La televisione e l’illusione della competenza
Una delle contraddizioni della tv: poter informare su tutto, ma poi in realtà selezionare in base a ciò che fa più share.
PUNTO PRIMO, LA TELEVISIONE È SEMPRE. La televisione insiste in modo continuativo nel trasmettere informazioni alla sua audience. Deve farlo perché l’alternativa sarebbe perdere il controllo sull’attualità. Ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione per un media che vive in profonda simbiosi con il presente. L’attualità è nata prima della TV, ma era più lenta, forse più imprecisa, sebbene questo non possiamo dirlo con certezza. Prima con i giornali, poi con la radio, dopo con la TV e adesso con Internet, l’attualità è diventata sempre più rapida nel manifestarsi agli uomini. Nei secoli passati bisognava aspettare molto prima di venire a conoscenza di una notizia lontana. Oggi, invece, un avvenimento tanto sensazionale apre il TG della sera o forse avrebbe addirittura la dignità per essere trasmesso in diretta a reti unificate. Inseguire l’attualità per non morire di vecchiaia, questo è il destino della televisione. La conseguenza è che l’attualità non basta mai. Ne serve tantissima per riempire tutti i buchi della programmazione televisiva quotidiana. Allora “si copia e si incolla”, spostando di poco il punto di vista e finendo per proporre, tanto spesso, aria fritta. (CONTINUA...)
PUNTO SECONDO, LA TELEVISIONE È TUTTO. Persino Internet, che in certi momenti sembrava essere uno spazio indipendente dall’egemonia della televisione, ha finito con l’omologarsi alle contingenze di palinsesto per qualche clic in più. Come fanno, per esempio, alcuni quotidiani online, che per decidere la programmazione delle notizie studiano la messa in onda dei programmi e propongono articoli attinenti con quello che passa in TV.La definizione di “attualità”, in una delle sue accezioni, è “ciò che desta vivo interesse negli uomini di oggi”; dunque, considerato l’esempio qui sopra, possiamo sostenere che la televisione è in grado di produrre attualità. La stessa attualità di cui deve costantemente nutrirsi. La televisione e l’attualità si imboccano a vicenda.
Per rispondere al bisogno di esserci sempre, la televisione propone un’attualità allargata che comprende una quantità di informazioni enorme: impossibile processarla tutta, per i limiti cognitivi dell’essere umano. Ciò obbliga il telespettatore a scegliere cosa guardare, aderendo così implicitamente a un gruppo culturale piuttosto che a un altro. Il bagaglio nozionistico e ideologico di un individuo non viene più costruito attraverso l’adesione a un insieme di persone che condividono gli stessi bisogni, ma si forma a partire dalla scelta dei programmi. Un ragazzo di Pordenone e uno di Crotone che guardano gli stessi programmi avranno pensieri molto simili tra loro. Potrebbero addirittura arrivare a votare la stessa persona alle elezioni, nonostante sia difficile credere che i loro problemi e le loro necessità siano uguali. Questo è il populismo, un sistema ideologico che non si forma attivamente attraverso lo sforzo critico di misurare e analizzare i propri bisogni e quelli del proprio gruppo, ma che prospera indisturbato insinuandosi nei punti deboli del pensiero.
PUNTO TERZO, LA TELEVISIONE È FACILE. La televisione entra dalla porta sul retro del nostro cervello. Lo fa perché deve sopravvivere. Il filosofo Popper ha spiegato molto bene questo concetto nel suo saggio Cattiva maestra televisione. Il suo punto di vista è semplice: siccome la televisione deve vendere pubblicità, e siccome il prezzo della pubblicità dipende dallo share dei programmi, l’obiettivo della televisione è di fare ascolti. Poiché sono le cose facili ad attirare più pubblico, di cose facili la televisione riempie i palinsesti, e di conseguenza la real-tà. Il giorno che la lettura critica in tedesco delle Considerazioni inattuali di Nietzsche avesse il potere di incollare cinquanta milioni di italiani davanti alla TV, si può star certi che la metterebbero in prima serata.
Dato che annulla la tensione critica tra l’informazione e la comprensione di quest’ultima, la televisione ha creato una generazione di persone convinte di padroneggiare qualsiasi aspetto dell’attualità e, per estensione induttiva, della realtà.
FINALE, L’ILLUSIONE DELLA COMPETENZA. La nostra generazione sarà ricordata dai posteri come il periodo storico in cui tutti conoscevano tutto. Il semplice fatto che esistano dibattiti scientifici che contrappongono studiosi con curricula folti a opinionisti il cui unico pregio è la popolarità, mi sembra un esempio esaustivo. Inutile dire che un dibattito del genere è pura follia, perché lo studioso parla a nome di centinaia di persone le quali hanno scritto saggi e pubblicato ricerche che lui ha letto, mentre l’opinionista è solo portavoce di quello che nella migliore delle ipotesi è buon senso.
Tuttavia, questo limbo non è ancora una condizione tragica per la società. Mai come ora siamo di fronte a un bivio. Una strada porta alla totale detronizzazione della cultura accademica, umanista o scientifica che sia. In un mondo figlio di tale scelta sarà ben difficile sostenere che lo psicologo è diverso dall’amico. L’altra strada, invece, conduce alla competenza vera. Robert M. Pirsig nel suo libro Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta esprime con la brillante metafora del meccanico il concetto che potrebbe salvare il mondo. Per riparare la motocicletta, al protagonista del libro in principio non serve sapere molto. Ma più si addentra nella meccanica del motore e più si rende conto di dover acquisire nuove conoscenze per elevare a un livello superiore il suo rapporto con il mezzo. Prima era sufficiente conoscere il nome dei pezzi, poi ha dovuto imparare il senso nella meccanica della moto, infine ha sentito il bisogno di migliorare quel sistema introducendo elementi nuovi. Tale processo lo obbliga ad acquisire una conoscenza sempre più approfondita e reale della fisica, della chimica e dell’ingegneria. A questo punto sente il bisogno di tornare a studiare.
Ora, pensate se facessimo come lui. Pensate se la passione con cui si accalorano nei talk show parlando di qualunque tema spingesse i telespettatori a studiare seriamente l’argomento all’interno di seminari serali tenuti dagli esperti con il curriculum chilometrico. Allora, forse, riusciremmo ad accettare una verità dimenticata: che non esistono i tuttologi e che avere un’opinione costa parecchia fatica.
Francesco Boz, dottore in Psicologia, è uno degli autori del programma televisive Le Iene e ha fondato il sito psiche.org e social media manager, dell’Ordine Psicologi del Veneto. Si occupa principalmente di comunicazione e marketing sui nuovi media.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 273 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui