La gestione delle emozioni: la Rabbia
Ci sono casi in cui è utile sfogare la propria rabbia, ma ce ne sono tanti altri in cui si dovrebbe attingere a forme di “creatività emotiva” per evitare il conflitto.
La natura della scrittura su carta stampata, insieme a ragioni legate alla programmazione editoriale, determina tempi molto diversi da quelli della scrittura istantanea, figlia degli strumenti digitali che ognuno di noi porta in tasca e della gestione un po’ nevrotica del tempo alla quale siamo ormai abituati. Così, dal momento in cui io sto scrivendo all’istante in cui voi iniziate a leggere l’articolo che avete davanti agli occhi, sono passati più o meno tre mesi. E, come abbiamo già visto insieme, il tempo è una dimensione molto importante quando ci occupiamo di gestione delle emozioni.
Ieri, quasi tutti i notiziari hanno aperto riportando un grave fatto di cronaca accaduto nei pressi di San José, in California. Durante una manifestazione estiva dedicata al cibo, il Gilroy Garlic Festival, un ragazzo di 19 anni ha aperto il fuoco sulla folla uccidendo quattro persone, tra cui un bambino di 6 anni, e ferendone un’altra dozzina. I fatti, come sempre accade in queste situazioni, non sono ancora del tutto chiari e molti particolari della vicenda sono in via di definizione; i vari lanci di agenzia riportano comunque che un testimone ha sentito l’attentatore gridare, prima di essere colpito a morte dagli agenti intervenuti sul posto, che «era molto arrabbiato». Il presidente Trump nelle stesse ore ha twittato: «Chi ha sparato non è ancora stato fermato. State attenti!».
Al di là del fatto specifico che, per la sua gravità, il gesto non è paragonabile a tante altre situazioni apparentemente più normali nelle quali esplode la rabbia, sono molti invece gli elementi interessanti sui quali riflettere per elaborare un percorso finalizzato a una gestione consapevole di tale emozione. La rabbia è un’emozione molto temuta per le reazioni incontrollate che può generare e per questo percepita quasi sempre in modo negativo. Può essere estremamente distruttiva poiché altera la capacità dell’individuo di elaborare le informazioni e di esercitare un controllo cognitivo sul proprio comportamento. Un individuo arrabbiato perde lucidità, cautela e buon senso, non a caso viene descritto come «accecato dalla rabbia», e questo comportamento si rivela spesso fortemente contagioso, condizionando anche le reazioni delle persone indirettamente coinvolte.
Tali considerazioni sono molto importanti quando ci troviamo ad analizzare in che modo queste dinamiche si sviluppano nei luoghi di lavoro. Secondo l’associazione britannica Anger Management, numerose persone hanno problemi nel gestire l’emozione in questione; il dato da essa riportato dice che il 40% dei lavoratori si arrabbia regolarmente, manifestando in maniera evidente il proprio disagio durante le ore di lavoro. La rabbia, come le altre emozioni primarie, ha un fattore scatenante universale: qualcuno o qualcosa che interferisce con quello che stiamo facendo, impedendoci così di raggiungere il nostro obiettivo. Non è difficile immaginare come questo pensiero possa svilupparsi nell’ambito di relazioni conflittuali. L’occasione, assai spesso, non è altro che la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso: un insieme di situazioni precedenti che si sono accumulate a livello inconscio, perché male affrontate, sopportate, spesso ignorate, di frequente subite.
Ci arrabbiamo, quindi, contro qualcuno, ma a volte anche nei confronti di entità non ben definite. Ogni individuo possiede soglie di innesco e tempi di attivazione della rabbia diversi. Le situazioni che percepiamo contro di noi, oppure le ragioni che offendono i nostri valori e principi morali, sono determinate da trigger (cioè elementi attivatori) legati alla nostra esperienza individuale, insieme ad altri appresi culturalmente. Conoscendo il trigger universale e la funzione adattiva della rabbia, sappiamo che quando scatta questa emozione tutta la nostra energia sarà indirizzata a rimuovere l’ostacolo che si frappone tra noi e l’obiettivo, con un comportamento teso a portarsi a casa, in qualche modo, il risultato, a discapito di chiunque altro. Proprio per questa evidente necessità di azione, molti sostengono che sfogare la rabbia sia una scelta strategica utile. In realtà, non solo dobbiamo considerare come questo comportamento ci venga di fatto impedito da regole sociali comunemente accettate, ma anche che gli esiti di alcune ricerche del professor Brad Bushman dell’Ohio State University, svolte con differenti gruppi coinvolti in situazioni conflittuali, hanno dimostrato che il gruppo che si era potuto sfogare colpendo un sacco da box aveva accumuli di rabbia maggiori del gruppo a cui era stato chiesto semplicemente di aspettare.
Abbiamo iniziato il presente articolo mettendo a confronto diverse percezioni del tempo: ebbene, i dati emersi dalla ricerca ci insegnano che rimanere in attesa ci permette di uscire dal periodo refrattario (la fase durante la quale siamo totalmente immersi negli effetti dell’emozione) più velocemente e di ripristinare le condizioni emotive iniziali. Se riusciamo a superare l’impulso immediato di scagliarci in modo distruttivo contro l’ostacolo del momento, emerge che la modalità più salutare ed efficace per affrontare la rabbia è cercare di mantenere il controllo, di prendere contatto con i segnali che il nostro corpo ci sta inviando e, attraverso tale consapevolezza, sfruttare questa energia per un cambiamento positivo.
La rabbia può allora favorire un processo di crescita, e quando riguarda situazioni relazionali possiamo anche provare a concentrarci sull’obiettivo che la persona con cui stiamo discutendo desidera ottenere (comprendere il suo bisogno) e chiederci se è possibile conciliarlo con il nostro, evitando sterili contrapposizioni (escalation di forza). Operare nella ricerca di una via di uscita che in qualche modo soddisfi entrambe le parti non è facile, perché si discosta molto da forme di contrapposizione stereotipate cui siamo abituati fin troppo. Richiede disponibilità, apertura mentale e un po’ di flessibilità, che in alcune occasioni attinge anche a un pensiero creativo. Si tratta di risorse non semplici, ma che costituiscono una sfida pronta a contribuire a sviluppare la nostra intelligenza emotiva.
Diego Ingrassia, CEO di I&G Management, si è specializzato in Executive Coaching e si occupa di Assessment e Formazione comportamentale e manageriale presso importanti realtà multinazionali.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui