La televisione ti rende più stupido o più intelligente?
Che la TV ci condizioni persino nelle nostre abilità mentali è assodato. Ma in quale direzione non è ancora prevedibile.
Nel 1963 Umberto Eco pubblicava nel suo Diario minimo un saggio intitolato Fenomenologia di Mike Bongiorno. In questo breve saggio, destinato a grande celebrità, Eco illustrava con ironia le motivazioni del successo del presentatore, facilmente riassumibili nella parola “mediocrità”. La tesi del futuro autore del Nome della rosa era semplice: il successo di Mike Bongiorno è stato monumentale, le sue qualità sono pari o addirittura inferiori a quelle dell’italiano medio, questo vuol dire che i telespettatori premiano l’ordinario. In altre parole, Mike piaceva tanto perché erano tutti migliori di lui, ma siccome lui nella vita ha trionfato, le sue gaffe in televisione erano la garanzia che chiunque poteva farcela.
Quarant’anni dopo il saggio di Eco, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona, R. L. Nabi, E. N. Biely, S. J. Morgan e C. R. Stitt, ha pubblicato uno studio dal titolo Reality-based television programming and the psychology of its appeal. L’articolo indaga i reality show e cerca di capire perché hanno tanto successo. Tra le conclusioni ne spicca una molto vicina a quanto affermato dal semiologo di Alessandria: guardiamo i reality perché vedere persone “conciate” in quel modo ci dà una botta di autostima. Ovviamente, non è così semplice. Anche perché, se lo fosse, dai clinici chiamati a risolvere i problemi di autostima dovremmo aspettarci dei consigli piuttosto bizzarri. «Lei dovrebbe guardare più reality, le prescrivo un’ora al giorno di Grande Fratello. Poi alterni Temptation Island un giorno sì e uno no. Nei weekend vada a bere una birra con un amico messo peggio di lei e si faccia raccontare le sue disgrazie. Vedrà che andrà meglio!». Si può dubitare dell’effetto medicamentoso della TV, ma guardarla ha di certo conseguenze sul nostro cervello.
Markus Appel, in uno studio intitolato A story about a stupid person can make you act stupid (or smart): Behavioral assimilation (and contrast) as narrative impact, introduce il concetto di “media priming” e chiede prudenza, perché ciò che guardiamo in televisione influisce sulle nostre performance cognitive. Definiamo il priming come un effetto psicologico per il quale l’esposizione a uno stimolo condiziona la risposta a stimoli successivi. Il media priming è l’effetto che giornali, radio e TV hanno su di noi. In pratica, ciò che vediamo alla televisione incide sui nostri giudizi, sulle nostre emozioni e sui nostri comportamenti anche dopo avere spento il televisore, perché durante il programma abbiamo acceso dei neuroni e ne abbiamo messi altri a riposo.
L’indagine scientifica si è occupata a lungo dell’effetto della TV sui telespettatori. Il media priming è stato principalmente studiato all’interno di 3 dinamiche.
• Il primo è lo studio degli stereotipi presentati dai media: come guidano i nostri giudizi relativi al gruppo cui vengono attribuiti. Per esempio, il caso di un crimine commesso da un immigrato incide sul giudizio dell’opinione pubblica molto più di quanto faccia una solida statistica a sfavore dei criminali nostrani.
• Il secondo filone di ricerca riguarda la politica. La copertura mediatica che viene data a un politico condiziona la nostra scelta di voto assai più di quanto faccia il suo programma elettorale. Insomma, una faccia nota e gradevole vale più di mille parole.
• Infine, il terzo filone traccia un legame fra televisione e violenza. L’esposizione alla violenza, da un lato, desensibilizza a quest’ultima, dall’altro stimola sentimenti o comportamenti violenti.
Il lavoro di Appel suggerisce anche una quarta possibilità di azione della televisione sulla nostra vita. A mio avviso la più inquietante. Secondo lo psicologo tedesco, guardare la TV avrebbe degli effetti sulle nostre abilità cognitive.
Il punto di partenza è banale: tutto quello che facciamo ha degli effetti sulle nostre abilità cognitive. Non è un mistero che leggere parecchio allarghi il nostro vocabolario e migliori la concentrazione. Sappiamo bene l’ansia legata allo svolgimento di un compito: entro certi limiti migliora la nostra performance, superati i quali la danneggia; oppure che una buona notizia ci rende più intrepidi, mentre una cattiva ci spegne la voglia di fare. In ogni istante della nostra vita, le informazioni che riceviamo dal mondo esterno agiscono sul nostro cervello molto più di quanto immaginiamo.
Proprio per questo è importante comprendere in che modo la televisione modifica le nostre abilità cognitive. Appel ha scoperto che persone esposte a storie di personaggi banali, superficiali o stupidi, dovendo risolvere dei test cognitivi, hanno risultati peggiori rispetto ad altre, esposte a storie di personaggi neutri. Il priming, in questo caso, pre-attiva un livello più scarso di performance. Detto così, guardare un programma stupido prima di un compito in classe sarebbe una scelta pessima.
I suoi risultati, tuttavia, sono controversi. Quando mette a confronto le performance cognitive di persone esposte a storie di personaggi banali rispetto a storie di grandi scienziati o luminari, Appel non riscontra differenze. Anzi, capita che su certe persone il racconto della vita di Einstein porti a un crollo dei risultati, laddove ci si aspetterebbe un miglioramento. Tale incongruenza può essere spiegata. L’effetto che il mondo esterno ha sui nostri comportamenti non è mai unico. Elaboriamo tutto sulla base delle nostre esperienze pregresse; il soggetto della nostra attenzione interagisce con il nostro vissuto. Per questo motivo, la storia di Einstein può esaltare chi percepisce la possibilità di innalzarsi al suo livello, ma demolirà chiunque interpreti impietoso il paragone con la propria vita.
La TV, insomma, influenza le nostre performance cognitive, ma non ci è dato sapere in quale direzione. Può peggiorarle, se ci si immedesima a tal punto con quella realtà da attivare dei meccanismi di imitazione. Ma potrebbe anche migliorarle, se la consapevolezza di essere migliori rispetto a quanto visto attivasse in noi un generale senso di auto-efficacia. Inutile, quindi, demonizzare la TV o promuoverne i vantaggi. La cosa giusta da fare è adottare un approccio critico, perché niente è innocuo come sembra.
Cominciamo col farci queste domande: come stiamo dopo aver guardato la TV? Influenza i nostri rapporti sociali? L’umore ne è migliorato o peggiorato? Siamo stanchi o ricaricati? Rispondiamo che la televisione potrebbe diventare addirittura uno strumento per migliorare la nostra vita. Dobbiamo solo capire quali sono i dosaggi giusti e i contenuti più appropriati al nostro benessere.
Ma questi sono aspetti che avremo modo di trattare in modo più approfondito nei prossimi articoli. La cosa più importante è la consapevolezza di ciò che facciamo.
Francesco Boz, dottore in psicologia, è uno degli autori del programma televisivo Le Iene e ha fondato il sito psiche.org e social media manager dell’Ordine Psicologi del Veneto. Si occupa principalmente di comunicazione e marketing sui nuovi media.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui