Tonino Cantelmi

La mente tecno-liquida ai tempi di internet

Per tanti studiosi siamo in una fase, definita di “insurrezione digitale” o addirittura di “mutazione antropologica”, che vede affermarsi un nuovo sistema cervello/mente.

La-mente-tecnoliquida.png

La “società incessante” è sempre attiva, sempre meno capace di spegnere il computer, tant’è che è stata coniata un’espressione apposita per la dipendenza da lavoro di questi anni: ITSO, Inability To Switch Off. Risale a vent’anni fa la mia presentazione dei primi casi italiani – quattro – di dipendenza da Internet: la presentazione fu fatta a un congresso di psichiatria a Roma. Tanti i commenti, le trasmissioni, le interviste che si susseguirono sui dati presentati. Fui anche accusato di essere a mia volta un “retomane”.

Psicologia contemporanea ospitò il primo articolo in italiano, proprio sui suddetti quattro casi (si veda il box «Un articolo pionieristico»). L’anno dopo fu la volta della pubblicazione del primo libro in italiano sulla dipendenza da Internet, in cui, oltre agli ormai famosi quattro casi, ebbi modo di proporre anche il primo studio su una popolazione italiana di fruitori di Internet. Quelle prime osservazioni furono integrate da successivi contributi ad opera di vari ricercatori italiani e attivarono un ampio percorso di ricerca la cui meta era di sondare la mente umana proprio in relazione alle nuove tecnologie, nel mentre si avviava l’ancora imprevedibile mutazione antropologica dei nativi digitali. Con tale espressione, proposta da un comunicatore legato al mondo dei videogiochi e recepita col sopracciglio inarcato dal mondo accademico, si intendevano gli abitanti del mondo tecno-liquido postmoderno nati nell’epoca delle espansioni tecnologiche e non preesistenti al loro avvento.

 DA BAUMAN A JOBS 

Comunque, per molti ricercatori, in effetti, siamo in una fase che è stata definita in vario modo: “mutazione psicosociale”, “insurrezione digitale” o addirittura, appunto, “mutazione antropologica”. Questa fase vede l’emergere di un sistema cervello/mente nuovo: la mente tecno-liquida. L’attuale metamorfosi, in definitiva, consiste nel passaggio dal sistema cervello/mente analogico a quello digitale, in cui prevalgono le attivazioni rapide e intense del sistema limbico e della parte più antica del cervello e in cui, di conseguenza, si riducono progressivamente le attivazioni lente e riflessive dei sistemi corticali, destinati a soccombere alle richieste del mondo digitale. Ma cosa caratterizza la mente tecno-liquida? La “società incessante” è caratterizzata dall’abbraccio ineludibile tra il mondo liquido, così come teorizzato da Zygmunt Bauman, e la rivoluzione digitale, così come proposta da Steve Jobs. Ecco perché si può affermare che il neologismo “tecno-liquidità” sia il nuovo paradigma che fa da scenario alla mente liquida e digitale. La saldatura fra tecnologia e modernità post-liquida ci proietta in un contesto capace di portare al massimo compimento tutti i processi psicosociali di decostruzione già avviati nella stagione degli scorsi anni Sessanta.

In modo particolare, per quanto attiene alla sfera psicologica, le trasformazioni del sistema cervello/mente riguardano l’amplificazione della ricerca di emozioni forti (sensation seeking), il narcisismo pervasivo, la costruzione dell’esperienza nello spazio/velocità, la trasformazione della relazione interpersonale e l’ambiguità identitaria. Questi processi sono esaltati dalla tecnologia, definendo così le caratteristiche dell’uomo postmoderno nell’era digitale e i nuovi scenari della mente tecno-liquida.

In altri termini, la rivoluzione digitale e la conseguente trasformazione della real­tà intercettano, esaltano e plasmano alcune caratteristiche dell’uomo liquido: il narcisismo, la velocità, l’ambiguità, la ricerca di emozioni e il bisogno di infinite relazioni light. La caratteristica fondamentale della socialità tecno-liquida è però la tecno-mediazione della relazione. Al netto della caterva di contatti sui social, molti studi dimostrano che gli amici veri restano in media 2 per ciascuna persona, nonostante, o forse a causa della continua socialità virtuale. Queste osservazioni confermano che la virtualizzazione e la tecno-mediazione dei rapporti rendono la “connessione” la forma più comune per entrare in contatto con l’altro. Tuttavia, osservazioni recenti dimostrano che questa forma di relazione è pervasa da un incremento della loneliness, cioè della percezione di solitudine, specialmente nelle persone più attive sui social. Il meccanismo dei social fa sì che l’individuo rinunci all’interiorizzazione dell’esperienza e tutto ciò che dovrebbe prima essere elaborato in privato viene reso pubblico attraverso la connessione. I social, quindi, hanno trasformato l’amicizia in una veloce condivisione di contenuti digitali. Su questi scenari stanno irrompendo le nuove forme dell’intelligenza artificiale, capaci non solo di svolgere meglio degli umani un numero pressoché infinito di compiti, ma anche di socializzare, di provare e far provare emozioni, di consolare e di aiutare gli umani nei loro bisogni esistenziali.

 I CONFINI TRA L’UMANO E IL NON UMANO 

Le nuove forme dell’intelligenza artificiale ci interrogano sui sempre più confusi confini tra l’umano e il non umano. La mente tecno-liquida è diversa sul piano cognitivo, emotivo-affettivo e socio-relazionale dalla mente analogica pre-insurrezione digitale. Da questo punto di vista molti corsi universitari frequentati dai futuri psicologi sono già obsoleti: studiano una mente che in parte non c’è più. Ammetto che quando ho segnalato i primi casi di Internet-dipendenza più di venticinque anni fa, ho usato la chiave interpretativa della psicopatologia. Oggi forse è più corretto parlare di segnali (psicopatologici?) di una formidabile e non del tutto esplorata mutazione psicosociale e forse anche antropologica. Insomma, i nostri armamentari interpretativi sono parzialmente superati. In fondo, però, condivido la sensazione che la fine della società di massa e il transito nella tecno-liquidità postmoderna dovranno fare i conti con l’esasperazione della solitudine esistenziale dell’individuo.

E forse né Instagram, né Facebook, né Twitter, né ogni altra forma di “socializzazione virtuale”, comprese le più sofisticate forme di intelligenza artificiale, potranno placare l’irriducibile bisogno di incontro con l’altro, che è proprio dell’uomo e della donna di ogni epoca: il bisogno di incontro con l’altro nell’autenticità è così prepotente e vitale che oltrepasserà il mondo tecno-liquido, segnando il confine umano/non umano. Vorrei concludere con una domanda provocatoria: e se, come sostiene l’ultimo Bauman, fosse il recupero della spiritualità ad accompagnare l’uomo post-moderno verso una nuova ultra-modernità dell’umano e, aggiungerei, verso riconquistati percorsi di felicità?

 Internet Addiction Disorder (IAD) 

La Rete delle Reti è ora demonizzata e assimilata a un invincibile mostro divorante, ora invece esaltata e beatificata per le sue immense potenzialità. Non c’è dubbio, la Rete delle Reti ha rappresentato comunque la vera, straordinaria novità dell’inizio del terzo millennio: gran parte dell’umanità abita la Rete. Stiamo dunque assistendo a un cambiamento radicale e siamo forse di fronte a un passaggio evolutivo. L’uomo del terzo millennio, in altri termini, è diverso: la mente in Internet sta producendo eventi e cambiamenti che non possiamo più ignorare, come ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali del vivere capaci di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni nonché il vissuto dell’esperire.

Come per ogni innovazione tecnologica, accanto agli iniziali entusiasmi giustificati dalle enormi potenzialità di questo media, sempre più specialisti si sono interrogati sui rischi psicopatologici connessi all’uso e soprattutto all’abuso della Rete. In particolare, si è ipotizzata l’esistenza di una forma di dipendenza dalla Rete, definita “Internet Addiction Disorder”. In realtà non dovremmo trascurare il fatto che tutto nacque per un fantastico scherzo planetario: uno psichiatra americano fece girare in Rete i criteri diagnostici per la dipendenza da Internet, copiati dal DSM di allora. Come spesso succede nel web, la fantasia fu superata dalla realtà, sia pure virtuale: la dipendenza divenne un argomento straordinariamente attuale. Dibattuta, demonizzata, esaltata: la Rete non colse la differenza fra realtà e scherzo. Altra beffa clamorosa fu l’invenzione di gruppi online di auto-aiuto per retomani. La IAD, quella vera e non la beffa, divenne un fenomeno noto al di fuori della Rete quando nel 1996 la dottoressa statunitense Kimberly Young, dell’Università di Pittsburgh, pubblicò la ricerca «Internet Addiction: The emergence of a new clinical disorder» (1996), relativa allo studio di un campione di soggetti dipendenti dalla Rete. Da allora a oggi sulla stampa vengono continuamente riportate le vicissitudini dei soggetti affetti da questa nuova patologia.

 Un articolo pionieristico 

I primi quattro casi italiani furono da me presentati nel 1998 e pubblicati nel primo articolo italiano proprio su Psicologia contemporanea (Cantelmi e Talli, 1998). Questi quattro casi hanno avuto un’eco sorprendente sulla stampa, amplificata dalle televisioni e dalle radio. L’eccessivo clamore dato dai mass media a tale argomento irritò giustamente gli utilizzatori di Internet, che percepirono una sorta di ingiustificato attacco alla Rete. Cosicché fui oggetto di discussioni in alcune chat di quel tempo, attaccato e perfino insultato. Questa reazione, se da un lato fu assolutamente comprensibile, dimostrò anche che le ricerche sulle cosiddette condotte psicopatologiche online suscitavano un reale interesse. Tuttavia, al di là del sensazionalismo, i problemi psicopatologici Internet-correlati, per alcuni psichiatri e psicologi (sempre più numerosi), tra cui il sottoscritto, sono ancora affascinanti e nuovi, ma ciò non vuol dire affatto che la Rete sia qualcosa di pericoloso e da evitare: più semplicemente ritengo che sia inevitabile studiare l’impatto che un mezzo così straordinario e, direi, così vitale ha sulla mente umana. Fenomeni che per ora sono descritti come psicopatologici potrebbero in realtà essere gli indicatori di una curiosa e a tratti incomprensibile evoluzione dell’uomo del terzo millennio. In effetti le nuove tecnologie mediatiche, oltre ad essere uno straordinario motore di cambiamento sociale e di trasformazione culturale, stanno aprendo territori sconfinati di studio e di ricerca per antropologi, sociologi, psicologi e psichiatri.

 Dalla IAD all’IRP: l’attuale sistematizzazione delle condotte psicopatologiche online 

Che cos’è la Rete, se non un immenso e sconfinato labirinto, luogo senza centro, anarchicamente disegnato e ridisegnato, spazio di ricerca al servizio di un’impresa conoscitiva straordinaria, ma anche dimensione dello smarrimento del Sé e del percorso, attraverso la perdita del fine e dello scopo? È dunque in atto una rivoluzione, la rivoluzione digitale, che, inaugurando affascinanti universi di conoscenza e di esperienza, ha già da ora modificato il registro delle nostre possibilità mentali e sensoriali, contribuendo a plasmare una nuova cultura e differenti forme e modalità di sentire il rapporto con sé stessi, con l’altro da sé e con il mondo. Proprio perché cariche di fascino, queste possibilità devono indurci a percepire e a riflettere criticamente circa i loro effetti sulla vita psichica e relazionale. Le dinamiche della vita reale si possono rivelare insufficienti e inadeguate a una vita in Rete che è davvero tutta da inventare. 

Le caratteristiche della comunicazione virtuale possono rendere la Rete più agevole della realtà, anzi tanto gradevole da instaurare una sorta di dipendenza. Alcuni studi che ho condotto con la collaborazione di molti psichiatri e psicologi, indicano che il 10% dei navigatori è esposto a questo rischio: un dato inquietante e a mio parere eccessivo. Forse. I prossimi studi definiranno meglio la faccenda. Intanto osserviamo alcune forme di navigazione patologica: cybersex addiction, compulsive online gambling, cyber relationship addiction, dipendenze da videogiochi, information overload addiction. Il concetto di addiction, cioè di dipendenza, non mi sembra che possa esaurire un fenomeno così complesso come le condotte psicopatologiche online. Perciò preferisco parlare di Internet Related Psychopathology (IRP), nella quale comprendere una costellazione di disturbi e di comportamenti molto lontani dall’essere sistematizzati e definiti. Tuttavia, tutti questi segnali indicano qualcosa di nuovo: siamo cioè alle soglie di una mutazione dell’umano che forse, più che psicologica e sociale, è di portata addirittura antropologica.

 Guardando ancora avanti 

Tanti sono ancora gli aspetti da chiarire, tuttavia è prevedibile che nel futuro, in considerazione dell’inarrestabile diffusione della Rete, fenomeni, per così dire, psicopatologici connessi a Internet potranno assumere dimensioni più ampie e contorni più definiti. Inoltre, Internet riguarda non solo giovani-adulti, ma tutti, anche adolescenti e bambini. Pertanto è necessario studiare con attenzione l’impatto che una tecnologia così potente ha sulla psiche dell’uomo. Non possiamo non chiederci dove stiamo andando: l’espansione della “ragnatela”, e degli strumenti collegati, è di per sé inarrestabile e apportatrice di novità straordinarie. Nessuno vorrà rinunciare agli enormi benefici che ne derivano. L’uomo scopre, tuttavia, nuove e altrettanto potenti gratificazioni connesse alle caratteristiche stesse della comunicazione virtuale e interattiva propria del web. E in definitiva non è detto che i “paradisi telematici” siano più dannosi di quelli “artificiali” dell’oppio: anzi, per certi versi, aprono prospettive affascinanti attraverso le quali è possibile intravedere potenzialità davvero interessanti. La Rete delle Reti si propone come una sorta di cervello planetario, dai confini incerti e indefinibili e dalle potenzialità straordinarie. 

TONINO CANTELMI, psichiatra e psicoterapeuta, ha fondato in Italia la prima Scuola di specializzazione in psicoterapia a orientamento cognitivo-interpersonale. Ha scritto molti articoli e volumi, spesso su tematiche pionieristiche.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Cantelmi T. (2013), Tecnoliquidità, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo.

Cantelmi T., Lambiase E. (2017), «Tecnoliquidità: nuovi scenari (evolutivi?) per la salute mentale», Modelli della mente, 1, 7-69.

Cantelmi T., Talli M. (1998), «Internet Addiction Disorder», Psicologia contemporanea, 50, 4-11.

Cantelmi T., Talli M., D’Andrea A., Del Miglio C. (1999), La mente in Internet, Piccin, Padova.

Cantelmi T., Toro M. B., Talli M. (2010), Avatar, Edizioni Magi, Milano.

Grasso A. (2012), «Essere continuamente connessi, nuova malattia del nostro tempo», Corriere della Sera, 5 gennaio.

Morozov E. (2011), «Pedinati da Facebook», Corriere della Sera – Lettura, 2 novembre. 

Parsi M. R., Cantelmi T., Orlando F. (2009), L’immaginario prigioniero, Mondadori, Milano.

Rodotà M. L. (2011), «Più amici grazie a Facebook? Quelli veri sono solo due», https://www.corriere.it

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 277 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui