Creatività
Per essere creativi è necessario prepararsi adeguatamente, o si rischia di fare la fine di Icaro.
Ci sono parole usate e abusate che servono a nominare territori indecifrabili o spazi di insignificanza, esalazioni di follia contenuta o vuoti abissi di mancata genialità. Una di queste parole è “creatività”. Una parola seria il cui uso va sottratto all’abuso.
La creatività è un carattere saliente del comportamento umano, particolarmente evidente in alcuni individui capaci di riconoscere, tra pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e a cambiamenti. Il criterio dell’originalità, presente in ogni attività creativa, non è un criterio sufficiente se è disgiunto da una legalità generale che consente all’attività creativa di essere riconosciuta da altri individui. L’accadere della creatività secondo regole è ciò che la distingue dall’arbitrarietà.
Il carattere creativo è contrassegnato da una forma di pensiero detto divergente che, a differenza di quello convergente, tendente all’unicità della risposta cui tutte le problematiche sono ricondotte, presenta originalità di idee, fluidità concettuale, sensibilità per i problemi, capacità di riorganizzazione degli elementi, produzione di molte risposte diverse fra loro. Il pensiero divergente, nel quale si esprime la creatività, entra in gioco quando i processi convergenti si sono sviluppati al punto da permettere un’adeguata padronanza del settore di applicazione, per cui, fino a una determinata soglia intellettiva, tra i due tipi di pensiero esiste una stretta interdipendenza, che tende a diminuire a livelli molto alti di intelligenza. Per essere creativi, dunque, bisogna avere organizzato bene le basi da cui spiccare il volo, altrimenti il destino è quello di Icaro.
Le ricerche sperimentali danno questo profilo della personalità creativa: il creativo è motivato da curiosità, bisogno d’ordine e successo; è autoritario, aggressivo, autosufficiente; è scarsamente inibito, non formale, non convenzionale, indipendente e autonomo; ha grosse capacità di lavoro, autodisciplina, versatilità; è costruttivamente critico, non facilmente soddisfatto; ha una larga gamma di interessi, in cui non rientrano quelli economici; ha interessi di tipo femminile, scarsa aggressività maschile; non desidera molti rapporti sociali, è introverso, emozionalmente instabile, ma capace di usare efficientemente la sua instabilità; non adattato in senso psicologico, ma socialmente adattato, è intuitivo, empatico, si considera creativo e si descrive come tale; è poco critico nei propri confronti, esercita un notevole impatto sugli altri.
La creatività ha inoltre parentela con gli orli, e talvolta gli abissi, della follia. A mettere in luce questa relazione fu per la prima volta Cesare Lombroso, che nel 1864 dimostrò come Cellini, Goethe, Vico, Tasso, Newton e Rousseau fossero stati soggetti ad attacchi di «pazzia», concludendo che la genialità era l’espressione di una «psicosi degenerativa». Karl Jaspers, che ha esaminato la stessa relazione in Nietzsche, Strindberg, Van Gogh, Hölderlin e Swedenborg, scrive: «Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e anormale e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dal difetto della conchiglia: come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così, di fronte alla forza vitale di un’opera, non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita». E, a proposito di Strindberg: «Emerge in modo incontestabile una coincidenza scientificamente dimostrata tra il grado più alto dello sviluppo creativo e il momento più eclatante dell’esplosione della turba psicologica. Questo dato, che richiede ulteriori conferme in campo patografico, è comunque significativo anche per il fatto che sembra modificare l’opinione comune secondo cui malattia mentale equivale a completo disfacimento emotivo e patologico, se è vero che, per Strindberg, tale coincidenza non appare assolutamente provata».
Per quanto concerne il rapporto tra perversione e creatività, Janine Chasseguet-Smirgel, partendo dall’ipotesi freudiana secondo cui creatività e perversione si radicano nello stadio pregenitale dell’evoluzione psichica, ipotizza che le due figure abbiano in comune la ribellione alla «legge fondamentale promulgata dal complesso edipico», per cui sia la perversione sia la creatività vivono in un regime di doppia verità che da un lato riconosce la realtà, dall’altro la sconfessa risolvendola in un regime di falsificazione idealizzante, indispensabile per una produzione creativa. La condizione pregenitale viene inoltre letta come il caos prima del cosmo regolato da leggi, per cui la creatività attinge dal caos per riformulare il cosmo. «C’è ancora del caos dentro di voi – chiedeva Nietzsche –, c’è ancora una stella danzante?».
Esistono tecniche di potenziamento della creatività che Silvano Arieti individua a partire dalle condizioni che favoriscono il processo creativo:
- la prima condizione è la «capacità di stare solo, che può essere considerata una parziale deprivazione sensoriale» grazie alla quale l’individuo, riducendo la sua esposizione agli stimoli convenzionali, ha la possibilità di ascoltare il proprio mondo interno accostandosi a quelle che la psicoanalisi chiama «manifestazioni del processo primario».
- la seconda condizione è l’inattività, che consente di sottrarre l’attenzione alle occupazioni esterne favorendo l’«emergere di quelle fantasticherie, spesso scoraggiate perché considerate fuori dalla realtà, ma estremamente utili per brevi incursioni in mondi irrazionali». Altri elementi importanti sono il ricordo e la ripetizione interiore dei conflitti traumatici passati. Questo spiega il rifiuto da parte dei creativi del trattamento psicoterapeutico, quando addirittura essi non auspicano o non si procurano con alcol o droghe un incremento della componente psicopatologica, giudicata terreno fecondo per la produzione creativa.
- un ultimo requisito è l’“ingenuità”, una parola latina che viene da “in-genuus”, “nato libero”, dove in gioco non è la libertà di, ma la libertà da tutti i condizionamenti, soprattutto mentali, che fanno apparire il mondo entro uno schema interpretativo che annulla sul nascere la sorpresa del mondo.
La creatività, infatti, non è produzione di cose nuove, ma fedele ancella del «sorprendente», lo stesso che un giorno generò la filosofia, la quale, come vuole Aristotele, a sua volta «è nata dal dolore e dalla meraviglia».
Umberto Galimberti, membro dell’International Association of Analytical Psychology, ha insegnato Filosofia della storia all’Università di Venezia. Autore di molti volumi, tradotti anche all’estero, collabora con la Repubblica.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 274 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui