Giustizia riparativa: ascolto e cura della vittima
Per “giustizia riparativa” si intende una concezione di giustizia orientata non a dimenticare il passato e il male che è stato prodotto, ma a riconoscerli per fondarvi sopra sicurezza, responsabilità e benessere di tutte le parti coinvolte.
Eletto presidente del Sudafrica, nel 1994 Nelson Mandela affronta la transizione dal regime dell’apartheid alla democrazia, con una scelta coraggiosa quanto strategica, ispirata a principi di pace e solidarietà: l’istituzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, nel 1995.
La commissione lavorò con il mandato di raccogliere le testimonianze di vittime e carnefici dei crimini politici commessi negli anni dell’apartheid, per realizzare un processo di pacificazione fondato sulla rinuncia alla vendetta, cioè a combattere la violenza con altra violenza.
Ricostruire le verità, consentire alle vittime di essere ascoltate, sostenerle nella narrazione della propria storia di abusi subiti e del dolore, supportarle nella riconquista della dignità violata, sollecitare i colpevoli a testimoniare: questo il lavoro svolto dalla commissione. Un esempio potente di giustizia riparativa.
Altri esempi, provenienti da culture distanti dalla nostra, possono aiutarci a definire il senso di una giustizia talora considerata nel nostro Paese come “giustizia soft”, inadatta a rispondere alla violenza, pensata soprattutto per chi ha commesso il crimine, irrispettosa di chi l’ha subito. Tutt’altro: la Restorative Justice si pone come pensiero e pratiche di accoglienza e cura delle persone, delle relazioni, delle comunità sociali: tutte in sofferenza a causa del crimine, tutte con un bisogno di riparazione del danno, di ricostruzione del senso di fiducia minato, di ricomposizione dei conflitti per risanare ferite delle persone e fratture del tessuto sociale.
Non si tratta di una giustizia che intende “rimuovere” il passato, ma utilizzarlo per l’attesa prospettiva di sicurezza, responsabilità e benessere di tutte le parti coinvolte. Non intende neanche ridurre la portata giuridica del crimine, ma lavorare su ciò che il reato contiene: persone autrici e vittime, luoghi e comunità, danni, sofferenze.
Eloquente, per comprendere questo elemento di riconduzione del reato alle dimensioni personali, relazionali e sociali del comportamento, appare l’esperienza neozelandese del “Children, Young Person, and Their Families Act” del 1989, una normativa fondata sulla tradizione riparativa della cultura maori.
Si tratta, in particolare, di un modello di risposta al reato basato sul consenso di gruppo, dove il tribunale non può prendere decisioni se non a partire dalle proposte elaborate nell’ambito di una family group conference cui partecipano, oltre ai diretti interessati e alle figure con funzioni giudiziarie, le famiglie e componenti della comunità. È per mandato della comunità e insieme alla comunità che si individuano soluzioni attive, responsabili e responsabilizzanti, ai conflitti.
Questa prospettiva è ampiamente sostenuta da direttive e raccomandazioni europee e dall’Economic and Social Council delle Nazioni Unite, che considerano la giustizia riparativa quale strumento di riduzione della recidiva e di “cura” di tutte le parti coinvolte, inclusa la comunità. Citiamo, per tutte, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, la quale «istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato», parzialmente attuata nel nostro Paese con il decreto legislativo 15.12.2015, n. 212.
Fondamentale, in tutti i processi riparativi, è la funzione svolta da una figura esterna facilitatrice che agevoli l’incontro delle parti e la reciprocità dell’ascolto. Non ci riferiamo esclusivamente alla mediazione penale, che costituisce solo una – anche se probabilmente la più conosciuta – delle possibili pratiche riparative.
Molte altre formule sono pensabili, alcune inclusive della comunità, anche laddove l’incontro non avviene: gruppi di supporto alle vittime, sostegno per le famiglie di persone autrici di reato, gruppi allargati alla cittadinanza, per fare solo qualche esempio.
Elementi fondamentali sono la considerazione delle persone, del danno, dell’orientamento rigenerativo rispetto alle sofferenze, ai danni e alle loro conseguenze, nonché la volontarietà della partecipazione.
Quella della giustizia riparativa costituisce una nuova frontiera della psicologia che interagisce con il diritto: pensiamo agli ascolti di vittime minorenni o in condizioni di particolare vulnerabilità, ai programmi in cui il processo penale viene temporaneamente sospeso e chi ha commesso il reato si impegna responsabilmente in percorsi di restituzione anche simbolica alla vittima e/o alla comunità.
Un’area di ricerca e di intervento che dialoga strettamente con altri saperi nella definizione di un approccio relazionale al conflitto generato dal crimine. Un’area in cui la specifica competenza della psicologia giuridica si muove in una chiave esplicitamente promozionale del benessere delle persone e delle comunità, attingendo, oltre che alle proprie tradizioni, al contributo della psicologia positiva: coraggio, speranza, ottimismo, resilienza.
L’European Forum for Restorative Justice, la più ampia e riconosciuta rete di studiose/i, professioniste/i, istituzioni interessate allo sviluppo della giustizia riparativa in Europa e nel mondo, afferma che ogni persona in Europa dovrebbe avere il diritto di accedere ai servizi di giustizia riparativa, in ogni fase e in ogni caso. Per l’EFRJ, elemento focale della giustizia riparativa è la partecipazione attiva della vittima, dell’offender e possibilmente delle altre parti (la comunità).
Ma la giustizia e le pratiche riparative non riguardano soltanto i comportamenti a rilevanza penale. Il loro interesse è rivolto ai diversi conflitti che possono generarsi nella comunità (nelle scuole, nel vicinato, nei contesti di lavoro ecc.) e si esplica non solo come risposta al conflitto, ma in una chiave preventiva di cura delle relazioni. Rispetto e responsabilità, supporto sociale e relazione sono elementi costitutivi del modello.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 268 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui