche devono capire in maniera scientifica ciò che i non autistici hanno già capito istintivamente».
Le situazioni non formalizzate da regole esplicite e modelli di ruolo rappresentano particolari difficoltà per le persone con autismo. La ricreazione per loro è sempre stato “il momento peggiore a scuola”, come racconta Christine Preißmann nelle sue memorie. Così è, al lavoro, per la pausa caffè o l’intervallo del pranzo, quando i colleghi si ritrovano per chiacchierare del più e del meno. Un autistico cerca generalmente di evitare queste conversazioni “oziose”, il che naturalmente lo fa notare come un “tipo strano”. Spesso chiacchiere del genere gli sembrano incomprensibili: che senso ha parlare con il tassista del tempo che fa, quando la situazione meteorologica è sotto gli occhi di entrambi? Per lui è solo uno spreco di tempo e di energia: a che scopo parlare se non c’è niente da dire?
Ora, non sempre è possibile evitare gli incontri in cui gli altri per l’appunto si aspettano quel genere di chiacchiere oziose. Gli adulti autistici descrivono a volte interessanti strategie adottate per venire a capo di tali situazioni. Allo scopo mettono a punto procedure prestabilite e veri e propri “algoritmi”, che poi applicano in maniera standardizzata. Così con un uomo parleranno di calcio, a una donna faranno dei complimenti (algoritmo: stimare l’età della signora, sottrarre un certo numero di anni, presentare il risultato come età presunta – la cosa funziona purché la stima iniziale sia esatta).
LE PERSONE CON AUTISMO NON CAPISCONO PERCHÉ SI DEBBA MENTIRE
Alle persone con autismo è difficile formare amicizie, o anche solo avviarle. Non registrare il vissuto dell’altro fa sì che si accorgano con ritardo quando l’altro sta male, cosicché non reagiscono in modo adeguato. È ovvio che le amicizie ne risentano subito, perché dagli amici normalmente ci si aspetta che con il passare del tempo siano sempre più pronti a cogliere i nostri sentimenti e desideri.
Come ormai sarà chiaro, avere a che fare con queste persone è per molti versi una bella sfida, ma può anche essere occasione di arricchimento. Il compito più difficile è arrivare a un incontro umano nel rispetto della sua peculiarità e della sua differenza. Non può infatti nemmeno immaginare una vita diversa: è sempre stato così e la singolarità della sua esperienza è sentita come parte di sé. Non può spogliarsi dell’autismo e scoprirsi una personalità “autentica” non autistica. Essere soggetti autistici non è uno stato desiderabile o felice, ma non deve nemmeno condurre alla disperazione. Comporta anche specifiche risorse positive.
Spesso con le persone autistiche si ha un’impressione di arroganza e saccenteria, che a volte può costare loro la perdita del posto di lavoro. Ma quella che si prende per arroganza è in realtà un grado estremo di sincerità. Gli autistici non mentono mai: non capiscono perché si dovrebbe mentire, dato che le bugie non fanno altro che complicare le cose. Anche quando una loro osservazione suona molto critica e forse anche ostile, di regola attiene allo stato delle cose e non è dettata dalla volontà di ferire.
Le persone con autismo sono di solito estremamente precise, qualità molto apprezzabile nel lavoro. È vero che la precisione rallenta le operazioni, ma ha il vantaggio di ridurre le procedure di controllo. Un’altra qualità positiva, gradita anche nei rapporti personali, è la loro affidabilità: una volta preso un impegno, lo rispettano incondizionatamente.
Un aspetto che mette in difficoltà l’interlocutore è l’andamento a singhiozzo della conversazione. Non c’è modo di fare una chiacchierata disinvolta. Tuttavia anche da questo c’è forse modo di imparare qualcosa, per esempio che il silenzio non va preso per scortesia o disprezzo: il silenzio può anche essere un segno di riflessione, da cui nasceranno nuove idee su cui si potrà in seguito discutere. A volte tacere significa semplicemente che non c’è nulla d’importante da dire.
Photo by Skitterphoto
Questo articolo è di ed è presente nel numero 241 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui