La violenza indicibile. L’aggressività femminile nelle relazioni interpersonali
L’aggressività femminile è uno dei grandi tabù della società contemporanea ma soprattutto è uno dei temi più attuali e più urgenti da affrontare e comprendere. È un modalità di stare nelle relazioni, il cui significato è ancora in larga misura sommerso, che si presta ad essere travisato, come uno specchio che altera la realtà e riflette il desiderio e l’illusione di non incontrare mai la delusione.
Per molto tempo la comunità scientifica si è concentrata prevalentemente sulla violenza di genere e sull’inscindibile binomio tra domestic violence against women e partner violence, relegando nell’ombra le tipologie di relazioni disfunzionali dove la violenza viene attuata dalle donne siano esse partner o aspiranti tali, madri, colleghe, compagne di classe o perfette sconosciute.
Gli studi più recenti in ambito psicosociale hanno iniziato scardinare vecchi stereotipi delineando un percorso che procede attraverso:
- la consapevolezza della scomparsa dei tradizionali paradigmi di comprensione e valutazione del fenomeno al fine sia di superare lo stereotipo di una donna che si prende cura del benessere degli altri ed è aggressiva solo per legittima difesa (Johnson 2006; Swan et al., 2008), sia per far scaturire diversi modelli sociali di violenza, cioè altri profili socio-culturali di aggressori e vittime;
- la scelta di mettere in luce il dolore muto e segreto delle vittime e lo sforzo di comprendere il profondo disagio alla base di tali scenari relazionali;
- la consapevolezza di dover incrementare studi empirici, interventi preventivi e di trattamento per vittime e carnefici.
I contributi degli autori del volume “La violenza indicibile. L’aggressività femminile nelle relazioni interpersonali” sono accomunati dal filo rosso rintracciabile nel tentativo di delineare un profilo più autentico e reale dell’odierno mondo femminile, che includa gli inevitabili aspetti d’ombra.
A partire dai dati di studi empirici che affermano che la gestione violenta dei conflitti non si differenzi in modo significativo sulla base del genere di appartenenza, è evidente che anche le donne possono manifestare l’intenzione di ferire o nuocere qualcuno, prediligendo soprattutto un’aggressività di tipo indiretto o relazionale, ma che può variare in funzione dei contesti entro i quali si manifesta (Stark, 2010).
Nello specifico delle dinamiche di coppia, emerge un’aggressività femminile che si manifesta, in particolar modo, in una “violenza nascosta” che ha la finalità di mantenere o stabilire il controllo sul partner e che va letta sia come il frutto di un malfunzionamento del sistema coppia e del sistema famiglia che come il risultato di fattori personali, situazionali e socio-culturali che contribuiscono a determinare le caratteristiche del micro e macro sistema nel quale la persona si muove.
Non meno importanti appaiono le riflessioni relative alla manifestazione femminile del fenomeno dello stalking nel quale le donne, rispetto agli uomini, non appaiono meno invadenti o persistenti nei comportamenti indesiderati e minacciosi alle loro vittime, esercitando una violenza che è proporzionale al grado di contatto e pregresso legame con esse (Meloy, Mohandie e Green, 2011).
Altri contesti relazionali nel quale è possibile riscontrare forme di violenza o sopraffazione femminile riguardano il bullismo e il mobbing; nel primo caso sembra che le ragazze, rispetto ai compagni, tendano a preferire il versante invisibile dei vari soprusi, facendo leva sulla parte più strettamente psicologica della vittima e rivolgendo esclusivamente la loro malevola attenzione verso altre ragazze; nel secondo caso, i risultati degli studi sul mobbing al femminile portano a svincolare la donna dallo stereotipo di essere la vittima preferenziale mostrando come entrambi i sessi possano essere mobber o mobbed anche se, al momento attuale, non vi sono dati sufficienti per fare una stima rispetto al rapporto mobber donna-uomo.
Un’ultima ma forse più delicata area di studio riguarda i dati di ricerca che sembrano contraddire l’aspettativa di una madre benigna ed empatica che ha a cuore il benessere dei propri figli affrontando il tema delle “cure” materne perverse: l’abuso infantile ad opera della madre, espresso nel volume da contributi relativi alla Sindrome di Münchausen per Procura (MSbP) e al vero e proprio abuso sessuale intrafamiliare evidenzia come, in tali configurazioni relazionali, dietro ad una madre “devota” al figlio ci sia una donna che esprime il proprio bisogno di ottenere attenzioni attraverso la simulazione sintomatica o tramite una relazione esclusiva e estremamente disfunzionale con il bambino stesso.
Ignorare o sottovalutare la violenza delle donne, oltre a determinare un vuoto nelle riflessioni teoriche e nei dati empirici relativi ad una struttura relazionale evidentemente diffusa, comporta anche il rischio di sottovalutare la necessità di interventi preventivi e di trattamento sia per gli uomini vittima che per le donne offender.