Andrea Castiello D'Antonio

La selezione psicologica nel mondo del lavoro

È sempre più importante stabilire l’idoneità psichica, oltre che tecnica, del candidato. Considerando anche l’ambiente socio-organizzativo di riferimento.

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Nel mondo del lavoro sono realizzati numerosi interventi specialistici che hanno come oggetto la valutazione (assessment) delle risorse umane: la selezione è una di queste, si colloca nel momento iniziale di incontro tra individuo e organizzazione, costituisce la porta d’entrata nel mondo del lavoro e rappresenta un’attività estremamente delicata che porta con sé una notevole assunzione di responsabilità non solo professionale, ma anche etica e sociale, da parte di coloro che la svolgono.

L’AREA PSICOLOGICA

Ciò che interessa in questo articolo è precisamente la selezione “psicologica” delle risorse umane (Castiello d’Antonio, 2015; Chamorro-Premuzic e Furnham, 2010). È quindi bene differenziare gli approcci alla selezione attuati nel mondo del lavoro, almeno in 3 aree distinte. La prima è l’area psicologica, che è o dovrebbe essere di esclusiva competenza di psicologi professionisti e di cui ci occuperemo nelle prossime pagine. Vi è poi l’area della selezione tecnico-professionale, in cui si svolge un vero e proprio esame delle conoscenze e delle competenze operative del candidato nei termini di ciò che sa e che sa fare relativamente al ruolo di destinazione; questo genere di valutazione è condotto da esperti della specifica materia (per esempio da un professional di informatica che valuta le conoscenze del candidato presentatosi per una posizione di sviluppo software o sistemistica). Infine, al termine degli iter di selezione, e soltanto per i candidati che hanno superato i primi due passaggi, si colloca il colloquio conclusivo, nel quale si discutono e si precisano gli aspetti inquadramentali, retributivi e logistici del previsto inserimento della risorsa nell’organizzazione. Questo colloquio finale è condotto da un esponente della funzione Risorse Umane (RU) e costituisce il prologo alla firma del contratto.

Nonostante la selezione sia un’attività che tutte le organizzazioni private e pubbliche svolgono e dovranno sempre svolgere, nel mondo del lavoro si riscontra spesso un atteggiamento di scarsa attenzione, quasi di noncuranza, rispetto non solo al chi svolge la selezione (è il tema delle competenze professionali del selezionatore e delle sue qualità personali, che non sono meno rilevanti) ma anche al come essa è realizzata. Oggi in Italia, di fatto, chiunque può svolgere attività di selezione di genere psicologico o presunto tale, perché l’area della valutazione delle risorse umane esterne non è codificata né normata (come, invece, è accaduto per l’area della valutazione del potenziale, almeno nei contesti pubblici). Quindi si possono incontrare “selezionatori” che operano sulle cosiddette soft skill (competenze trasversali) e che sono laureati in qualunque disciplina (alcune grandi organizzazioni impiegano persino giovani stagisti!), casualmente interessati o, all’opposto, nient’affatto motivati a svolgere tale attività, troppo giovani per capire davvero l’impegno a cui sono chiamati, o semplicemente incompetenti circa le tecniche di assessment: “pseudo-assessors” che in genere basano il loro lavoro su un colloquio di tipo general-generico.

In molte situazioni applicative sembra che non si vada molto oltre l’uso di ciò che Mark Cook (2009) definì il «classic trio»: la compilazione del modulo informativo, la raccolta di referenze e l’intervista individuale di tipo general-generico (in realtà, le prime due fonti di informazioni non sono da classificare tra i metodi di assessment, mentre l’intervista informale condotta da figure non specificamente preparate non ha alcuna rilevanza o validità tecnica – tantomeno teorica – ed è fonte, perciò, di risultati del tutto aleatori).

SCEGLIERE DEI BUONI LEADER

Le perplessità sulle applicazioni della psicologia alla realtà organizzativa non provengono solo dal mondo delle imprese, ma anche dal mondo accademico, ove in molti hanno pensato, e ritengono, che la psicologia sia (ancora!) una scienza troppo giovane per mettersi alla prova sul piano della realtà concreta: le conoscenze che si possiedono non sarebbero ancora sufficientemente certe; i metodi della psicologia, traslati nel contesto vivo della vita di lavoro, non potrebbero essere applicati in modo corretto. In tale ottica, da alcuni psicoanalisti (quindi da soggetti non proprio “competenti” rispetto alla psicologia del lavoro) è stata sostenuta l’impossibilità di valutare le persone destinate alla carriera in magistratura (Castiello d’Antonio, 2005). Ma, come ha autorevolmente affermato lo psicoanalista Otto Friedmann Kernberg (1998, trad. it. 1999), «scegliere dei buoni leader è uno dei compiti più importanti di tutte le organizzazioni» e, da tale punto di vista, è augurabile che la psico-diagnosi manageriale (Castiello d’Antonio, 2013) potrà trovare nel futuro un suo spazio ben definito e articolato. Forse ancora oggi si sconta il pregiudizio ideologico negativo degli anni Sessanta-Settanta che colpì ogni pratica definibile “discriminatoria”, mentre da parte di alcuni accademici si sente affermare con malcelata soddisfazione che «la selezione è persa» (nel senso che è persa per la comunità degli psicologi, come se ciò fosse qualcosa di cui andar fieri!), tant’è vero che sovente non compare nemmeno nelle pagine dei testi di studio di psicologia del lavoro.

Di fatto, è l’intera scelta e selezione delle risorse umane ad avere un ruolo vitale per qualunque organizzazione o istituzione, e in ogni ambiente meritocratico ci si guarda bene dal sottovalutare la selezione o dal relegarla a una mera pratica da sbrigare (Castiello d’Antonio, 2016). Si ripropone, pertanto, l’argomento delle aree di valutazione delle qualità umane in relazione alle metodologie di indagine. Un argomento che va incastonato in una domanda di maggiore interesse: come fare a ottenere una conoscenza sufficientemente completa e affidabile, in tempi limitati e con l’ausilio di strumenti non infallibili, finalizzata alla valutazione delle qualità psicologiche di una persona per l’inserimento in un contesto di lavoro?

L’aspetto affascinante della selezione e valutazione delle potenzialità delle risorse umane, dal punto di vista psicologico, è che chiama in causa 3 grandi metodologie di assessment e punta a far luce su ampie aree della personalità. Le 3 metodologie che sono utilizzate sono rappresentate dai test, questionari e tecniche proiettive; dai metodi di/in gruppo; dai colloqui-
interviste individuali. Avvalendosi di questi 3 potenti vettori di conoscenza dell’essere umano è possibile osservare e valutare alcune dimensioni delle seguenti aree di qualità mentali: la motivazione, l’intelligenza, la relazionalità, l’orientamento ai risultati e l’equilibrio emotivo (o, viceversa, la psicopatologia).

IDONEITÀ PSICHICA

Quel che arricchisce il quadro di indagine è la variegata ampiezza degli orizzonti di fronte a cui ci si trova. Per ciò che attiene alle metodologie di assessment,
si hanno un’infinità di tecniche di testing psicologico, diagnostico e psico-attitudinale, una miriade di tipologie di colloqui-interviste e una notevole varietà nelle impostazioni degli assessment in gruppo. Specularmente, le specifiche qualità soggettive che si vuole valutare presentano un amplissimo ventaglio di variabili e di dimensioni: per esempio, nell’area della motivazione, oltre ad aversi a disposizione un importante numero di teorie e di modelli, è possibile identificare indicatori di valutazione che ricoprono un campo assai esteso. Ciò che guida lo psicologo professionista in questo mare magnum di tecniche e obiettivi è costituito dalle finalità per le quali si attua la scelta e selezione del capitale umano. E anche circa le finalità il panorama è ricco e differenziato: si va dalle prove attitudinali e dai colloqui in commissione di esame previsti dal pubblico concorso fino alle sofisticate valutazioni psicodiagnostiche applicate ai candidati per ruoli di elevata responsabilità organizzativa nelle imprese multinazionali.

Si tratta, in sostanza, di stabilire l’idoneità psichica del candidato in relazione sia a un ruolo o a una famiglia di ruoli sia all’assunzione di specifiche responsabilità, all’inserimento nell’ambiente organizzativo, nel sistema di valori e di cultura, e alle prospettive di sviluppo. Così come il medico del lavoro, tramite gli esami medici e di laboratorio, stabilisce se un candidato è idoneo a svolgere la mansione assegnatagli, allo stesso modo lo psicologo, per mezzo dei suoi strumenti e delle sue conoscenze, è chiamato a stabilire l’idoneità psichica del soggetto al lavoro, esaminando le sue peculiari qualità umane.

Ma quali sono le qualità umane e professionali del “buon” selezionatore? Quando il sottoscritto ha iniziato a lavorare nel campo delle risorse umane, alla fine degli anni Settanta, era in auge un libro scritto da Marvin D. Dunnette (1966) dal titolo invitante: La psicologia nella selezione del personale. Un testo nel quale, in realtà, vi era molto poca “psicologia”, e che lasciava chiaramente intendere che la competenza principe dell’assessor doveva essere di natura statistico-matematica! Al colloquio-intervista di selezione, l’autore dedicava solo un paio di pagine bollando questa tecnica come inefficace e utile, al più come «mezzo per le pubbliche relazioni»… Purtroppo in molti hanno proseguito su quella strada e ancora oggi può sembrare che per “fare selezione” non sia necessario uno/una psicologo/a, ma un esperto di software statistici, con una caratterizzazione “da sperimentatore di laboratorio”. Ma i candidati non sono topi in un labirinto e le analisi statistiche, anche se sofisticate, da sole non dicono nulla su chi è e su com’è fatto un essere umano.

NON FERMARSI ALLA SELEZIONE

In un quadro del genere, persino la competenza psicologica del selezionatore è stata messa in dubbio: anni fa, in un dibattito tra psicologi sul tema, alcuni hanno sostenuto che per «fare selezione» fosse sufficiente saper ascoltare e non avere fretta di trarre una conclusione. Come a dire che per esercitare la professione di medico chirurgo basta avere una certa manualità e nessuna paura del sangue! D’altro canto non si deve ignorare che diversi psicologi sono entrati nel mondo delle aziende a fare selezione privi di una vera motivazione, e, anzi, effettuando una vera scelta di ripiego. Ma per tutti gli altri la psicologia del lavoro e le attività di assessment delle risorse umane nascondono un vero e proprio tesoro di conoscenze.

Sulla base della motivazione specifica alla diagnosi psicologica e dell’interesse reale verso le metodologie di valutazione, le competenze dello psicologo trovano le loro fondamenta sulla conoscenza delle teorie della personalità e dei modelli settoriali di riferimento (intelligenza, relazionalità, motivazione ecc.). Chi ha l’opportunità di sviluppare conoscenze in ambito clinico si accorgerà che anche nel mondo del lavoro vi è molta psicopatologia e che sta alla responsabilità del professionista saper individuare i candidati apparentemente brillanti ma portatori di sottili disfunzioni caratteriali.

Eppure la sapienza teorica e tecnica non è sufficiente: proprio come nel campo della psicologia clinica, è necessario che il professionista psicologo sia egli stesso sano quanto basta ed equilibrato, per il semplice (ma fondamentale) fatto che ogni attività di assessment – così come ogni attività di training – passa per la dimensione interpersonale. E sicuramente è di grande interesse per il selezionatore non fermarsi al processo selettivo e spaziare su altre aree. Infatti, una volta concluso l’iter selettivo, il lavoro dello psicologo dell’organizzazione non è terminato. Si tratta di individuare le modalità di accertamento degli esiti della selezione per poter effettuare un salutare “controllo di qualità” del processo selettivo effettuato. Ma si tratta anche di accompagnare le risorse neoassunte (i newcomers) sulla strada di un proficuo e costruttivo inserimento nella realtà organizzativa (Castiello d’Antonio e d’Ambrosio Marri, 2011). Che si tratti di giovani alle prime armi o di professional di esperienza, chiunque necessita di un minimo di orientamento e tutoraggio nell’inserimento in quel particolare contesto che alcuni definiscono la tribù aziendale. E ogni azienda, impresa o pubblica amministrazione è completamente diversa da altre: pertanto non si può dare per scontato che un neoinserito, pur se con molti anni di esperienza di lavoro alle spalle, riesca automaticamente a integrarsi nel nuovo, specifico tessuto organizzativo. Le pratiche di socializzazione al lavoro e di diversity & inclusion management dovrebbero perciò riguardare tutti i neoassunti e non soltanto i giovani neolaureati o neodiplomati. In tal senso, la selezione dovrebbe rappresentare un ambito specialistico del lavoro dello psicologo professionista, integrandosi con gli altri sistemi di gestione, valutazione e di sviluppo del capitale umano. Il futuro è dunque aperto all’integrazione intelligente di attività scientifico-professionali (Salgado, 2001) e la psicologia (che dal 22.12.2017 è ufficialmente e definitivamente una «professione sanitaria») dovrebbe riconquistare ciò che ha perso o che ha trascurato nell’ambito delle applicazioni alle realtà di lavoro, perché è dell’essere umano che si tratta, della sua salute e del suo progetto di vita.

Andrea Castiello d’Antonio, psicoterapeuta e psicologo delle organizzazioni, già professore straordinario all’Università Europea di Roma, ha pubblicato 20 volumi e circa 200 articoli scientifici e divulgativi in varie aree applicative della psicologia.


Riferimenti bibliografici

Castiello d’Antonio A. (2005), «Sulla selezione psico-
attitudinale dei magistrati», Psicoterapia e Scienze Umane, 3, 390-394.

Castiello d’Antonio A. (2013), L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa, Franco Angeli, Milano.

Castiello d’Antonio A. (2015), La selezione psicologica delle risorse umane, Franco Angeli, Milano.

Castiello d’Antonio A. (2016), «Lavorare con entusiasmo. Engagement e benessere lavorativo», Psicologia contemporanea, 256, 36-43.

Castiello d’Antonio A., d’Ambrosio Marri L. (2011), «Primi passi in azienda», Psicologia contemporanea, 225, 44-47.

Chamorro-Premuzic T., Furnham A. (2010), The psychology of personnel selection, Cambridge University Press, Cambridge.

Cook M. (2009), Personnel selection and productivity. Adding value through people (5th ed.), John Wiley & Sons, New York.

Dunnette M. D. (1966), La psicologia nella selezione del personale (trad. it.), Franco Angeli, Milano, 19872.

Kernberg O. F. (1998), Le relazioni nei gruppi. Ideologia, conflitto e leadership (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999.

Salgado J. (2001), «Some landmarks of 100 years of scientific personnel selection at the beginning of the new century», International Journal of Selection and Assessment, 9, 3-8.

Andrea Castiello d’Antonio, psicoterapeuta e psicologo delle organizzazioni, già professore straordinario all’Università Europea di Roma, ha pubblicato 20 volumi e circa 200 articoli scientifici e divulgativi in varie aree applicative della psicologia.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 278 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui