La virgola del futuro
Oroscopo e scienza hanno processi mentali comuni, legati all’anticipazione del futuro. Sono gli stessi processi che portano ad ansia anticipatoria e depressione.
Sono nato sotto il segno del Cancro. Non chiedetemi l’ascendente, non mi sono mai interessato abbastanza agli astri per cercare di calcolarlo. La mia diffidenza nei confronti delle pratiche divinatorie su fondi di caffè o viscere di animali, che mi rivelassero il destino che mi avrebbero decretato le stelle o su cosa mi riservi la giornata o l’anno, è direttamente proporzionale al mio interesse per la scienza.
Ed è anche proporzionale alla mia curiosità per la psicologia umana, incluso quando l’interesse per oroscopi e divinazione riflette il più generale interesse che l’uomo ha per il futuro e per le descrizioni verbali che ne trae. Ne consegue che sono anche desideroso di comprendere come la curiosità per il futuro talvolta finisca con il paralizzare l’uomo nel presente, fino ad essere ingabbiato in quadri clinici cui sono stati dati i nomi di “ansia anticipatoria” o “depressione”.
RESPONSI SIBILLINI
Se vi sembra quantomeno curioso mettere insieme aspetti antitetici come oroscopo, scienza e psicopatologia, provate per un attimo a considerare un altro tipo di previsioni: per esempio quelle meteorologiche o quelle sull’andamento della borsa o relative agli smottamenti di un terreno.
Il metodo scientifico ci ha aiutato ad affinarle nel corso del tempo e a renderle sempre più vicine a “ciò che avverrà”, entro certi limiti di oscillazione del fenomeno che calcoliamo. Questi limiti sono derivabili da formule matematiche che ci aiutano a quantificare la probabilità che un fenomeno si presenti. Tale probabilità diventa un indice per comprendere quanto regolare sia un fenomeno, quanto possa scartare da questa regolarità e quanto, se alcune variabili ad esso relative venissero manipolate, potremmo “fidarci” nel respingere l’idea che quello che osserviamo sia casuale.
La scienza e l’oroscopo hanno questo in comune: sono strumenti umani impiegati nell’anticipare verbalmente al momento presente fenomeni futuri, in modo da prepararci adesso, nel presente.
La scienza cerca di prevedere e/o manipolare gli eventi al fine di migliorare tanti aspetti della nostra vita. L’oroscopo ha alcuni problemi di previsione, che diventano interessanti per chi è appassionato e studia la cognizione umana: anche in questo caso le enunciazioni sono fatte sulle basi di assunti che mettono in relazione eventi (per esempio, movimento degli astri, fondi di caffè, viscere di animali, sogni ecc.) con una descrizione del futuro che viene però offerta sotto forma non facilmente comprensibile, sibillina.
Nel Chronicon del monaco cistercense Alberico delle Tre Fontane si legge della Sibilla cumana, la somma sacerdotessa di Apollo che era solita vaticinare la sorte dei soldati romani che le si rivolgevano per conoscere il destino che li aspettava in guerra, con l’enigmatico «Ibis redibis non morieris in bello». La frase della Sibilla è volutamente criptica e da qui appunto deriva l’origine dell’aggettivo “sibillino” in italiano, perché, enunciandola senza una sospensione prima o dopo il “non”, lascia a chi la ascolta l’onere dell’interpretazione. Il significato della frase cambia, infatti, se la si interpreta come “Andrai-tornerai, non morirai in guerra” oppure come “Andrai-tornerai non, morirai in guerra”, spostando una semplice virgola.
Michelangelo dipinse la Sibilla cumana nella Cappella Sistina, facendo riferimento alla presunta predizione di Virgilio, che nelle Bucoliche riporta della nascita di un bambino nel regno di Augusto, che avrebbe instaurato una nuova età dell’oro. Questa profezia fu successivamente letta dai cristiani come la predizione della nascita di Gesù Cristo, anche in ambiente pagano.
Questi due esempi chiariscono, in mancanza di legami causa-effetto fra astri, viscere et similia con gli eventi, come l’interpretazione di profezie e oroscopi sia in definitiva lasciata a chi ascolta – soldati o cristiani – e non a chi la pronuncia. E spesso il “disvelamento” è post-hoc, ovvero dopo che l’evento è avvenuto – una morte o una nascita, nei casi che ho citato –, oppure si cerca un senso al vaticino negli eventi vissuti o che si stanno vivendo. Agli oroscopi bisogna pertanto “credere” senza verificare.
La scienza, peraltro, cerca disconferme, e non conferme, ma questo è un discorso che ci farebbe impantanare nei meandri epistemologici del ragionamento scientifico. Serve comprendere che la spinta a prevedere è simile fra scienza e oroscopo, ma che le condizioni contestuali da cui “diamo un senso” a un discorso scientifico o all’oroscopo sono diverse.
In qualche modo, alle parole dell’oroscopo si aderisce per fede cieca. Quel contesto di “probabilità di un evento”, cui accennavamo sopra, ci fa invece prendere le parole della scienza con leggerezza, con quella dose di scetticismo che ne assicura il progresso, perché tutto può essere messo in discussione nella scienza, con metodo.
LEGGERE NOI STESSI AL FUTURO
Da dove nasce questo interesse dell’uomo per il futuro? Per gli eventi che “ci aspettano”? Il meccanismo cognitivo umano che accomuna oroscopo e scienza è unico e probabilmente risiede nella stessa essenza del linguaggio, del pensiero e della cognizione e dei processi che li contraddistinguono.
La possibilità di parlare, di descrivere azioni mettendo in relazioni cose, eventi e anche aspetti inesistenti, nel futuro, ci permette di compiere azioni nel presente che ci facciano agire per un futuro meno incerto, se non addirittura mirabolante e fantascientifico. Progettare significa essere in grado di descrivere elementi che non esistono, dal tempo meteorologico al lavoro che ci piacerebbe svolgere, a un razzo o un acceleratore di particelle insieme a un sensore di muoni nel sotterraneo dei laboratori del CERN di Ginevra.
L’origine del linguaggio viene comunemente fatta risalire a circa 100 000 anni fa e nel tempo diventò la facoltà che aiutava uno specifico gruppo di ominidi a proliferare ed evolvere, organizzandosi per la caccia e la sopravvivenza nelle caverne, e successivamente per la coltivazione e la costruzione di utensili. Secondo alcuni studiosi fu questo il punto di svolta della specie umana rispetto ad altre specie presenti sul pianeta.
Immaginiamo che i nostri antenati per un arco di tempo sufficientemente lungo avessero sviluppato la capacità di descrivere elementi comuni e coerenti rispetto ad alcuni eventi. Il sorgere del sole, i cicli della luna, l’alternarsi delle stagioni sono probabilmente stati fra gli eventi descritti per primi e di cui si notò la coerente ripetizione nel tempo. Lo studio degli astri, della regolarità del loro moto, della possibilità di descriverlo in meccanismi previsionali ha costituito la base della scienza moderna. La scienza mira a descrivere regolarità e coerenze nei fenomeni e a questa descrizione dà il nome di “legge scientifica”, spesso ponendola sotto forma di enunciazione matematica o di artifizio tecnico.
Fra gli artifizi più antichi, il cosiddetto meccanismo di Anticitera viene considerato il primo astrolabio di cui si abbia conoscenza. Datato fra il 250 e il 100 a.C., non è altro che un preciso calcolatore del calendario lunare e solare, molto simile per logica a quello che incorporano oggi tanti orologi da polso meccanici.
Gli uomini si sono serviti di strumenti come questo, oggi sostituiti dal computer o da modelli matematici, per “leggere nel futuro” e prevedere i fenomeni celesti. L’uomo ha tentato di prevedere se le messi sarebbero state abbondanti, ha imparato a proteggerle dopo la raccolta, trasportarle dove si possano consumare. Abbiamo anche imparato, utilizzando le conoscenze della scienza, a eliminare i pericoli invisibili, sterilizzando il cibo, e a cucinarlo.
In quanto uomini, questo schema di previsione e controllo lo abbiamo applicato a mille aspetti della nostra vita perfezionandolo incessantemente nel corso dei millenni, fino alla grande accelerazione che ci è stata offerta da quando abbiamo adottato il metodo sperimentale per conoscere e manipolare il mondo, che è una versione sofisticata della logica della previsione e del controllo. Così la matematica ci ha permesso di quantificare le tendenze dei fenomeni, di porvi in relazione ipotetiche traiettorie di futuro e, sulla base delle esperienze, di correggere e affinare continuamente i modelli previsionali.
Chi ha avuto modo di leggere i miei precedenti articoli cortesemente ospitati su questa rivista avrà notato come ci sia un perno comune che lega la perdita, il pregiudizio, i temi monografici (la Fine, la Paura) dei “dossier” dei numeri in cui sono stati pubblicati e questo qui. E tale perno comune è il meccanismo di funzionamento della mente. Possiamo avvertire le perdite, classificare e attribuire pensieri e intenzioni, e prevedere, perché il comportamento verbale, implicito o esplicito, è una risposta che dipende dalla facoltà di mettere in relazione elementi tra loro. Nel caso delle previsioni ci fa porre in relazione elementi del presente, o del passato, con una descrizione del futuro.
Questo tipo di risposta relazionale è una delle tre componenti del repertorio linguistico che alcuni studiosi del linguaggio e della cognizione chiamano “funzione deittica”. In altri termini, quando apprendiamo a parlare acquisendo prospettive diverse, per esempio quella del Sé e quella dell’Altro, quella del qui e quella del là, quella del presente e quella del passato/futuro, sviluppiamo la cosiddetta teoria della mente, cioè l’abilità di “capire” gli stati mentali altrui, di immedesimarci nell’altro.
Applichiamo la medesima abilità quando ci pensiamo nei panni di “un altro” che siamo “noi stessi”, nel futuro. E ci pensiamo lì nel futuro mettendoci in relazione a un altro “perno” di confronto, noi o altri persone o eventi, nel presente o nel passato. Facendo confronti con le esperienze del passato, confronti che la nostra mente può eseguire in frazioni di secondo di cui spesso non siamo consapevoli, e descrivendo la coerenza o la discrepanza che si osserva tra eventi o che arbitrariamente creiamo fra eventi, proviamo a “capire” come prevenire difficoltà, se non pericoli e disastri.
Ma tutte le medaglie hanno un loro rovescio. La parola non rimane inerte e si accompagna a fenomeni psicologici ed emotivi. Speranza e terrore vanno di pari passo quando parliamo di eventi del futuro e possono generare fiducia o anche ansia. Speranza, per molti, è anche parente intima dell’illusione, che può farci precipitare nella disperazione. Possiamo reagire con terrore al pensiero che il futuro non si allinei con quanto sperato e se crediamo ciecamente alle storie che ci racconta la nostra mente ne rimaniamo prigionieri. “Prevedere” diventa utile in alcune circostanze e si rivela disastroso in altre, con conseguenze che sfociano pure nella psicopatologia, in quelle condizioni che chiamiamo ansia o depressione. In queste condizioni, ci sentiamo in trappola e la mente si chiude offrendoci sempre scenari disastrosi a cui reagiamo con passività o con aggressività, quasi mai in modo funzionale.
ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY
In Vita con Lloyd, libro di dialoghi con un maggiordomo immaginario – Lloyd, appunto –, lo scrittore Simone Tempia offre questo suo commento sulla paura del futuro: «Il futuro non è altro che il presente vestito con gli abiti della speranza. O della paura». E prosegue: «La cosa non mi rincuora, Lloyd». «E invece dovrebbe, sir… Il guardaroba lo decide lei». «Si va a fare shopping, Lloyd?».
Come possiamo “fare shopping” e uscire dalle trappole della nostra mente sul futuro, siano esse eccessivamente pessimiste od ottimiste? Perché, ricordiamoci, siamo noi che diamo significato a «ibis redibis (non)» e che interpretiamo, all’interno del contesto in cui viviamo, il senso delle parole che ascoltiamo o che ci vengono in mente. E questo è fonte di preoccupazione o anche di eccessivo ottimismo. In entrambi i casi, le conseguenze possono non essere funzionali all’individuo.
L’ACT, Acceptance and Commitment Therapy, che è una forma di terapia cognitivo-comportamentale cosiddetta di terza generazione, ci aiuta a notare come i nostri pensieri, anche quelli che dipingono scenari futuri, siano solo pensieri. Un protocollo ACT è utile ad allenare la mente alla flessibilità psicologica, sviluppa la capacità di notare i pensieri senza esserne catturati, spinge ad accogliere con apertura e gentilezza verso sé stessi le emozioni che insorgono, anche quelle negative, a sviluppare una prospettiva del Sé più grande dei contenuti della propria esperienza e ad essere presenti e agire in direzione dei propri valori.
Accogliendo lo spirito dell’ACT, quando i pensieri di paura sul futuro ci vengono a trovare vestiamo un nuovo habitus e proviamo a comportarci come fossimo scienziati di fronte a un fenomeno nuovo. Uno scienziato non cerca mai di interferire o di distruggere un fenomeno. Semplicemente, lo studia, lo osserva con curiosità, cercando di saperne il più possibile.
Potremmo così notare da dove provengono questi pensieri, cosa ci raccontano, quali sono le cose cui teniamo e che magari sentiamo minacciate, a cosa si correlano. Potremmo esplorare anche come agiremmo in una giornata senza tali pensieri o cosa faremmo se ne fossimo invece schiacciati.
Potremmo anche scoprire che l’ansia e la paura sono come monete: da un lato c’è il timore, dall’altro troviamo le cose alle quali teniamo e che vogliamo proteggere o sviluppare, per esempio famiglia, lavoro, affetti. Potremmo notare che in quello spazio di probabilità e di indeterminatezza a cui accennavamo in precedenza, agganciandoci a questi valori e agendo da scienziati curiosi, ci sono soluzioni alle quali non avevamo pensato prima e potremmo apprezzare la vita e ciò che ci offre pure in compagnia della nostra amica paura.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui