I 100 m di mister Miyazaki e i 100 km del signor Fagnani
Negli anziani estremamente attivi, il segreto delle grandi prestazioni non è fisico ma psicologico. Come testimoniano i due campioni del titolo.
Avvertenza: se «Sono troppo vecchio per farlo» fosse la vostra scusa preferita per evitare l’esercizio fisico, vi consiglio di non leggere quanto segue.
Una maratona corsa sotto le tre ore appare una sfida molto impegnativa a tanti quarantenni. Eppure lo scorso dicembre, a Jacksonville in Florida, Gene Dykes, un ex tecnico informatico di Philadelphia, ce l’ha fatta: 2:54:23. «E con questo?» vi verrà da pensare. Forse vi può interessare sapere che Gene è un ultrasettantenne, e che il suo tempo rappresenta il nuovo record mondiale per la categoria 70-79.
Va bene, direte, notevole; però – diciamola tutta – oggi la popolazione dei settantenni è ancora molto attiva. Quindi, il tutto non è poi così stupefacente come potrebbe sembrare. D’accordo. Che dire allora del signor Hidekichi Miyazaki che, con 105 anni di età e un tempo di 42 secondi e 22 centesimi sui 100 metri, è iscritto nel Guinnes dei primati (2015) come sprinter in attività più anziano al mondo? (CONTINUA...)
Tagliando il traguardo, il signor Miyazaki è scoppiato in lacrime. «Commozione senile» ha pensato la maggior parte degli spettatori. Sbagliato. «Ho pianto» ha spiegato lui, tormentando il fazzoletto con le mani esili, «perché, nonostante oggi il mio obiettivo fosse 35 secondi, non ero in condizioni perfette; e non si poteva rimandare». Un tale perfezionismo a 105 anni lo rende un caso interessante non solo dal punto di vista motorio.
Ho sempre pensato che chi riesce a conservare motivazione e a darsi degli obiettivi anche quando il resto del mondo lo invita ad accomodarsi sul divano con un bicchiere di latte caldo in mano, si garantisca anche delle prestazioni fisiche inaspettate. Tuttavia la relativa rarità ad oggi di studi su casi come questi non ci permette di fare delle generalizzazioni: per trarre conclusioni in merito al rapporto tra fattori di personalità e prestazione fisica dobbiamo analizzare casi singoli. Ecco allora che vi presento quello che ho avuto la fortuna di conoscere io.
Nel maggio dell’anno scorso il signor Walter Fagnani di Vigasio, in provincia di Verona, classe 1924, ha tagliato per la 45a volta il traguardo della “Cento chilometri del Passatore”. Per percorrere i 100 km di asfalto che dividono Firenze da Faenza ha impiegato poco più di 18 ore. Un piccolo chiarimento: a 94 anni suonati sarebbe già una piccola impresa se parlassimo di un arzillo pensionato che li ha percorsi in macchina o in motorino. Il signor Fagnani, però, li ha percorsi a piedi! Ovviamente il “Passatore” è una gara ufficiale, con giudici, controlli e check-point. Quella del nostro amico è stata, quindi, una fatica reale, non una vanteria da bar.
Walter rappresenta una specie di patrimonio dell’umanità. È infatti prezioso per tutti noi comprendere quali siano i fattori che gli hanno permesso di arrivare alle 94 primavere in questo stato di grazia: un mix legato all’interazione tra genetica, stile di vita e fattori di personalità. Per questo motivo l’Università di Verona nel 2015 ha pensato di “studiarlo”, monitorandolo anche durante il “Passatore” corso in quell’anno. Ebbene, alcuni dati sono molto significativi. Ecco, per esempio, sfumare subito l’ipotesi che la longevità atletica sia legata al possesso di qualità fisiche straordinarie: dal punto di vista del “motore”, Walter non è infatti un mostro della genetica. Nel 2015 il suo massimo consumo di ossigeno (un parametro fisiologico paragonabile alla cilindrata del motore) si attestava intorno ai 37 ml x kg al minuto, un valore che non presenta uno scostamento straordinario dallo standard per la sua età, che è di 33 ml x kg. Pertanto, non sarebbe il possesso di un talento fisiologico innato a giustificare le sue prestazioni in età avanzata, quanto piuttosto l’esercizio e l’allenamento portati avanti con perseveranza per oltre quattro decadi.
Ancora più interessanti sono i dati riguardanti l’aspetto psicologico e cognitivo. Nel 2015, durante il “Passatore”, le capacità cognitive di Walter sono state testate in 6 punti lungo il percorso. Il risultato sorprendente è che il suo cervello riesce a rimanere efficiente e lucido a dispetto della progressiva stanchezza e dell’età. Ovviamente, si verifica una perdita percentuale di efficienza nell’attenzione e nella capacità matematica mano a mano che i chilometri scorrono, ma questa perdita è paragonabile a quella che si verifica in un soggetto con la metà dei suoi anni posto nella stessa situazione stressante. In pratica, è come se un cervello allenato a gestire lo stress fosse meno vincolato all’età anagrafica. È il livello di allenamento a fare la differenza, piuttosto che il dato anagrafico puro.
Fondamentali rimangono anche gli atteggiamenti e i fattori di personalità. Racconta Aldo Savoldelli, ricercatore del CERISM, il Centro di ricerca sulla prestazione dell’Università di Verona, che ha accompagnato in bicicletta Fagnani per tutta la gara: «Walter tende a minimizzare tutti i problemi – dai dolori alla fatica – e ha molto sense of humour. Non solo non l’ho mai sentito lamentarsi per tutte e 18 le ore, ma ha addirittura ribaltato la situazione: invece di calarsi nella parte del novantenne passivo che richiedeva le attenzioni di tutti – accompagnatori e altri concorrenti –, lui si poneva come punto di riferimento. A tutti dispensava consigli o incoraggiamenti. A me, invece, continuava a suggerire punti interessanti del percorso da fotografare o da vedere, come se fosse lui ad accompagnare me, e non il contrario».
La psicologia sta accumulando sempre più evidenze sull’esistenza di un’interazione fra atteggiamenti, stile di vita e qualità dell’invecchiamento. Tutto funziona con il meccanismo della profezia che si autoavvera: se mi convinco che “ormai è finita” e mi rifiuto di uscire dalla mia zona di comfort, le mie capacità si atrofizzeranno velocemente e la fine diventerà reale. Se, invece, continuerò a cercare stimoli, a impegnarmi per raggiungere degli obiettivi, ad essere curioso nei confronti del mondo, le mie capacità mi seguiranno ancora per molto tempo.
Pietro Trabucchi si occupa di motivazione, gestione dello stress e resilienza, in particolare applicata alla psicologia dello sport. Insegna all’Università di Verona.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Questo articolo è di ed è presente nel numero 273 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui