La community come strumento di promozione
Grazie alle community del web, il professionista del benessere può dar voce a problemi nei quali si rispecchino i singoli.
« Gruppo di utenti di Internet che si scambiano messaggi e partecipano a forum di discussione su argomenti di comune interesse» è la definizione di “community”. Il concetto di community, in effetti, accompagna da sempre ogni attività legata al web. Prendiamo due piattaforme veterane dell’online: forum e blog. Entrambe si basano sul concetto di community, vivono cioè di quella interazione spontanea e collaborativa fra persone che condividono un interesse, una passione e, a un livello più profondo, un modo di intendere la vita (e i valori).
Questo ha molto a che vedere con l’attività che ogni professionista del benessere svolge, dato che di tutti gli sforzi che possiamo fare per comunicare online, il più importante dovrebbe essere quello di costruire una community proprietaria. Cioè costruire e presidiare un luogo dove le persone possano confrontarsi su temi collegati al nostro lavoro e identificarsi con un pensiero comune.
Nel mondo offline, questo è già avvenuto con marchi storici che hanno creato una cultura attorno al loro prodotto. Ne sono esempio brand come “Harley-Davidson” o “Red Bull”, che vendono molto più di un prodotto: vendono un modo di vedere la vita; ma è possibile ottenere lo stesso risultato anche per un normale professionista del benessere, che non possiede né le competenze di marketing né le risorse economiche delle grandi aziende.
È possibile perché il principio alla base di questo fenomeno è semplice: creare un luogo dove le persone si sentano al sicuro e libere di condividere idee e pensieri con chi la vede come loro. Se ci pensiamo, è il principio alla base di qualsiasi contesto sociale sano, da una cena con amici a una riunione tra colleghi, ove le cose funzioneranno solo se i partecipanti si sentiranno al sicuro, liberi di esprimersi e in sintonia con le persone presenti.
Senza una community online, il rischio è di sfruttare solo in parte i grandi sforzi fatti per creare contenuti e distribuirli. Il rischio è quello di dover partire ogni volta da zero per spiegare chi siamo e cosa facciamo, senza godere, quindi, di un pubblico che non solo ci conosca, ma si identifichi chiaramente nel nostro modo di concepire la professione.
Questi sono 4 consigli pratici che permettono ad ogni professionista del benessere di creare la propria community e trasformarla in una risorsa preziosa.
[1] Scegliere la piattaforma. Se storicamente i forum e i blog hanno rappresentato la casa ideale per una community online, oggi le cose sono un po’ cambiate. Infatti, oggi si cerca di essere presenti dove le persone passano il loro tempo. Per questo la maggior parte delle community di successo utilizza i social network. È vero, sono ancora molti i forum che godono di grande partecipazione, ma, partendo da zero, la scelta di un social network – Facebook in particolare – è la
più indicata. In questo modo il dialogo avverrà all’interno di una cornice che gli utenti conoscono già molto bene. I gruppi Facebook sono la scelta ideale per circoscrivere il dialogo e generare un senso di appartenenza. Pertanto, il primo passo è quello di aprire un gruppo Facebook che abbia un obiettivo chiaro e condivisibile per i pazienti. La finalità non è quella di promuovere l’attività del professionista – come potrebbe accadere con una normale “pagina fan” su Facebook –, ma quella di far nascere un luogo capace di generare e stimolare dialogo fra gli utenti su determinate tematiche.
[2] Popolare la community. Siamo tutti molto distratti e impegnati e raramente vogliamo approfondire qualcosa di nostra iniziativa. Quando però veniamo stimolati, le cose cambiano; per questo il primo passo per popolare la nostra community è invitare le persone che sono già in contatto con noi. Lo scopo non è chiedere un favore, ma suggerire una soluzione nel loro stesso interesse. «Lo sai che ho aperto un gruppo dove parliamo di…?» è diverso da «Metteresti un like sulla mia pagina…?». Le prime persone sono gli iscritti alla nostra newsletter, gli utenti che comunicano con noi sui social network, e così via. Questo primo passo è necessario a creare uno zoccolo duro di utenti che, pur non conoscendosi tra loro, condividono la relazione con noi e la sensibilità verso alcune tematiche.
[3] Dedicare tempo. Il tempo è la benzina di una community online, e noi dobbiamo mettere molta benzina. Come fare, visto che già ne abbiamo poca? La community ci permette di spostare tutti gli sforzi di comunicazione uno a uno, che in questo momento assorbono le nostre energie sul gruppo. Tante volte riceviamo e-mail, messaggi, commenti che non riguardano il rapporto riservato professionista-paziente. Sono richieste di informazioni che potrebbero essere utili a tutti, cui però rispondiamo in modalità uno a uno giacché non esiste un luogo verso cui spostare il dialogo. Un gruppo è la soluzione per veicolare a beneficio di tutti il nostro investimento di tempo. In pratica, a fronte di una richiesta privata di carattere generale, possiamo suggerire di pubblicare la domanda sul nostro gruppo, dove il richiedente non solo riceverà la nostra risposta, ma potrà anche avere un confronto con altri partecipanti che vivano situazioni analoghe. L’esercizio è quello di spostare il nostro dialogo da uno a uno, appunto, a uno a molti.
[4] Rendere esclusiva la partecipazione. Una community è gratuita, ma non è per tutti. Escludere qualcuno – o almeno far percepire un senso di esclusività – è la forza di ogni community. In sintesi, è gratis, ma ci sono delle regole, e queste vanno rispettate. Ciò va a beneficio dei partecipanti che si identificano in quelle regole e che si sentiranno al sicuro condividendo idee e pareri con gli altri membri. Il risultato finale è quello di potersi rivolgere a un pubblico selezionato, che ha piena stima e fiducia di noi e del nostro operato e che ne rinforza il valore giorno dopo giorno con la propria partecipazione attiva. Questa, per ogni professionista del benessere che voglia comunicare online, è una risorsa inestimabile.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui