Dove vanno (e dove ci portano) le neuroscienze?
Lo studio del sistema nervoso si sposa bene con la psicologia in molti ambiti, aiutandola a indagare temi chiave come le emozioni, la memoria o l’invecchiamento. Ma può essere applicato anche alle arti, all’educazione, all’economia e al marketing
L’importanza delle neuroscienze si è molto accresciuta nella psicologia contemporanea e nelle sue applicazioni. È sempre più apprezzata l’utilità dei metodi delle neuroscienze per la valutazione e il trattamento di deficit e patologie, ma al tempo stesso si consolida la prudenza rispetto ai rischi di riduzionismo e parcellizzazione delle conoscenze, quando si affrontano campi in cui la complessità è la regola, e come tale va fronteggiata.
NEUROSCIENZE COGNITIVE
Uno dei temi sempre centrali nelle neuroscienze e nelle loro interazioni con psicologia e filosofia è quello della coscienza, e in particolare il tentativo di comprendere meglio dove “risiede”. Interessanti deduzioni possono essere tratte dagli sviluppi degli studi sul Default Mode Network, che contribuisce ai funzionamenti automatizzati ed è alla base della teoria sul “processo duale” (che include il pensiero associativo, veloce, che usa risorse limitate), ipotizzando anche delle relazioni con l’impoverimento e la perdita di controllo dell’Io cosciente.
Sul piano più strettamente neuropsicologico, sappiamo che strutture non appartenenti alla neocorteccia possono contribuire ai contenuti della coscienza più di quanto si credesse in precedenza. È stato dimostrato che l’attività lenta dell’ippocampo controlla e collega le attività in diverse aree cerebrali, aiutando a sincronizzare l’attività complessiva del cervello.
Parallelamente, LeDoux (2020) ha criticato la tradizionale concezione delle emozioni come geneticamente preordinate e attivate nei circuiti sottocorticali, collocandole invece anche in stati cerebrali di più elevato ordine. Viene così contestata la teoria gerarchica delle emozioni, condivisa anche dalle neuroscienze affettive, secondo cui l’ordine superiore sarebbe riservato al controllo cognitivo delle emozioni; si accede ad una visione integrata e costantemente interconnessa fra i livelli cerebrali.
Questi risultati rappresentano grandi passi avanti verso l’obiettivo di comprendere la connessione cerebrale funzionale, che già gli studi sul connettoma umano avevano iniziato a inquadrare.
FUNZIONI MENTALI E LORO DISTURBI: IL RUOLO DELLA NEUROPSICOLOGIA E DELL’EPIGENETICA
Riguardo allo specifico campo della memoria, proseguono i tentativi di trovare metodi innovativi per ridurre o cancellare quelle spiacevoli o paurose, ma a questi molteplici e diversificati metodi sperimentali corrisponde un uso applicativo limitato da ragioni pratiche oltre che etiche.
Importante e sempre più diffuso sul piano applicativo per i disturbi della memoria è l’uso della neuropsicologia nella valutazione differenziale e nel trattamento, individuando specifiche strategie utili a questo scopo. Altrettanto rilevante l’individuazione dell’amigdala per la rappresentazione neurale di specifici oggetti connessi ad episodi stressanti, che ne favorisce la memoria e la conseguente azione patogena.
Nel campo della malattia mentale sono stati scoperti meccanismi biologici che intervengono nello sviluppo determinando patologie in infanzia e adolescenza: per esempio, alterazioni microstrutturali delle fibre nervose di sostanza bianca in diverse aree del cervello appaiono correlate all’insorgere di quadri psicopatologici quali autismo, disturbi bipolari e schizofrenici. Questo non può fare sottovalutare il ruolo delle esperienze negative, ma anche delle opportunità di resilienza che intervengono sulla plasticità del sistema nervoso in via di sviluppo.
Essenziale appare a questo punto l’integrazione suggerita da Kandel, su un piano metodologico ed epistemologico, fra le discipline che si occupano della mente: neuroscienze, scienze cognitive, filosofia della mente. Solo questa integrazione, a partire dalle conoscenze genetiche e biologiche ma senza limitarsi ad esse, è in grado di spiegare i disturbi mentali.
Problemi antichi, cui lo sviluppo dell’epigenetica – cambiamenti nell’espressione genica a seguito di stimoli ambientali – ha dato un rilievo nuovo, specie con riferimento all’autismo e all’iperattività, ai disturbi depressivi e da stress post-traumatico, e con concrete applicazioni in campo terapeutico, mediante sia la farmacologia che la psicologia, utile come “farmaco epigenetico”. Anche nei campi delle addiction (specie in età giovanile) gli interventi di prevenzione psicosociale assumono una rilevanza epigenetica. Ricollegabili all’epigenetica anche le ricerche relative ai circuiti del rinforzo del piacere: un sistema dopaminergico più attivo su basi genetiche può indurre una alterata regolazione delle aree coinvolte durante le sensazioni di piacere, ma gli elementi ambientali che intervengono nel mediare questa attivazione biologica sono altrettanto conosciuti e utili per la prevenzione e per l’intervento sulle dipendenze.
NEUROSCIENZE E INVECCHIAMENTO
Analogo discorso vale per i disturbi connessi all’invecchiamento, per i quali la rilevanza dei fattori sociali (senza trascurare ovviamente quelli psicobiologici) è stata ribadita costantemente dalla letteratura neuroscientifica.
Il raggiungimento dell’obiettivo di un invecchiamento “di successo” dipende dal mantenimento di un adeguato funzionamento cerebrale, in parte legato a una maggiore resistenza alle patologie da proteine beta-amiloidi e tau; ma esistono differenze individuali significative al riguardo, e determinano importanti differenze rilevabili sul piano neuro-psicologico. Anche tra gli “anziani di successo” relativamente sani, alcune funzioni cognitive sono ridotte rispetto ai livelli precedenti, specie per le funzioni che dipendono dalla velocità e dall’efficienza dell’elaborazione cognitiva. Attenzione, memoria di lavoro e funzioni esecutive tendono ad essere più vulnerabili, mentre capacità come la percezione visiva o il linguaggio (specie semantico) sono spesso ben conservate. Mentre il neuroimaging è anche utile per caratterizzare i cambiamenti strutturali, funzionali, fisiologici e metabolici del cervello associati all’età, la valutazione neuropsicologica è essenziale per misurare lo stato cognitivo e funzionale degli anziani, e per monitorare i cambiamenti che potrebbero verificarsi. Serve anche per programmare al meglio interventi che possono migliorare le funzioni cognitive, ad integrazione degli approcci farmacologici.
Importante è quindi mettere a punto strumenti specifici per valutare il funzionamento cognitivo ed emotivo, specificamente aggiornati e standardizzati sul piano psicometrico. Strumenti capaci di individuare per tempo quella caratteristica definita “deterioramento cognitivo lieve” che in una consistente parte dei casi può evolversi in demenza, e i cui segni caratteristici sono proprio di tipo cognitivo (deficit di memoria, specialmente visuo-spaziale) ed emotivo (sintomi depressivi, apatia). Questi disturbi neurocognitivi, se individuati in tempo, possono essere trattati con mezzi sia farmacologici – per esempio facilitando l’assorbimento cellulare del glutammato – che psicologici (training cognitivi, terapie della depressione), prevenendo così il passaggio alla demenza ed evitando i suoi ingenti costi per le famiglie e la società.
LE NEUROSCIENZE APPLICATE AD AMBITI DIVERSI
Campi in cui le neuroscienze hanno avuto applicazioni di grande rilievo sia scientifico che sociale sono l’architettura, l’arte, la musica, le differenze di genere, l’etica. Persino la geografia trae spunti notevoli dalla rappresentazione cerebrale dei territori e dell’ambiente.
Un’attenzione speciale merita il rapporto tra neuroscienze ed educazione. I neuroscienziati indagano sui fondamenti di funzioni essenziali per l’educazione come l’apprendimento, la memoria, l’attenzione, la motivazione, e per il trattamento di disturbi frequenti in ambito scolastico come la dislessia, la disgrafia, l’ADHD, nonché gli aspetti emotivi indagati dalle neuroscienze affettive (Immordino-Yang 2017). La diffusione di queste conoscenze favorisce una riflessione sulle tecniche didattiche e pertanto andrebbe inclusa nella formazione di base e nell’aggiornamento degli insegnanti. I “neuroconcetti educativi” stanno cambiando le opinioni degli insegnanti sulla loro attività e sugli studenti che educano. Bisogna prestare molta attenzione a questa diffusione di conoscenze utili per le applicazioni educative, regolando la comunicazione scientifica in modo da comunicare correttamente le scoperte neuroscientifiche. Esempio rilevante è quello della ricerca sui neuroni specchio che trova applicazioni sempre più ampie ma non sempre appropriate, per cui i confini di estensione della teoria vanno accuratamente precisati, specie per scopi educativi e formativi.
Un campo applicativo delle neuroscienze cognitive di grande interesse ed attualità è quello dell’economia. L’assegnazione nel 2017 a Richard Thaler del premio Nobel per l’economia ha contribuito al ripensamento in termini psicologici di questa disciplina, già avviato da tempo. In particolare, Thaler ha ribadito il ruolo delle distorsioni cognitive che si distaccano dai criteri di razionalità postulati dagli economisti e portano a conseguenze di grande rilievo per il benessere sociale. Lo studio degli errori nei comportamenti economici e dei loro effetti sul mercato può migliorare le decisioni delle aziende e delle politiche pubbliche. L’economia comportamentale, alla quale le neuroscienze offrono utili contributi, serve in generale a comprendere e orientare il cambiamento sociale. I recenti progressi della neuroeconomia sono stati esposti nei Proceedings dell’“Officina di Neuroeconomia” dell’Università Bocconi (Raggetti et al., 2018). La rivista Ricerche di psicologia ha dedicato nel n. 3/2017 un forum a “neuroscienze e management”.
Anche il neuro-marketing ha avuto un impulso notevole negli ultimi anni, investendo ampiamente i settori della pubblicità e del branding. Si tratta di una forma di comunicazione che dalle neuroscienze e dalle sue tecniche di analisi trae spunti di grande rilievo per le applicazioni economiche e organizzative (Garofalo et al., 2021).
Lo studio dei fondamenti psicobiologici della percezione e della motricità sono alla base della neuro-ergonomia, che serve anche a programmare una migliore qualità degli artefatti (Buiatti, 2016).
E LA PSICOLOGIA?
Come le altre scienze della salute, sociali e dell’educazione, la psicologia trae utili elementi dalle neuroscienze, ma non per questo abbandona i propri metodi, faticosamente conquistati, per rispondere alla complessità della mente umana e del sociale in cui la mente è immersa.
In questi sviluppi la psicologia non è un accessorio secondario, ma un attore essenziale con obiettivi e metodi propri. Riprendendo la metafora del matrimonio fra psicologia e neuroscienze avanzata in un saggio di qualche anno fa (Di Nuovo, 2014), si può confermare che questo legame è ancora funzionante e attivo, attento a contrastare tentativi di ingerenza e a gestire i conflitti. E ciò fa ben sperare per la dote che i due partner mettono assieme, e per i prodotti che riusciranno a generare in futuro.
APPLICARE LE NEUROSCIENZE: IL POTENZIAMENTO NEUROCOGNITIVO
Gli interventi di training neurocognitivo non si limitano alle patologie o alla prevenzione di esse. Sono utilizzati sempre più anche per ottimizzare le funzioni cerebrali in modo da migliorare le prestazioni del mondo reale. Oltre al neurofeedback e alla stimolazione magnetica transcranica, già in uso da tempo, si sono aggiunte tecniche come il NeuroTracker messo a punto nel Faubert Lab dell’Università di Montreal, che ha dimostrato una buona efficacia in vari campi, da quello militare alla guida di veicoli e anche nello sport, per esempio migliorando del 15% la precisione dei processi decisionali nei giocatori di football agonistico.
Per applicazioni sportive sono stati sperimentati training che usano stimolazioni elettriche transcraniche per migliorare l’attenzione e la concentrazione, e per migliorare le prestazioni di atleti in sport di resistenza. Tecniche neurocognitive sono state prese in considerazione – per scopi militari – anche in progetti della U.S. Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA). Resta il dubbio se può essere giustificato in ambito sportivo l’uso di queste tecniche, che non si limitano a migliorare le tecniche di allenamento e mental training, ma agiscono direttamente sulle funzionalità psicofisiche messe in atto nelle prestazioni. Si tratta di un campo aperto di discussione sulle applicazioni delle neuroscienze, che potrebbe diventare rilevante nei prossimi decenni.
Un ambito specifico, e molto discusso, del potenziamento neurocognitivo è quello che si basa sulle “smart drugs”, sempre più diffuse a livello commerciale. Ma gli studi sull’uso di sostanze psichedeliche a microdosaggio per migliorare la cognizione e l’umore non ne hanno verificato l’efficacia, evidenziando addirittura effetti negativi come ansia e disturbi fisiologici.
Santo Di Nuovo, professore emerito e docente di Psicologia cognitiva e neuroscienze nell’Università di Catania, è presidente dell'Associazione Italiana di Psicologia.
Tra i vari libri, ha scritto Prigionieri delle neuroscienze? (Giunti, 2014).
Bibliografia
Garofalo C., Gallucci F., Diotto M. (2021), Manuale di neuromarketing, Hoepli, Milano.
Immordino-Yang M. H. (2017), Neuroscienze affettive ed educazione (trad.it.), Raffaello Cortina, Milano.
Kandel E. (2017), Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto (trad. it.), Raffaello Cortina, Milano.
LeDoux J. (2020), Lunga storia di noi stessi. Come il cervello è diventato cosciente (trad. it.), R. Cortina, Milano.
Thaler R. H. (2018), Misbehaving. La nascita dell’economia comportamentale (trad. it.), Einaudi, Torino.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 287 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui