Andrea Castiello D'Antonio

Il leader 
narcisista

Una delle peggiori iatture è quella di ritrovarsi un superiore che nei volti dei sottoposti vuol vedere riflesso il proprio volto, con le sue manie e le sue idiosincrasie.

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La questione della leadership narcisistica chiama in causa una molteplicità di riflessioni, stanti l’attualità dell’argomento, i suoi riflessi non soltanto sul funzionamento delle organizzazioni e delle istituzioni, le implicazioni etiche, sociali e politiche di questo genere di gestione, ma anche le difficoltà che pone nel momento in cui si voglia puntare a un efficace risanamento dell’ambiente organizzativo da essa inquinato.

IL MANAGER “SUFFICIENTEMENTE ADEGUATO”

Per comprendere l’impatto che comportano gli stili distruttivi di leadership, di cui lo stile narcisistico è un esempio (anche se uno dei peggiori), si deve fare riferimento a come dovrebbe essere un buon manager o un manager sufficientemente adeguato. Con l’evolversi della società, della cultura e delle aspettative nei confronti del lavoro, ma anche con lo sviluppo di nuove mentalità delle diverse generazioni (in ordine cronologico: i baby boomers, la X generation, i millennial – o Y generation –, la net generation e i nativi digitali), al “capo” è richiesto di avere un ventaglio di qualità soggettive e soprattutto di saperle mettere in pratica. Infatti, si ha necessità di sani stili di leadership quotidianamente vissuti e concretizzati, non di enunciazioni vaghe in merito a teorie ideali, ripetendo frasi fatte e slogan (è il problema delle cosiddette “exposed theories”, che immancabilmente non si traducono in comportamenti organizzativi). Ciò comporta una serie di attenzioni tra le quali spicca la cura delle qualità umane del manager, che sono assai più rilevanti delle sue competenze professionali: troppe volte sono stati posizionati in ruoli gestionali i classici “bravi professional”, col risultato di perdere un buon tecnico e di acquisire un pessimo capo!

Tra le qualità rilevanti del manager e del leader di oggi vi sono caratteristiche sofisticate e per nulla scontate, come il coraggio, la visione prospettica, la capacità di dare senso al lavoro che si svolge, l’autocritica dialettica, il saper creare una squadra, la gestione costruttiva della conflittualità interna ed esterna. Ma, fra tutte, spicca – e non potrebbe essere altrimenti – quella dimensione variamente denominata come “stabilità emotiva”, “equilibrio mentale”, “gestione dello stress”, che in sostanza è rappresentata dall’igiene mentale, dall’equilibrio psicologico, dall’etica personale, dall’integrità e dalla struttura globale dell’identità personale.

Trascurare tali elementi significherebbe considerare il manager e il leader una sorta di “risorsa” da impiegare nel meccanismo produttivo come una macchina, uno strumento, un apparato. E infatti non poche imprese elogiano i propri primi livelli definendoli quali macchine da guerra, comandanti al fronte, incursori sulla trincea dei competitori, nello spirito della metafora che vede l’organizzazione di lavoro come un esercito in marcia verso la battaglia. Del resto, la miopia o la distonia tipica di talune organizzazioni scambia facilmente per “assertivo” un soggetto aggressivo o semplicemente ineducato, per “abile negoziatore” una persona manipolatrice e banalmente cinica, per “logico e razionale” un manager distaccato ed emotivamente glaciale.

LE “MALATTIE” DEL MANAGEMENT E DELLA LEADERSHIP

Il panorama delle psicopatologie manageriali è ricco e articolato. Ormai si sono superati ampiamente i limiti che, nelle teorie tradizionali sulla leadership, vedevano gli stili inefficaci soltanto nelle modalità paternaliste, autoritarie, collusive e lassiste – modalità che certamente esistono tutt’oggi, ma che costituiscono un rischio minore rispetto a ben altri stili disfunzionali. Oggi sono emerse numerose fisionomie psicopatologiche assai poco percettibili e difficilmente valutabili, spesso scambiate per caratteristiche di gran pregio e utili alle organizzazioni. Il potere di fascinazione che emana la personalità narcisistica – incarnata nel manager o nel leader – rappresenta un grande pericolo ed è la causa di scelte problematiche non solo nel mondo del lavoro, ma anche nella società e nel mondo della politica. 

Identificando le psicopatologie della leadership e del management, è necessario collegare ad esse le cosiddette nevrosi organizzative. Le disfunzioni della personalità tendono a mimetizzarsi all’interno delle funzioni manageriali e della leadership, specularmente alle nevrosi organizzative. È inevitabile che un manager caratterialmente instabile, o decisamente patologico, incida pesantemente sull’organizzazione: il potere di posizione che è nelle mani del manager o del leader può essere usato come una clava per distruggere, bloccare e reimpostare tutto ciò che di buono si è sviluppato fino a quel momento all’interno del gruppo di lavoro. 

Da tempo sono state individuate le nevrosi organizzative, declinate sui parametri della nosografia clinica: organizzazioni depressive, schizofreniche, paranoidi, isteriche, ossessive. Ma non sono solo i manager e i leader a utilizzare la vita di lavoro come proiezione del proprio “teatro interno”. Anche le persone che compongono i team tendono a sviluppare visioni irrealistiche, fantasie di gruppo condivise, per mezzo delle quali sono espressi i sentimenti negativi più insidiosi, quali l’ostilità, l’idealizzazione, l’invidia, la dipendenza, la rivendicazione demolitrice o l’attesa passiva.

La dinamica della vita organizzativa rappresenta il “palcoscenico” sul quale in molti non fanno altro che accendere, ripetere e variare le proprie singole storie di vita; storie antiche e dimenticate, ma ancora perfettamente agenti che inconsapevolmente si riattivano nelle relazioni con superiori, colleghi, collaboratori e clienti. In questo quadro si colloca la leadership narcisistica.

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LA LEADERSHIP NARCISISTICA 

Il leader narcisista vuole essere ammirato e “amato” da tutti: ciò implica la riluttanza a prendere una decisione e ad assumere una posizione definita per il pericolo di scontentare alcuni e di alienarsi l’affetto e il sostegno di altri. Il bisogno di essere amato comporta altri problemi nell’esercizio del ruolo gestionale: esibizionismo, mancanza di tolleranza alle critiche, tendenza a dividere il mondo in “buoni e cattivi” circondandosi di fidati servitori-amanti, a cui è contrapposto un ambiente di soggetti percepiti come ostili, invidiosi, scontenti per principio. 

Caratterizzato dalla tendenza a instaurare relazioni strumentali e superficiali, il leader narcisista utilizza gli altri fino a che sono suoi supporter, invidia chi è percepito come più competente, è portato a sollecitare l’acquiescenza passiva ai propri voleri mentre svaluta, svilisce e distrugge coloro che vede come nemici.

Autocentrato, autoreferente, sopravvalutante sé stesso, caratterizzato da un mondo emotivo semplificato, superficiale e grezzo, sprezzante e invidioso di coloro che a lui non si assoggettano, o che si difendono rimanendo autonomi, egli manifesta la tipica e totale mancanza di interesse genuino e di empatia per gli altri che connota i soggetti affetti da grandiosità. Si comprende bene come un soggetto così strutturato nutra uno smodato bisogno di prestigio, di successo e di potere, cosa che può anche farlo deragliare verso stili gestionali delinquenziali, per esempio corrompendo soggetti interni ed esterni all’organizzazione pur di avere il loro appoggio. Le spinte motivazionali al potere e al prestigio, unite al fascino che tali persone promanano – si tratta di persone spesso dotate di un alto livello di intelligenza –, le rendono candidate ideali a ruoli di vertice e a posizioni di comando. Nelle dure competizioni per la scalata alle piramidi gerarchiche le persone intorno, se competitrici, vengono macinate e maciullate, alimentando le emozioni peggiori nel luogo di lavoro anche in virtù di una sostanziale mancanza di senso etico e di considerazione per tutto ciò che esuli dal proprio tornaconto personale.

Nei gruppi di lavoro, leader di questo tipo tendono a spaccare il tessuto socio-organizzativo: da un lato gli adulatori, gli alleati per paura o per interesse, gli ingenui realmente affascinati, gli idealizzatori, e dall’altro le persone che si rendono conto di ciò che sta accadendo e tentano in primo luogo di difendere loro stesse e poi di tenere il ruolo, al fine di far funzionare i sistemi aziendali. Ma il costo globale della presenza del leader narcisista è, in sintesi, la patologizzazione del luogo di lavoro.

Numerose descrizioni del comportamento manifestato dai leader narcisisti indicano la presenza di insicurezza di fondo, instabilità emotiva, tendenza a dire bugie e falsificare i fatti, negazione della realtà, costante bisogno di essere adulati, culto autoritario della personalità, ammirazione verso la tirannia, tendenze paranoiche, difficoltà a prospettarsi le conseguenze future di azioni, de-umanizzazione degli avversari, misoginia, razzismo e manipolazione. Il tutto produce una miscela tossica, nel quadro di una bully personality che intimorisce fortemente coloro che si oppongono.

La difficoltà nel distinguere tra realtà e fantasia, tipica delle personalità narcisistiche, evoca le fisionomie della malignant normality (malvagia normalità), della sociopatia, del temperamento ipomaniacale, di uno stile di comportamento denominato “gaslighting” (cioè disconfermante e confusivo), della leadership paranoica, delle malattie del potere, della leadership “diabolica”. È possibile riferirsi a tali casi utilizzando le categorie diagnostiche del DSM-5 e le psicopatologie organizzative al fine di illuminare le dinamiche che simili presenze mortifere accendono nelle organizzazioni: tenendo sempre ben presente che si sta parlando non in modo metaforico, né di idealtipi astratti, bensì di persone in carne e ossa, spesso collocate in ruoli di vertice da altre persone a loro volta malate, corrotte o semplicemente inconsapevoli.

È stato notato che colui che diviene un leader distruttivo, avendo raggiunto una posizione di alto livello, in realtà aveva iniziato la sua “carriera” come una sorta di narcisista mimetizzato, adattato: è il connubio tra personalità narcisista e gestione del potere che fa esplodere le modalità distruttive di azione organizzativa! E, dato che queste sono persone che si circondano di una ristretta cerchia di “gladiatori” al fine di consolidare il proprio potere e di annientare gli oppositori, una volta raggiunto il vertice della piramide tendono a permanere indisturbate; soprattutto se – come si dice – «portano i risultati» (s’intende, risultati di profitto) agli stakeholder! Nel pubblico impiego avviene una dinamica simile, ma il risultato che questi portano non è il MOL, Margine Operativo Lordo, bensì la gestione del potere per conto di gruppi di pressione interni o esterni.

Disquisendo sulle forme di leadership distruttiva, e su quella narcisistica in particolare, si commetterebbe un errore nel vedere questo problema confinato agli ambiti delle aziende e imprese private – ambienti in cui, se e quando vige la meritocrazia, si sa molto bene come difendersi da rischi di tal genere. Soggetti portatori di lineamenti narcisistici si possono trovare in tutte le aree del lavoro pubblico, per esempio negli ambiti della sanità non meno che in quelli dell’istruzione: tutti hanno presente l’immagine del primario altezzoso, supponente e inarrivabile, così come dell’accademico presuntuoso, glaciale e autoritario, persone che trattano i loro collaboratori come portaborse, galoppini e schiavi, e gli utenti (pazienti e studenti) come un noioso disturbo del quale liberarsi presto. La prassi della de-meritocrazia, ancora oggi vigente nel nostro Paese, fa sì che numerosi ambienti di lavoro continuino ad essere frequentati da soggetti che incarnano stili di leadership altamente destabilizzanti tesi a provocare direttamente sofferenza individuale e sociale, incarnando ciò che è stato definito come “psicopatologia manageriale”, “deragliamento della leadership”, “patologia organizzativa”, “malattia del potere”, “leadership tossica” – fino a giungere ai confini in cui gli stili patologici di leadership si confondono con comportamenti delinquenziali e criminali.

Sembra incredibile, ma vi è stato anche chi ha perorato la causa del manager narcisista tessendone le lodi, sottolineando per esempio che questi capi sono molto sicuri di loro stessi (guarda caso!) e hanno una “visione” – ma i servizi di salute mentale sono pieni di gente che ha delle “visioni”… In sostanza, l’idea è che un pizzico di follia non guasta, ma questo, forse, solo perché alcuni ambienti organizzativi sono davvero un po’ folli.

DONALD TRUMP È UN NARCISISTA?

Donald Trump è un caso psichiatrico? La domanda se, quanto e come l’ex presidente degli Stati Uniti sia un “malato mentale” è rimbalzata nel mondo (Lee, 2017). Su di lui molto è stato scritto dal momento in cui ha preso il potere. L’esercito di coloro che lo ritengono inadatto è ampio, ma i dubbi sul suo equilibrio mentale sono sorti prima della sua nomina a presidente, quando il 29 novembre 2016 i tre psichiatri Judith Hermann, Nanette Gartrell e Dee Mosbacher inviarono una lettera a Barack Obama richiedendo che Trump fosse sottoposto a una «valutazione medica e neuropsichiatrica completa da parte di un team imparziale di investigatori»: un suggerimento che non fu raccolto.

LE COMPETENZE OGGI DELLO PSICOLOGO DEL LAVORO

La psicologia delle organizzazioni è una psicologia “applicata”: ciò significa che in quest’area professionale sono regolamentate conoscenze che provengono da molteplici fonti. Oggi più che mai, allo psicologo del lavoro dev’essere richiesta un’articolata conoscenza delle teorie della personalità e dei principali lineamenti patologici degli individui e delle dinamiche di gruppo. Non è sufficiente conoscere la psicologia sociale, le teorie dell’organizzazione, i modelli di leadership fisiologica per selezionare, formare e sviluppare il capitale umano degli anni Duemila.

CONCLUSIONI 

Si potrebbero concludere queste note con un C’era una volta… C’era una volta l’idea che un capo dovesse sicuramente essere il migliore dei suoi uomini, dare il buon esempio e occuparsi di far lavorare le persone nel miglior modo possibile; un tempo si riteneva che la realtà delle organizzazioni fosse frequentata da soggetti manageriali “normali”, psicologicamente sani, adeguatamente adattati al ruolo e al mandato ricevuto. L’idea astratta di un mondo del lavoro sano e razionale – l’immagine dell’azienda come orologio, le teorie dell’organizzazione come totem a cui la realtà viva del lavoro si sarebbe dovuta rifare – è stata da tempo messa in crisi. Ciò perché a un vertice manageriale patologico non può che corrispondere un ambiente insano: è una questione di esercizio del potere. Se, chi decide, premia i comportamenti peggiori dei propri collaboratori, offrendo egli stesso l’esempio distorto da imitare, per chiunque altro diviene molto difficile opporsi a tale situazione e mantenere un minimo di equilibrio personale. Ma non si deve nemmeno cadere nella trappola di vedere soltanto nei vertici il rischio del narcisismo e delle distorsioni etico-organizzative: tutti, leader e follower, possono essere presi nel vortice della patologizzazione dell’ambiente di lavoro, ognuno certamente con il proprio “peso” specifico, ma ognuno contribuendo a rendere disfunzionale ciò che potrebbe essere un normale e magari piacevole ambiente professionale.

Andrea Castiello D’Antonio, psicologo clinico e psicoterapeuta, psicologo delle organizzazioni, e consulente di management, già professore straordinario di psicologia all’Università Europea di Roma, ha pubblicato ventun volumi e circa duecento articoli in diverse aree applicative della psicologia professionale.
www.castiellodantonio.it
Facebook: Prof. Andrea Castiello D'Antonio


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Castiello d’Antonio A. (2011), «Leadership malata. Le patologie del management», Psicologia contemporanea, 228, 12-15.

Castiello d’Antonio A. (2013a), L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa, Franco Angeli, Milano.

Castiello d’Antonio A. (2013b), «Valutare un leader. Come prevenire la leadership tossica», Psicologia contemporanea, 240, 46-51. 

Kernberg O. F. (1998), Le relazioni nei gruppi. Ideologia, conflitto e leadership (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999.

Kets de Vries M. F. R., Miller D. (1984), L’organizzazione nevrotica (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992.

Lee B. (2017), The dangerous case of Donald Trump, Thomas Dunne Books, New York.

Maccoby M. (2000), «Narcissistic leaders: The incredible pros, the inevitable cons», Harvard Business Review, 77 (1), 69-77.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui