Il tempo sospeso
La malattia oncologica attraverso gli occhi della persona malata
È importante il ruolo che la psicologia, nella sua specifica declinazione psiconcologica, può avere nell’aiutare una persona alle prese con un cancro e la sua famiglia.
Per chiunque può risultare arduo raccontare le esperienze più delicate e difficili della propria vita. Lavorando in ambito oncologico, veniamo a contatto con persone che con impegno ma anche con tanta dignità ci raccontano la loro malattia. Come la incontrano, come la vedono e come la sentono in ogni passo della loro vita. Ci raccontano come si stravolge la loro vita dal giorno dopo. Il giorno dopo il sospetto, il giorno dopo la biopsia, il giorno dopo la diagnosi. La loro vita diventa più che mai costellata di attese: l’attesa della prima visita, l’attesa di fissare gli esami, l’attesa dei referti, l’attesa della diagnosi, l’attesa degli esami specialistici e dei controlli di routine… l’attesa in sala d’aspetto!
SUPPORTARSI NELL'ATTESA
Le giornate che scorrono con il ritmo della quotidianità di sempre, il lavoro, la casa, la famiglia, gli amici; all’improvviso un sintomo, un controllo di routine, un nodulo o avvisaglie che destano preoccupazione. Le prime visite, gli accertamenti, le prime ipotesi. Il senso dell’incertezza inizia a farsi sentire e le parole delle persone care «aspettiamo», «vediamo», «cerchi di stare tranquillo» non sono sempre sufficientemente rassicuranti da colmare la paura di ciò che di brutto si immagina.
Una domanda consuma la mente come un tarlo consuma il legno: «E se fosse un tumore?». Le persone ci raccontano e ci insegnano che in preda alla paura si impara a fare a braccio di ferro tra il “potrebbe darsi di sì” e il “potrebbe darsi di no”. In questa battaglia emerge la necessità di supportarsi anche con le mezze risposte e fare delle frasi a metà lo scudo davanti allo scenario velato del proprio destino. Tra la fretta di sapere e la conta dei tempi lunghi, vi è la speranza nelle parole mancanti, perché in fondo saper aspettare significa anche poter sperare.
I DATI: INCIDENZA, PREVALENZA
In uno studio pubblicato nel volume del 2018 I numeri del cancro in Italia si legge che, nel corso del medesimo anno, sono state circa 373 000 le nuove diagnosi di tumore (esclusi i carcinomi della cute), di cui circa 195 000 (52%) fra gli uomini e oltre 178 000 (48%) fra le donne. Sempre escludendo i carcinomi della cute, prendendo in esame l’intera popolazione, le sedi più colpite sono risultate: mammella (14%), colon-retto (14%), polmone (11%), prostata (9%). Per quanto riguarda gli uomini sono stati maggiormente diagnosticati: tumore alla prostata (18%), colon-retto (15%), polmone (14%), vescica (11%), fegato (5%). Tra le donne, mammella (29%), colon-retto (13%), polmone (8%), tiroide (6%), corpo dell’utero (5%). Nello stesso volume si dichiara che nella popolazione italiana quasi 3 400 000 persone vivono dopo una diagnosi di tumore, e il 27% (909 514 persone) può ritenersi guarito, con un’aspettativa di vita uguale a quella di chi non ha ricevuto diagnosi oncologica.
La mortalità per tumore risulta in riduzione statisticamente significativa in entrambi i sessi.
LA VITA IN POCHI GRAMMI DI CELLULE
L’esame istologico rappresenta uno degli esami che più smuovono l’universo della persona. Si possono vivere emozioni intense, qualche volta più nette, come la paura, e altre volte tante emozioni insieme, anche contrastanti fra di loro. Tutto dipende da una risposta: quella dell’esame istologico. L’attesa della risposta, che spesso dura settimane, echeggia nella vita della persona e della famiglia proponendo e mettendo in discussione il teatro della propria vita. Quante cose rimangono sospese nei punti interrogativi di un futuro che non si sa se e come può esserci, e di un passato che si ripercuote come se fosse l’atto finale di scene che non si potranno più ripetere. Il presente, pochi grammi di cellule ammucchiate tra loro che fermano il tempo. Sono sempre le persone a insegnarci che l’attesa, nello smarrimento e spesso nella paralisi, educa alla pazienza e al saper sostare anche quando è paradossale pensare di poterlo fare.
LA VITA APPESA A UNA PAROLA
Un attimo dopo aver sentito pronunciare l’indicibile parola “tumore”, i colori della vita cambiano. Le reazioni e le emozioni provate possono variare da persona a persona e non vi è un solo modo di reagire, giusto o sbagliato. Non si può essere preparati ad accogliere una diagnosi del genere e qualsiasi reazione avvenga è da considerarsi comprensibile in relazione alla notizia appresa. La comunicazione della diagnosi rappresenta infatti uno degli aspetti più importanti nel processo di cura e può avere un impatto emotivo significativo per la persona che la riceve.
In seguito alla diagnosi, tutto può risultare confuso e vi può essere una percezione netta di vita frammentata tra il prima e il dopo-diagnosi. C’è chi pensa costantemente al prima che non c’è più, al presente spazzato via, e chi guarda al futuro con smarrimento e senza appigli certi. Pianificare la vita e fare progetti diviene impossibile di fronte a uno scenario di cure, ricoveri e terapie lunghe. E tutto senza garanzie. L’unica certezza, la dura battaglia fra la vita e la morte.
LE AREE COMPROMESSE DALLA DIAGNOSI ONCOLOGICA
Il cancro prevede un iter impegnativo e complesso dal punto di vista clinico, e tutto il processo di cura richiede alla persona affetta dalla malattia un enorme sforzo sul piano fisico, su quello psicologico e su quello emotivo. Diverse sono le aree che possono essere compromesse: l’immagine corporea, la sfera emotiva, la sessualità, la sfera relazionale nei vari ambiti, quella lavorativa. Ciascuna di esse è colpita dalla malattia in maniera diversa, a seconda dei soggetti e della situazione specifica.
Per fare un esempio, gli interventi chirurgici e/o cure farmacologiche possono portare chiari segni di alterazione della propria immagine corporea. Non si parla solo di segni concreti fisici (cicatrici, arti gonfi che impediscono l’autonomia, perdita di capelli, aumento o diminuzione del peso ecc.), ma anche del vissuto emotivo che li accompagna. «Non sono più come prima» è una delle frasi che spesso ci vengono riportate. La persona si percepisce diversa e si sente ferita nell’identità e fa fatica ad accettare questa compromissione e questo stravolgimento della definizione di sé stessa. Subentrano talvolta la vergogna e il senso della perdita del proprio baricentro, che, assieme ad altri fattori, minano quella che è l’area relazionale con sé stessi, gli altri e il mondo nelle varie dimensioni.
QUALE PRESENTE E QUALE FUTURO CON UNA DIAGNOSI ONCOLOGICA?
«La mia vita ormai è organizzata in base alle cure e alle visite» – le giornate in funzione della malattia sono spesso riportate con amarezza, sconforto e rabbia dai nostri pazienti. «Non ne posso più. Sono sempre in giro per ospedali e dottori… Vorrei un po’ di tranquillità, perché questo mi ricorda ogni giorno che ormai sono una persona malata». Nonostante tutto, gli impegni e le responsabilità bussano puntuali alla porta e prontamente devono ricevere risposta: i figli, le terapie, il lavoro, gli amici, la coppia, gli esami, le visite, insomma tutta una quotidianità devastata che per certi aspetti deve mantenere la sua normalità, ma che in realtà spesso si struttura interamente attorno alla malattia e al percorso medico.
Ciò implica cambiamenti significativi nella vita della persona e della sua famiglia, quali il cambiamento dei ruoli in famiglia e l’ansia, e cambiamenti sul piano economico e sulle piccole certezze di routine che disegnano la vita di ogni famiglia. Le cose che prima risultavano facili e spontanee, come parlarsi, affrontare questioni o problemi di vita, o semplicemente stare tutti insieme, ora possono risultare difficili da affrontare.
Alla domanda «In che modo si può essere d’aiuto al proprio caro malato di cancro senza temere di perdere (e fargli perdere) le redini della propria vita e della propria famiglia?» si può iniziare a rispondere facendo presente che, come in ogni situazione, bisogna partire dai bisogni di tutti, in quanto è in relazione a questi che si possono riscontrare le diverse modalità di reazione alla malattia, ma in generale:
• È importante decodificare il bisogno di aiuto che caratterizza la persona malata e le necessità del familiare nel fornirlo. Ci sono parenti che presenziano, parlano e intervengono di continuo per sostenere e alleggerire il proprio caro, anche nelle cose piccole, e c’è chi invece non ne parla, si chiude in sé stesso, o vorrebbe che il proprio caro fosse forte e reagisse positivamente. Non è facile sapere come fare, ma chiedere apertamente al proprio caro che tipo di aiuto vorrebbe permette a tutti di relazionarsi e di rispondere in equilibrio senza temere di essere invadenti, carenti o poco attenti nelle risposte. Aiutarlo se necessario e lasciare che faccia da solo quando si può, favorisce in lui il processo di riappropriazione dei propri ruoli e della propria autonomia.
• Condividere le emozioni e lasciare spazio alla comunicazione. Spesso può risultare difficile condividere le proprie emozioni inerenti alla malattia. Piangere o vedere soffrire le persone care può ingenerare vissuti di colpa o paura di crollare, innescando così meccanismi di autocontrollo che non sono sempre funzionali. Esprimere i propri vissuti e le reazioni emotive facilita a tutti l’adattamento alla malattia e aiuta a supportarsi anche nei momenti difficili. Lasciare spazio alla comunicazione e non temere i silenzi consente il rispetto dei tempi della persona, la quale può autorizzarsi a chiedere aiuto se e quando se la sente. Non sempre c’è bisogno di riempire gli spazi. Infatti, nelle parole ci si parla, nei silenzi ci si tocca.
• Mantenere la possibile normalità è un altro aspetto che aiuta a rimanere nel presente e a ripristinare il contatto con la quotidianità, in funzione non solo della malattia ma anche di altri aspetti esistenziali. Fare piccole cose quotidianamente, propiziare i contatti sociali, mantenere i ruoli e promuovere l’autonomia fisica e decisionale favorisce la ripresa di una progettualità possibile e aiuta a dotare di piccoli significati la vita di tutti i giorni. Il futuro visto con gli occhi della malattia risulta incerto. Malgrado ciò, le persone con cui lavoriamo sono riuscite a trasmetterci una delle lezioni di vita più importanti: un tumore, prima o poi, un senso alla vita lo rende, con più significato e più riconoscimento per quel che ci circonda. È importante ancorarsi al presente di ogni giorno per tracciare piano piano il percorso, e guardare al futuro con maggiori fiducia e sostenibilità. Ogni piccolo passo nel presente sarà un pezzo di strada verso il futuro.
È difficile riassumere in un articolo le varie sfaccettature che la malattia oncologica comporta nella vita di una persona e della sua famiglia, anche perché ogni situazione è a sé stante e richiede attenzione e interventi calzati sulla sua originalità. Chiedere un ausilio specialistico quando da soli diviene difficile è di fondamentale importanza. Un tumore scombussola la vita e altera gli equilibri vitali, perciò può essere comprensibile aver bisogno di un aiuto a livello psicologico, del quale si possono avvalere tutti i componenti della famiglia e non solo la persona interessata dalla malattia.
Lindita Prendi, psicologa e psicoterapeuta, è ricercatrice associata e docente presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo. Insieme a E. Campolmi ha scritto La terapia psicologica in oncologia (Giunti, 2019).
Eleonora Campolmi, psicologa e psicoterapeuta, si è specializzata presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, dove è ricercatrice, docente di master e di corsi di formazione.
Riferimenti bibliografici
Bahrami M., Mohamadirizi M., Mohamadirizi S., Hosseini S. A. (2017), «Evaluation of body image in cancer patients and its association with clinical variables», Journal of Education Health Promotion, 6, 81.
Grassi L., Biondi M., Costantini A. (2003), Manuale di psico-oncologia, Il Pensiero Scientifico, Roma.
I numeri del cancro in Italia (2018), www.aiom.it/wp-content/uploads/2018/10/2018_NumeriCancro-operatori.pdf
Nardone G., Milanese R. (2018), Come far cambiare alle persone il loro sentire e il loro agire, Ponte alle Grazie, Milano.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 273 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui