La psicologia dell'emergenza oggi
Ogni emergenza è un'esperienza di vita speciale, nella quale la mente funziona in modo peculiare, poiché travolta dalla percezione di una minaccia grave.
la psicologia può fare molto sia per la sua prevenzione che per la sua gestione.
Il termine “emergenza” è certamente tra quelli più ricorrenti negli ultimi anni in Italia. A partire dal febbraio 2020, i cittadini di ogni età e condizione sociale hanno capito concretamente che cosa accade quando un governo nazionale decreta uno stato di emergenza. Si tratta di una condizione politica eccezionale, nella quale, per gravi motivi, le prassi ordinarie vengono sospese e qualcuno assume poteri straordinari. In questa condizione, a molte persone viene richiesto di cambiare i propri comportamenti, a causa di un pericolo incombente, non fronteggiabile con le risorse ordinarie. Per definizione (e anche per la legge italiana), una condizione emergenziale non può durare troppo nel tempo, poiché regole e comportamenti straordinari, a lungo andare, rischiano di compromettere la salute mentale, la convivenza civile e tutte le attività necessarie per la sopravvivenza e la crescita delle persone.
COSA SI INTENDE PER EMERGENZA
Gli effetti di questa condizione precaria, minacciosa, angosciante e protratta sono tuttora oggetto di studi scientifici in tutto il mondo. Per esempio l’impatto negativo dell’emergenza Covid-19 sulle relazioni interpersonali, sui vissuti, sugli apprendimenti e sui comportamenti è segnalato da molti ricercatori (Minozzi et al., 2021). Questi esiti non sono legati solo alla tipologia della minaccia invisibile che caratterizza la pandemia. Sono connessi anche alle strategie comunicative utilizzate per gestire l’allerta, nonché ai provvedimenti utili a contrastare i rischi derivanti dalla minaccia (Venkatesh e Edirappuli, 2020). Distanziamento sociale e vigilanza continua, per esempio, sono azioni di prevenzione che salvano vite umane, ma comportano grandi costi psicologici e sociali.
La pandemia da Covid-19 ha dunque permesso a tutti di sperimentare una condizione di vita che molti pensavano riservata alle comunità colpite da terremoti, inondazioni, guerre o incidenti industriali. Ma l’emergenza, dal punto di vista psicologico, non necessariamente ha gli stessi confini temporali stabiliti da una legge o da un grave evento. Per alcune persone i vissuti emergenziali compaiono indipendentemente da essi, oppure finiscono ben più tardi. L’emergenza è infatti un modo di esperire il mondo, una drammatica condizione che è solo parzialmente connessa agli accadimenti storici o naturali.
Si tratta di un’esperienza caratterizzata dalla percezione personale di una minaccia grave e incombente, nella quale è necessario agire e prendere decisioni rapide, sebbene le informazioni non siano sempre chiare. Una condizione in cui le emozioni si intrecciano con molte sfumature e grande intensità, tra tutti i protagonisti. Una condizione, infine, in cui le risorse ordinarie, i saperi consolidati, i comportamenti conosciuti e gli apprendimenti del passato sembrano non essere sufficienti. Questo è dunque l’oggetto di studio della psicologia dell’emergenza: ogni esperienza umana caratterizzata simultaneamente da quattro elementi: la percezione di una minaccia, la richiesta di rapide decisioni e azioni, la presenza di emozioni intense e soprattutto di un vissuto di impotenza (Sbattella, 2020).
AMBITI DI STUDIO E INTERVENTO
L’emergenza Covid-19 ha oggi reso popolare una disciplina che appariva fino a pochi anni fa solo di nicchia: la psicologia dell’emergenza. Questa parte della psicologia si è storicamente occupata di descrivere, comprendere e spiegare le interazioni esistenti tra cambiamenti ambientali rapidi, improvvisi e devastanti e i processi psichici individuali e collettivi.
L’attenzione dei professionisti era concentrata, prima della pandemia, soprattutto sulle dinamiche psicologiche connesse agli attacchi terroristici (Sbattella, 2019). Questi atti di guerra diffusa rappresentavano un chiaro esempio di come un cambiamento improvviso e devastante può sconvolgere le menti umane. E non solo in senso traumatico e durante i momenti più acuti del dramma. In quanto parte consapevole di quella che i militari chiamano PSYOPS o guerra psicologica, un atto terroristico è pensato per suscitare ansie per il futuro, rabbia per il passato, diffidenza e incertezza nel presente. La guerra psicologica è preparata da menti umane e punta a condizionare gli umori, le opinioni, le decisioni e le relazioni nel gruppo attaccato. Non necessariamente mira a spezzare le menti in modo traumatico. Una buona gestione mediatica di un atto distruttivo eclatante è in grado di condizionare opinioni, atteggiamenti, scelte e comportamenti di intere comunità. Non a caso la psicologia dell’emergenza ebbe anche in Italia un primo boom dopo l’attacco alle torri gemelle di New York. Non a caso, inoltre, essa fonda una parte delle sue radici nella psicologia militare (Fenoglio, 2013).
La seconda radice della psicologia dell’emergenza è individuabile nello studio delle operazioni di soccorso e solidarietà che si generano in tutte le culture nei contesti di incidenti individuali e disastri naturali. In che modo i singoli, i gruppi familiari e le comunità rispondono alle distruzioni? Quali fattori facilitano una loro ripresa resiliente e che ruolo gioca la cultura in questi processi? Cosa spinge i soccorritori a prestare aiuto e quali bisogni esprimono? In questo ambito, la psicologia dell’emergenza ha prodotto diverse metodologie di intervento e concetti utili a esplorare le dinamiche che precedono, accompagnano e seguono lo scompiglio causato da eventi inattesi (Iacolino, 2016).
L’EMERGENZA BELLICA
La guerra è la più grande catastrofe che possa colpire una comunità e paradossalmente è anche quella più dipendente dalle dinamiche psichiche proprie degli esseri umani. La psicologia ha imparato moltissimo dalle persone che hanno vissuto la Prima e la Seconda guerra mondiale. Innanzitutto perché ha posto le basi per comprendere al meglio il fenomeno dei traumi di guerra. In secondo luogo perché ha potuto anche riflettere sulle radici della violenza di massa, sull’impatto depressivo delle perdite e sul significato delle relazioni di attaccamento. Attraverso le osservazioni raccolte in tempo di guerra, ancora oggi i ricercatori esplorano le strategie di coping delle persone sotto stress e le dinamiche proprie dei gruppi d’azione. Debriefing e defusing, per esempio, sono tecniche di decompressione emotiva dei soccorritori sanitari, ancora oggi utilizzate, e messe a punto inizialmente in ambito militare.
DI CHE COSA SI OCCUPA
Per quanto riguarda i processi psicologici che prefigurano, prevengono o costruiscono i vissuti emergenziali, nodi centrali sono la percezione e la comunicazione del rischio.
Occuparsi di percezione del pericolo significa chiedersi come le persone categorizzino i rischi, li valutino e li considerino. Accorgersi di una crisi imminente significa spesso essere in grado di cogliere indicatori percettivi precisi ed associarli al pericolo. La capacità di cogliere determinati segnali (toni di voce, odori, cambiamenti ambientali) permette a persone addestrate di non trovarsi in condizioni emergenziali, semplicemente perché riescono a prevenirle. Al contrario, spesso siamo impegnati, come ricercatori, a cercare di capire perché alcune persone sembrano sorde ad avvertimenti e informazioni che potrebbero evitare il crearsi di contesti emergenziali. Dal punto di vista operativo, gli psicologi dell’emergenza lavorano sul campo per la formazione alla percezione, la prevenzione e la comunicazione dei rischi incidentali, sanitari, ambientali.
Per prevenire, fronteggiare e riparare i momenti di crisi è poi necessario usare i processi cognitivi di ordine superiore. Quali dinamiche mentali e interpersonali si attivano generalmente in situazioni confuse, minacciose e complesse? Quali di queste strategie risultano più efficaci e quali meno? Analizzare, valutare e sintetizzare informazioni rapidamente richiede abilità diverse da quelle usate in tempi ordinari. Lo stesso vale per i processi decisionali. Le strategie euristiche, spesso considerate fallaci e scorrette se confrontate ai metodi analitici e razionali, sono in realtà scorciatoie assai efficienti in situazioni cariche di incertezza. Anche rispetto ai momenti più intensi, gli psicologi dell’emergenza dispongono oggi di metodologie efficaci per aiutare le persone travolte dagli eventi. Tecniche di stabilizzazione emotiva, lavoro di gruppo sotto stress e strategie di empowerment possono essere messe in campo rapidamente.
Lo studio dei processi emotivi, cognitivi e sociali che seguono i momenti più drammatici costituisce la terza parte di questo lavoro. Per esempio i ragionamenti controfattuali, sviluppati dopo perdite irreparabili, sono molto delicati per la salute mentale. Volendo riflettere sulle esperienze vissute, è necessario trovare altre domande per ricostruire senso dentro a una realtà irrimediabilmente sconvolta.
In questa direzione svolge un ruolo cruciale lo studio della memoria. Essa è oggi studiata per il ruolo che gioca nel mantenere attivi i traumi psichici, ma anche per l’importanza che ha nella prevenzione e nella gestione delle emergenze. Chi non fa tesoro delle tragedie della storia è condannato a ripeterle. Chi non ricorda, in situazioni critiche, ciò che ha imparato per fronteggiare il pericolo, dimostra di avere imparato poco, durante percorsi di formazione evidentemente inefficaci.
L’aspetto forse più noto e oggi un po’ scontato di questo ambito di indagine d’intervento è legato al tema delle emozioni intense. Lo studio del coraggio e della paura, della rabbia e della tristezza, della vergogna e dei sensi di colpa che pervadono gli stati emergenziali ha una lunga tradizione. La sfida centrale in emergenza non è tanto quella di controllare le emozioni, quando quella di modularle e riconoscerle come risorsa cruciale per fronteggiare o rielaborare le esperienze drammatiche. Stress, trauma e significazione si evidenziano oggi come tre costrutti teorici imprescindibili in questo campo. Il primo concetto permette di comprendere come la mente umana, profondamente radicata nel corpo, possa resistere a richieste estreme, sebbene pagando alti costi. Il secondo concetto aiuta a comprendere il dolore che emerge per molti in modo anche grave e perdurante, dopo i momenti più acuti. Infine, il costrutto di significazione permette di esplorare lo smarrimento emotivo, sociale, motivazionale che accompagna la devastazione di sistemi sociali e conoscitivi perturbati da pandemie, disastri e guerre.
Grazie a questi tre concetti, la psicologia dell’emergenza dispone oggi di un ricco patrimonio di metodologie e tecniche operative, in grado di sostenere le persone a prevenire, attraversare e riparare le emergenze. L’IIST riconosce ad esempio almeno 14 diversi tipi di psicoterapia come strumenti efficaci per curare i traumi psicologici (Forbes et al., 2020). Tutte le agenzie internazionali dispongono oggi di precise linee guida per riconoscere e farsi carico dei bisogni durante le emergenze.
Efficaci programmi di formazione sono sempre più diffusi per la preparazione psicologica dei professionisti, dei volontari ed anche dei cittadini che non vogliono trovarsi in difficoltà psicologica né in situazione emergenziale.
Molto resta da ancora da fare in questo settore, sia dal punto di vista della ricerca che degli interventi operativi. I servizi pubblici e strutturati di psicologia dell’emergenza sono in Italia oggi ancora insufficienti, a differenza di molti altri paesi occidentali. È tuttavia sempre più chiaro alla popolazione ed anche a molti amministratori che la psicologia è in grado di portare contributi efficaci e scientificamente fondati sia nella prevenzione che nella gestione e riparazione dei danni psicologici, relazionali e sociali connessi alle più diverse situazioni emergenziali.
Fabio Sbattella insegna Psicologia clinica e dirige l’Unità di Ricerca in Psicologia dell’Emergenza e Intervento umanitario presso l’Università Cattolica di Milano. È autore di: Fondamenti di Psicologia dell’emergenza (2013, con M. Tettamanzi); Persone scomparse (2016); Manuale di Psicologia dell’emergenza (2020), tutti editi con Franco Angeli.
Bibliografia
Iacolino C. (a cura di, 2016), Dall’emergenza alla normalità, Franco Angeli, Milano.
Minozzi S., Saulle R., Amato L., Davoli M. (2021), «Impatto del distanziamento sociale per Covid-19 sul benessere psicologico dei giovani: una revisione sistematica della letteratura», Recenti Progressi in Medicina, 112 (5), 360-370.
Sbattella F. (a cura di, 2019), Terrorismo. Vittime contesti e resilienza, Educatt, Milano.
Sbattella F. (2020), Manuale di psicologia dell’emergenza, Franco Angeli, Milano
Venkatesh A., Edirappuli S. (2020), «Social distancing in Covid-19: What are the mental health implications?», British Medical Journal, 369.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 287 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui