Gli amori inquinati
La sofferenza ha un senso se è un passaggio ineludibile per poi accrescere il benessere proprio e della coppia. Quanti rapporti patiscono invece malesseri inutili!
L'amore dovrebbe essere collegato a nozioni come piacere, crescita, libertà, scambio, reciprocità, gioia, arricchimento, parole coniugate tra loro in tutti i modi possibili. Il legame è una protezione dalla instabilità, ma è a sua volta fonte di instabilità; ogni legame è difficile da cavalcare.
SOFFRIRE PER POI STARE MEGLIO?
Non è tossico il nuovo amore passionale e travolgente di Silvia che finalmente si è innamorata, anche se soffre e deve buttare all’aria la sua organizzazione di vita. Ha un marito che ha scelto tre anni fa perché era un amore piccolo piccolo che condividevano a distanza, ciascuno dei due impegnato a organizzarsi la vita lavorativa e a imparare l’autonomia da casa. Ora Silvia si è innamorata di un uomo difficile, affascinante, che a sua volta intende riorganizzare la propria vita e dichiara di aver intenzione di lasciare la moglie e i due figli. Silvia è piena di ansie, chiede aiuto perché si sente in colpa verso la famiglia di lui e contemporaneamente ha paura che il proprio sogno non si avveri. Sta male, ha dato troppo potere all’uomo, soffre, ma con molta probabilità l’intenzione di stare insieme al meglio in un nuovo intenso ménage sarà coronata da successo.
Non è tossico soffrire per amore se lo star male è una tappa per poi stare meglio, se porta a una crescita personale, alla comprensione delle proprie dinamiche relazionali, al coronamento di un sogno. È tossico un amore in cui si arriva a soffrire – magari all’improvviso, dopo che la relazione sembrava andare proprio bene – e si resta nella sofferenza, senza vederne la fine. Lo è quello in cui si rimane senza ricevere ciò che si desidera, esposti all’incognita del desiderio dell’altro. È tossico un amore in cui si tortura sé stessi o l’altro, quando si vuol soffrire e far soffrire e si ha bisogno di conferme costanti. Si fanno “pasticci” amorosi esercitando potere, non fidandosi, essendo dipendenti, avendo atteggiamenti autolesivi e chiedendo al partner di tollerare alti e bassi, squalificando l’altro, minacciando costantemente di andarsene, ingannando, raccontando bugie, mettendo in difficoltà e attuando comportamenti come quelli riassunti nel paragrafo successivo (Comportamenti disfunzionali).
Basta che uno dei due faccia pasticci e tutti e due vengono presi da un gioco più grande di loro che li sovrasta e li incastra. Non direi che ci sono sempre un persecutore e una vittima, gli amori tossici catturano ambedue i partner e li trasportano in un dominio di scomodità, frustrazione e infelicità: tutti e due. Il partner può andarsene oppure restare; se resta con la sensazione un po’ onnipotente di riuscire a gestire il malessere oppure addirittura con la pretesa di cambiare l’altro, l’amore si è trasformato in potere. Quando l’amore si trasforma in potere diventa tossico ed è molto difficile per tutti e due potersene andare. È tossico un amore che non si riesce ad abbandonare, in cui si permane anche a costo di farsi torturare psichicamente. È tossico un amore che non ci fa crescere, cambiare, capire, in cui si soffre e ci si trova sempre più deboli e insicuri. Un rapporto che sfocia in distruttività reciproca, indipendentemente da chi le ha dato inizio.
COMPORTAMENTI DISFUNZIONALI
Tra le azioni problematiche più diffuse negli ultimi tempi a livello di relazione (invero, non solo di coppia) annoveriamo:
• ghosting: comportarsi da fantasma, esserci e non esserci a piacimento;
• love bombing: cercare di impressionare, a volte con offerte esagerate di attenzioni chiamate a compensare momenti di disinteresse totale;
• benching: lasciare “in panchina” qualcuno con cui non si ha alcuna intenzione di costruire un rapporto solido, ma che si vuole comunque tenere legato a sé;
• stashing: rinchiudere la relazione in una bolla di isolamento e tenere il partner “segreto”.
«FACCIO DIVANING»
Da fidanzati, Agnese e Marco erano perfetti, innamorati, attenti uno all’altra, rispettosi, allegri. Dal ritorno dal viaggio di nozze, Agnese torna a casa dal lavoro per sdraiarsi sul divano e non emergerne neppure per mangiare («Faccio divaning» mi dirà con ironia). Non si alza durante il weekend, non rivolge la parola al compagno, non ha voglia di fare niente con lui. Agnese è critica e squalificante. Bisognerebbe andarsene e lasciarla cuocere nel suo brodo, ma Marco si colpevolizza, a volte non si sente all’altezza, altre volte pensa di amarla abbastanza da farla tornare all’energia che lei aveva quando si sono conosciuti.
Per questo la tollera, le sta attorno, le permette di trattarlo male. Il loro amore diventa tossico perché sembra una camera a gas: non c’è aria, non c’è piacere, non c’è crescita. Marco tollera sempre più angherie e ingiustizie, si sente in colpa perché è casalingo, mentre Agnese di carattere è sociale e vogliosa di novità. Agnese non sembra tollerare la routine della coppia, ma non sa mettersi in discussione, anzi mette il compagno alla prova, lo accusa del proprio malessere provocandolo sempre più. A sua volta si trova prigioniera del proprio comportamento provocatorio, senza la capacità né la voglia di spiegarsi. I partner si trovano stretti in un angolo dai reciproci comportamenti e sembrano entrambi impossibilitati a lasciare il campo, fino allo sfruttamento emotivo e fisico. Tra i due scorre una comunicazione vuota, accusatoria, mutuamente rivendicativa, non sana.
UNA PRIGIONE L’UNO PER L’ALTRO
È tossico un amore dipendente in cui una persona piano piano si è scolorita nella routine, arrivando a provare solitudine, mancanza di senso e pigrizia, successivamente insicurezza e dis-identità. Una quieta infelicità che porta a subire l’altro e a sopportare qualsiasi prevaricazione pur di non ritrovarsi soli. Può trattarsi di un punto di partenza o di arrivo, non importa, in ambedue i casi porta a dire «Senza te io non esisto» (Valcarenghi, 2009). Fausta vive la sua dipendenza dal compagno come un valore. La mostra come un bel fiore sul bavero della giacca. Si è consegnata a lui e fa della fusione il suo mantra. Lo accudisce, lo ama, lo accompagna al lavoro, lo chiama più volte e ha costantemente paura che lui le nasconda qualcosa. Si comporta come pensa che lui voglia che lei si comporti, si veste per piacere a lui, comincia a vedersi attraverso gli occhi di lui e a perdersi. Chi è lei? Non le importa, le importa che lui la approvi, la ammiri, la accudisca quanto lei accudisce lui.
La loro relazione piano piano diventa una prigione reciproca, uscire da soli un dispetto, svincolarsi anche per un’ora una minaccia. Ogni momento fuori dal lavoro lo passano insieme. Fausta lo fa perché lo «ama troppo». Lui, all’inizio per amore e perché si sentiva orgoglioso di tutte queste attenzioni; poi per non scatenare le ire e la disperazione di Fausta, per quieto vivere; poi ancora per abitudine; alla fine per costrizione, perché ha abdicato: resta nella relazione ma si sente sempre più infelice, finché non si ammala.
VIOLENZA RECIPROCA
È tossico un amore in cui si manifesta violenza reciproca, anche se noi psicologi ci domandiamo spesso se si possa parlare di “violenza reciproca”, dato che la violenza è usualmente il sopruso di uno a cui l’altro abdica e a volte partecipa. Rita e Toby stanno insieme da quattro anni e hanno una bambina. Rita ha lasciato il lavoro per due anni, alla nascita della figlia, e ora vorrebbe tornare a fare l’architetta. Toby si sente insicuro del legame, teme che entrando nel mondo del lavoro la donna lo lasci, per questo la cerca sessualmente in modo esagerato, per ricevere conferme che non bastano mai. Rita, da una parte, gode di queste attenzioni costanti, dall’altra ha sentito due o tre volte un brivido di paura lungo la schiena. Il rapporto sessuale è sempre più acceso dalla rabbia reciproca: Toby è violento perché esasperato dalla paura di perderla, Rita lo provoca perché vuole accedere al mondo esterno.
Toby è violento, Rita tollera perché ha visto un rapporto verbalmente molto aggressivo tra suo padre e sua madre. Dopo la paura, arriva l’eccitazione e fanno sesso in maniera selvaggia. Dopo le botte arrivano il senso di colpa di Toby e la sensazione di potere di Rita, poi il ciclo ricomincia. Ogni volta la violenza diventa maggiore, la donna nasconde i lividi anche a sé stessa. Il loro segreto fa da collante alla coppia, che non riesce a separarsi né a interrompere il circolo vizioso che potrebbe sfociare in danni assai gravi.
Molti comportamenti di coppia diventano frutto di un inganno relazionale che va sbrogliato come una matassa, un inganno che non sempre comporta “buoni” e “cattivi”, ma piuttosto vittime sacrificali entrambe penalizzate dal gioco in atto. C’è poi una forma di amore che porta a ricercare la sofferenza e l’impossibilità, è una nuova forma di godimento in questo mondo ipermoderno (Telfener, 2018). Tante persone si ritrovano in rapporti fantasma, solamente virtuali, che le fanno soffrire, con partner che manifestano comportamenti imprevedibili, che non si definiscono, che hanno altre storie contemporaneamente. Si entra in un rapporto impossibile che si coltiva anche se fa soffrire ed è soltanto teorico:
1) per non perdere l’idealizzazione dell’amore;
2) per provare emozioni intense e passionalità;
3) per non compromettersi con la realtà;
4) per non mettersi davvero in gioco;
5) per paura di entrare in dipendenza;
6) per paura di deludere o venir delusi.
Un partner solo virtuale permette di sentirsi innamorati senza sporcarsi le mani con la relazione. Ambra sceglie attivamente uomini impossibili. Solo quelli sembrano piacerle. Più sono sfuggenti, più li considera affascinanti. Cerca dei lupi di fronte ai quali sente timore, diventa Cappuccetto Rosso. Sembra pensare: «Solo se sei pericoloso m’interessi, solo se mi potresti far male posso affidarmi, posso volerti bene». Ambra si mette nei pasticci da sola, cerca l’esperienza della mancanza che le permette l’apertura verso l’altro, verso uno scambio simbolico intenso. I compagni disponibili e attenti non sembrano interessarla. Di un fuggiasco ama l ’ombrosità, l ’insicurezza che le provoca, il dover sempre mostrare l’aspetto migliore di sé. La sfida. Un uomo “difficile” accende la sua parte seduttiva, la fa sentire sexy, le permette di superare i suoi limiti. Naturalmente suo padre è stato un gran donnaiolo, ha spesso tradito la madre e Ambra crescendo si è sentita come il braccio armato della madre, colei che seduceva papà e lo teneva a casa con tutt’e due. Ambra continua a ripetere lo stesso copione: più il compagno pare torturarla con la sua inaffidabilità, più lei entra nell’arena e lotta per il suo amore. Più abnega sé stessa, più prova a catturarlo e a tenerlo vicino a sé sopportando qualsiasi cosa. Questa suapassionalità può essere una cosa buona, ma può anche finir male. Finisce male in termini di aggressività e insicurezza.
MOLESTIE MORALI
Parliamo di “molestie morali” quando c’è un maltrattamento psicologico non esplicito, che ferisce profondamente. Esso avviene quando:
1. il partner viene prima sedotto, poi squalificato;
2. la comunicazione non è diretta, ma trasversale, e disorienta;
3. gli sguardi e le richieste indicano svalutazione e manipolazione;
4. il/la violento/a sfrutta l’altro ai propri fini;
5. il partner si sente “vampirizzato”.
Le violenze morali sfociano in insulti e minacce, il clima per chi le subisce è di terrore costante. Si teme che l’altro si stranisca, diventi violento o insultante all’improvviso, ci si sente isolati, senza possibilità di conforto e verifica, squalificati,
disorientati e resi deboli dall’incomprensione di ciò che sta avvenendo, dalla collusione che spesso sembra l’unica strategia per sopravvivere. La violenza morale è difficile da stanare, è spesso un segreto all’interno della coppia e rende tutti e due sempre più deboli.
COME USCIRE DA UNA RELAZIONE TOSSICA?
La prima cosa da fare è rompere il segreto che la relazione tossica mantiene. Introdurre un testimone, un’amica/o, un terapeuta, dirlo a qualcuno di cui ci fidiamo; avere il coraggio di fare coming out e di dichiarare a sé stessi e al mondo che il rapporto è malato, che non permette di crescere, anzi ci sta distruggendo. Il secondo passo è quello di lavorare su di sé, sui propri desideri, sui propri progetti. Affrontare l’insicurezza che si sente, la paura di stare sulle proprie gambe da soli, la sensazione di non essere indipendenti, di aver perso contatto con la vita, di non avere significato senza la sofferenza che l’altro ci procura. Solo quando ci si è rafforzati psicologicamente si può prendere in considerazione la relazione col partner, partendo da sé, da ciò che si desidera. Le relazioni tossiche vanno spezzate, non possono essere cambiate restandoci dentro.
Si deve uscire da quella relazione e ritrovarsi altrove. Ci si può reincontrare? Succede, anche se raramente. Dipende da quanto ciascuno dei due è disposto a non mettere in atto di nuovo comportamenti patologici. Mai più.
LA MANCANZA DI CONFINI
Possiamo identificare dei segnali d’allarme rispetto a relazioni tossiche nelle quali non ci accorgiamo di “danzare”? Certamente. La mancanza di confini; non avere più una vita al di fuori della relazione di coppia; non saper più stare separati; usare alcol e droghe per stabilire il legame; sempre maggiori rigidità e divieti nella convivenza; paura a esprimersi; emozioni striscianti quali infelicità e paura; senso di pesantezza all’idea di tornare a casa; senso di insicurezza incomprensibile, come se ci si stesse sfaldando. La psicologia popolare parla solo di uomini che torturano le donne, identifica gli amori tossici con un persecutore e una vittima innocente. In questo momento storico è di moda demonizzare i narcisisti e i loro comportamenti ripetitivi, lesivi, di vera e propria violenza morale. Spero di aver dimostrato con questo articolo che il gioco relazionale tossico è molto più complicato, che quasi sempre esiste una collusione di coppia che porta ambedue i partner ad essere contemporaneamente persecutore e vittima. Certo, uno dei due è più smaccato nei suoi comportamenti ambivalenti, squalificanti e dolosi, ma la partecipazione è quasi sempre condivisa.
Noi psicologi andiamo a cercare la collusione e ci chiediamo perché si sia entrati proprio in quella relazione così frustrante e infelice e cosa ciascuno dei due debba imparare dalla vita.
Umberta Telfener, psicologaper la salute, è didatta del Centro milanese di Terapia della famiglia e membro del board dell’European Family Therapy Association - Training Institutes Chamber (EFTA-TIC).
Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui