Come lavorava Freud con i suoi pazienti?
È interessante vedere quanto Freud, nel gestire le sedute con i suoi pazienti, si attenesse ai principi di terapia analitica che teorizzava e quanto invece se ne discostasse.
Intorno alla psicoanalisi si sono sviluppati infiniti dibattiti e inchieste, discussioni e contrapposizioni, ma vi è un tema fra i tanti che ha suscitato notevole scalpore nel momento in cui è progressivamente emerso dalle ricerche di alcuni studiosi. Un argomento riassumibile nella domanda: Freud era “freudiano”?
Nel nostro Paese è probabilmente stata l’analista Luciana Nissim Momigliano (1987) a porre il tema in modo esplicito, nel corso di un convegno tenutosi a Trieste oltre trent’anni fa, mentre a livello internazionale erano già noti diversi resoconti di pazienti curati da Freud e i loro commenti su tali analisi.
I resoconti dei pazienti di Freud
Oggi la banca-dati di materiali che ha per oggetto preminente (o complementare) il modo in cui lavorava Freud è sterminata. Si tratta di resoconti scritti da due tipologie di persone: gli aspiranti psicoanalisti in analisi didattica con Freud e i pazienti che si recavano da Freud per essere curati. Un terzo gruppo, ristretto, è composto da medici e psichiatri che hanno consultato Freud per interessi scientifici o per risolvere specifiche problematiche personali. Un esempio del primo gruppo è il resoconto di Edoardo Weiss (1970), il primo analista italiano, su cui lo storico Paul Roazen ha scritto un’importante biografia (Castiello d’Antonio, 2012), mentre del secondo gruppo si può ricordare la narrazione della poetessa Hilda Doolittle (1956) che fu in analisi con Freud tra il 1933 e il ’34.
Una parte dei testi pubblicati nel corso del tempo da coloro che hanno avuto l’esperienza di fare l’analisi con Freud è stata tradotta in italiano, come i resoconti sopra citati. Molti altri sono reperibili in lingua inglese e tedesca, mentre una parte non trascurabile è disseminata nelle riviste internazionali di psicoanalisi e di storia della scienza. Si tratta di testimonianze di prima mano, scritte da persone che talvolta hanno deciso di pubblicare i propri ricordi a distanza di decenni dall’esperienza vissuta a Vienna. Significativi i titoli di queste rievocazioni: Ricordi di Sigmund Freud; La mia analisi con Freud; Berggasse 19 (era l’indirizzo di Freud a Vienna); Reminiscenze di uno psicoanalista; Sigmund Freud come consulente; Professor Sigmund Freud; Freud sconosciuto; Freud – l’uomo che ho incontrato, appuntamento a Vienna; La verità sulla tecnica di Freud; Frammenti di un’analisi con Freud, e così via.
Gradevoli e intriganti sono anche le memorie della domestica di casa Freud, Paula Fichtl, raccolte e pubblicate dalla giornalista che la intervistò in numerose occasioni (Berthelsen, 1987).
A fonti di questo genere, cioè di prima mano, si devono aggiungere gli studi che hanno commentato il lavoro di Freud ponendo a confronto diverse analisi da lui condotte nel corso del tempo. Così, Paul Roazen (1995), sulla base di dieci interviste con altrettanti pazienti di Freud, ha commentato criticamente la tecnica analitica utilizzata da Freud, mentre Lucilla Albano (2014) ha raccolto 21 testi di altrettanti pazienti freudiani.
Porsi la domanda su “come” realmente lavorava Sigmund Freud ha un suo peculiare spessore e interessa soggetti diversi: di sicuro i clinici, sempre attenti alla coniugazione della teoria con la tecnica, ma anche gli storiografi, i quali hanno sofferto a lungo per la quantità di materiale freudiano bloccato nei Sigmund Freud Archives, presso la Library of Congress a Washington, dalle disposizioni impartite dalla figlia Anna (e da molti altri). Un gran numero di documenti di interesse storico – comprese trascrizioni di interviste, lettere e memorie – è tuttora inaccessibile al pubblico degli studiosi. Probabilmente tale stato di cose ha indirettamente fornito lo spunto non solo a indagini e commenti, ma anche a illazioni, dicerie e voci di corridoio, soprattutto da parte dei cosiddetti “Freud bashers”, coloro cioè che del colpire, del criticare distruttivamente e dell’infangare il contributo di conoscenza offerto al mondo dal pensiero psicoanalitico hanno fatto una missione di vita.
La tecnica Freudiana
Per molti decenni le uniche fonti sulla tecnica analitica di Freud sono stati i suoi stessi scritti (pochi, a dire la verità), le biografie e gli epistolari (Freud ha scritto e ricevuto una quantità incredibile di lettere nel corso della sua vita, non tutte ancora oggi rese pubbliche). Ma, all’inizio, i carteggi pubblicati sono stati fortemente depurati da materiali considerati sconvenienti, così come le prime e ancor oggi, nonostante tutto, fondamentali biografie hanno avuto un carattere agiografico che ha reso un pessimo servizio alla causa della psicoanalisi. Una reazione a tale stato di cose ha condotto alcuni a procedere scavando alla ricerca di presunte aree nascoste, indicibili e torbide della vita di Freud, al fine di esibire la scoperta eclatante che potesse gettare una nuova luce sul fondatore della psicoanalisi.
Tra gli idealizzatori di Sigmund Freud, da un lato, e i denigratori per posizione preconcetta, dall’altro, l’emergere dei resoconti dei pazienti freudiani ha contribuito ad aprire un varco, consentendo agli studiosi seri di lavorare su materiali di prima mano e di ricostruire il modo in cui il fondatore della psicoanalisi praticava l’attività professionale nel suo studio privato: in sostanza, si è potuto rispondere alla domanda come Freud interpretava il mestiere di analista. Il quadro che affiora è abbastanza sorprendente e può sconvolgere i puristi dell’analisi e coloro che si sono posti a difesa di una presunta “tecnica classica”, la quale, in pratica, è stata tramandata in modo frammentario con i pochi scritti freudiani sulla tecnica e soprattutto per mezzo dei suoi più stretti collaboratori, anche se proprio sulle questioni della tecnica, e sul tema della selezione e formazione degli analisti, si sono precocemente verificati importanti diverbi all’interno del movimento psicoanalitico internazionale (Castiello d’Antonio, 2008).
Partendo dal primo colloquio con il paziente, dedicato a stabilire le regole di base dell’analisi, compreso il timing delle sedute (a quel tempo era normale effettuare 5 o 6 sedute settimanali), si snodavano le sedute della durata di 50 minuti, introdotte dalla comunicazione della famosa “regola fondamentale”, ossia dall’invito al paziente a dire tutto ciò che gli passava per la mente. Attento alla puntualità e alla regolarità degli incontri, Freud entrava direttamente nella dinamica delle sedute (senza raccogliere la storia di vita della persona o effettuare alcuna forma di valutazione del caso) con il paziente sdraiato sul grande divano e lui stesso posizionato alle sue spalle. Un accorgimento che Freud adottò per molti motivi: perché in tal modo offriva a sé stesso e al paziente l’opportunità di lasciarsi andare al lavoro interiore, ma anche perché non era propenso a mantenere il contatto visivo con i pazienti per tante ore al giorno.
Si può dunque notare che pressoché tutti gli accorgimenti del cosiddetto “setting” sono stati accettati, criticati e spesso riformulati dagli psicoanalisti (freudiani) e dai terapeuti di altri indirizzi psicodinamici. Il tempo delle sedute è sceso fino a 45 minuti, e ci si potrebbe legittimamente domandare quale ne sia il motivo tecnico; il divano, o lettino analitico, è stato spesso sostituito da una poltrona e dal rapporto faccia a faccia, e all’inizio della (eventuale) terapia molti compiono una serie di colloqui iniziali al fine di stabilire se la psicoanalisi sia la forma di terapia adatta e se l’incontro paziente-analista possa funzionare in modo ottimale: è il tema della “coppia analitica”, e del cosiddetto “fattore aspecifico” della terapia psichica, cioè l’importanza del rapporto personale fra terapeuta e paziente.
Un altro parametro che ha subìto nel tempo notevoli critiche e variazioni è la durata dell’analisi. Inizialmente le analisi dei pazienti, o dei potenziali futuri colleghi, erano molto brevi, potevano durare solo alcuni mesi, essere interrotte e poi riprese, o proseguire nei luoghi di villeggiatura nei quali Freud si recava in estate (in particolare, per i pazienti che provenivano da oltre oceano il tempo era prezioso e non si potevano permettere le interruzioni delle vacanze estive). Ben presto le analisi divennero sempre più lunghe, ma, da un dato momento in avanti, vi furono anche analisti che criticarono tale situazione, escogitando accorgimenti per, diremmo oggi, “efficientare” il percorso di cura: ricerca da cui sono nate le attuali psicoterapie brevi.
La persona e il professionista
A differenza di ciò che si crede generalmente, Freud non si limitava a utilizzare l’interpretazione nei suoi interventi, operando piuttosto su più piani in parallelo. Ecco emergere dai resoconti dei pazienti un Freud inaspettato che discute gli avvenimenti quotidiani del paziente e offre suggerimenti e consigli, esprime in modo aperto e diretto ciò che pensa, analizza i sogni, ma dà anche indicazioni concrete su come affrontare momenti specifici di vita. L’analisi procedeva spesso in un clima di cordialità, ben lontano dall’immagine dell’analista-specchio, muto e distaccato, tramandata da tanta vignettistica psicoanalitica. Al contrario, Freud mostrava apertamente la sua impazienza o felicità nell’iniziare una nuova analisi quando gli capitava di incontrare un soggetto per lui particolarmente interessante, oppure si alzava dalla sua poltrona e andava a prendere uno dei suoi famosi sigari per “festeggiare” un’intuizione specialmente importante o un insight del paziente.
Ciò che nel tempo è diventata l’immagine idealizzata dell’analista-chirurgo, basata su ciò che Freud stesso aveva raccomandato nei suoi scritti sulla teoria della tecnica redatti tra il 1911 e il ’14, sembra che non sia mai esistita nella reale pratica freudiana! Ciò non toglie che egli avesse una grande (e comprensibile) preoccupazione nello stabilire almeno le regole di base della tecnica, nel delimitare ciò che era e ciò che non era “psicoanalisi”, ma anche nel proteggere i suoi colleghi dall’incorrere negli errori più pericolosi, primo fra tutti il non saper gestire ciò che stava emergendo sotto la denominazione di transfert e contro-transfert. Come oggi si sa, diversi dei primi analisti si sono “bruciati” al fuoco della relazione transferale.
Non tutti i pazienti che hanno scritto delle loro analisi riferiscono di aver incontrato un uomo cordiale e comunicativo: alcuni ne hanno rilevato un certo atteggiamento severo e un modo talvolta brusco di parlare; ma, in generale, l’immagine che emerge è quella di un uomo che dimostra grande disponibilità, che si alza dalla poltrona per mostrare al paziente un libro collocato nella sala attigua allo studio, oppure per prendere in mano una delle sue statue antiche e utilizzarla come spunto per una riflessione da condividere con l’analizzando. Freud acconsentiva che il paziente-allievo prendesse appunti sull’iter analitico e che leggesse articoli e libri di psicoanalisi, compresi i saggi scritti da lui stesso, soffermandosi a discutere i diversi aspetti della teoria analitica, sovente mostrando un interesse relativamente limitato per gli aspetti specificamente terapeutici dell’analisi.
In anni più avanzati Freud si lasciava andare a comunicare al paziente-futuro analista aspetti confidenziali e giudizi su altre persone, così come opinioni su fatti politici e culturali, rispondendo apertamente e senza remore alle domande che gli venivano poste. Erano così suggerite letture di libri di letteratura, commentati avvenimenti inerenti alla psicoanalisi, discusse le situazioni di colleghi e amici, richiamati gli autori classici preferiti. In più di un’occasione affiora l’immagine di un Freud insegnante, un maestro che si dilunga sugli aspetti concettuali, enfatizzando quel lato intellettuale della cura analitica che sarà poi criticato da alcuni dei suoi stessi discepoli, in specie da Otto Rank e Sándor Ferenczi.
Freud conduceva le analisi non solo in tedesco ma anche in lingua inglese, talora alternando il tedesco all’inglese in relazione a momenti differenti del percorso e alla necessità di dare enfasi a un concetto o di farsi comprendere meglio dal paziente. Quest’ultimo poteva essere accolto dalla governante di casa Freud con tè e biscotti, intrattenendosi a conversare con lei prima di essere introdotto nello studio del Professore. Preciso e pignolo in tante dimensioni della sua vita, Freud disattese molte altre regole analitiche che egli stesso aveva stabilito. Per esempio, analizzò diversi pazienti gratuitamente, come riferiscono sia Edoardo Weiss che Eva Rosenfeld, mentre verso i pazienti-colleghi-discepoli era prodigo di consigli su come trattare i casi difficili, talvolta entrando nello specifico della situazione, come quando consigliò a Theodor Reik di far ingelosire una paziente, o allo stesso Weiss di interrompere l’analisi per riprenderla successivamente in modo da tentare di risolvere una situazione di stallo. Uno degli elementi più sorprendenti che sono emersi dai resoconti dei pazienti e dalle indagini degli studiosi è stato quello di scoprire che Freud ha analizzato in contemporanea parenti stretti (fratelli, sorelle, coniugi), talvolta aiutandoli persino con prestiti in denaro o coinvolgendoli in progetti editoriali, fino all’eclatante scoperta compiuta da Roazen (1993) dell’analisi condotta con la figlia Anna, l’unica dei figli di Freud divenuta ella stessa psicoanalista, specializzandosi nell’analisi infantile.
Dall’insieme dei resoconti oggi disponibili si può osservare come ogni autore rappresenti il proprio Freud: al di là della ricerca di impossibili verità oggettive sulla tecnica di quest’ultimo, si deve anche notare che nei casi in cui l’analisi con lui ha avuto un esito insoddisfacente i resoconti pubblicati trattano dell’esperienza in modo assai diverso (come nel caso di Joseph Wortis). Del resto, in alcuni casi il paziente giungeva da Freud con un carico di attese idealizzate così elevato da rischiare facilmente la più totale disillusione.
In conclusione, credo che si debba vigilare su due aspetti. Giudicare la condotta e la tecnica di Freud sulla base delle conoscenze attuali non appare né corretto né utile dal punto di vista dello sviluppo delle conoscenze. Certo, rimane il quesito sul perché egli non esplicitò in modo trasparente e completo le modalità reali con cui procedeva nella gestione della relazione analitica coi suoi pazienti. Una chiave di lettura può essere rintracciata nella duplice preoccupazione del maestro viennese: da un lato, esplicitare le regole di base della nascente tecnica analitica nel modo più preciso possibile, anche al fine di difendere la scientificità della psicoanalisi, ma, dall’altro, evitare di divulgare in dettaglio concetti sofisticati e delicati, con il rischio di interpretazioni banalizzanti e prestando il fianco a improvvisatori e a quella che che sarebbe stata definita “analisi selvaggia”.
Il secondo aspetto su cui è necessario fare molta attenzione si concretizza nel monito ai terapeuti di ogni indirizzo e scuola a voler emulare l’apparente “non-tecnica” di Freud, lasciandosi andare a condotte informali e incaute: il serio rischio di oltrepassare i limiti etici e professionali a cui ogni serio psicoterapeuta è tenuto ad attenersi è sempre in agguato in una cura che è fondata sulla relazione intima tra esseri umani (Gabbard, 20162).
Sigmund Freud nelle biografie
Lo psicoanalista gallese Ernest Jones (1879-1958) è l’autore di un testo che per molti anni è rimasto unico e fondamentale per capire non solo l’opera, ma soprattutto l’intreccio fra la vita e l’attività clinico-teorica di Sigmund Freud: la biografia dal titolo Vita e opere di Freud, che impegnò Jones nei suoi ultimi dieci anni di vita. L’opera, in tre grandi volumi, apparve in lingua inglese tra il 1953 e il ’57 ed è stata tradotta in italiano all’inizio degli anni Sessanta (da Il Saggiatore, Milano).
Jones conobbe Freud nel 1907 e divenne ben presto un punto di riferimento per il movimento psicoanalitico internazionale, emergendo come uno dei più stretti e fidati colleghi della “prima generazione” di analisti. Fondatore, nel 1919, della British Psychoanalytical Society, si occupò di questioni di politica istituzionale, organizzative ed editoriali, e fu molto attivo nell’opera di divulgazione della psicoanalisi, oltre a contribuire con diversi contributi scientifici e con un interessante libro di ricordi (Jones, 1974).
La biografia di Jones ha avuto sostenitori e detrattori. Il suo lavoro è stato visto da alcuni come un’accurata ricostruzione della vita di Freud sulla base della documentazione disponibile al tempo, mentre da altri è stato disapprovato per l’idealizzazione della psicoanalisi, le omissioni rispetto a fatti significativi e i giudizi critici espressi su determinati colleghi.
Andrea Castiello d’Antonio è psicologo clinico, psicoterapeuta e psicologo delle organizzazioni. Già professore straordinario presso l’Università Europea di Roma, ha pubblicato 20 volumi e circa 200 articoli scientifici e divulgativi.
Riferimenti bibliografici
Albano L. (2014), Il divano di Freud, Il Saggiatore, Milano.
Berthelsen D. (1987), Vita quotidiana in casa Freud (trad. it.), Garzanti, Milano, 1990.
Castiello d’Antonio A. (2008), «Sulla selezione degli psicoanalisti», Psicoterapia e Scienze Umane, 3, 357-394.
Castiello d’Antonio A. (2012), «Review of “Edoardo Weiss: The house that Freud built”, by Paul Roazen», Psychoanalytic Quarterly, 81 (2), 492-500.
Doolittle H. (1956), I segni sul muro (trad. it.), Astrolabio, Roma, 1973.
Gabbard G. O. (20162), Violazioni del setting (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017.
Jones E. (1974), Memorie di uno psicoanalista (trad. it.), Astrolabio, Roma.
Nissim Momigliano L. (1987), «Una stagione a Vienna: ma Freud era freudiano?». In A. M. Accerboni (a cura di), La cultura psicoanalitica. Atti del convegno, Trieste 5-8 dicembre 1985, Studio Tesi, Pordenone.
Roazen P. (1993), I miei incontri con la famiglia Freud (trad. it.), Massari, Bolsena, 1997.
Roazen P. (1995), Freud al lavoro (trad. it.), Massari, Bolsena, 1998.
Weiss E. (1970), Sigmund Freud come consulente, Astrolabio, Roma, 1971.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui