Giulia Lamarca

L’arte dell’ascolto

Oltre ad ascoltare gli altri, dovremmo prenderci del tempo anche per ascoltare noi stessi. Quando lo facciamo scopriamo tante cose.

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L'autunno è forse da sempre la stagione dell’anno più riflessiva. Ritorniamo a stare a casa, sotto le coperte, sul divano, guardando serie TV e leggendo libri mentre sorseggiamo una tazza di tè o di caffè. Le giornate iniziano ad essere piovose, il cielo un po’ più scuro e il rumore del vento e della pioggia portano dentro di noi sempre qualche domanda in più. Al di là del riferimento stagionale, è proprio in momenti così che dobbiamo coltivare l’arte dell’ascolto.

Quando pensiamo all’ascolto, ci viene subito in mente l’ascoltare gli altri, invece in questo articolo io desidero parlare della coltivazione dell’arte di saper ascoltare noi stessi. Spesso, durante le terapie, accade semplicemente questo: non è solo il terapista ad ascoltare noi, ma soprattutto siamo noi che mentre parliamo, forse per la prima volta, decidiamo di ascoltarci davvero. Questo è quello che dovrebbe accadere anche durante la nostra vita. Sapere ascoltarci, sia mentre stiamo in silenzio sia mentre parliamo. A volte, come psicologa, faccio fare proprio questo esercizio.

«Pensa a un evento o a una situazione della tua vita che hai sempre raccontato con facilità e che reputi di sapere a memoria. Una volta scelta, rinarrala, ma chiediti se la stai davvero raccontando come vuoi tu. Ascolta bene ogni parola che dici e pensa se è davvero quello che volevi dire».

La maggior parte delle volte che ho fatto fare questo esercizio, le persone si sono stupite di ciò che stavano raccontando. Si rendevano conto che in realtà andavano “in automatico” e che non si ascoltavano nemmeno più per verificare se quanto rievocavano era corretto. 

L'arte dell'ascolto

Questo è un piccolissimo esempio per far capire che non siamo più abituati ad ascoltarci, laddove l’ascolto è un’arma potentissima e anche una delle poche che abbiamo per imparare a conoscerci, riconoscerci e comprenderci. Ma perché allora è così difficile esercitarci ed educarci all’ascolto? Semplice: perché ascoltare significa “stare intenzionalmente a udire”. Se ci soffermiamo anche solo per un attimo su questa descrizione, già scopriamo un aspetto nuovo, ossia l’intenzione

Ecco perché dico che dobbiamo volerci ascoltare e che ascoltare è un atto attivo, una decisione… perché è intenzionale. Ascoltare significa farsi domande, ma soprattutto cercare e udire risposte. Ed è proprio questa la parte più difficile: le risposte. Alle volte, le domande escono semplici, alle volte rimanere nel silenzio ne fa emergere di nuove, ma sicuramente una parte importante del sapersi ascoltare riguarda le risposte che arrivano o non arrivano. 

Vedete, quando ascoltiamo gli altri, decidiamo di metterci per un attimo volontariamente da parte per far spazio all’altra persona. Fare spazio all’altro significa riconoscerlo e accettarlo, comprendere le sue emozioni e comprendere anche ciò che non viene detto. Tutto questo è facile da pensare verso un’altra persona, ma è difficile, molto difficile, da fare con noi stessi. Invece, non c’è percorso più bello che iniziare a usare queste stesse “regole” con noi stessi. Possiamo identificarne qualcuna per iniziare a imparare ad ascoltarci: metti pace ai tuoi pensieri, non giudicarti subito, non giudicare subito i tuoi pensieri, prima guardali, osservali, ascoltali; sii gentile ed empatico con te stesso; impara a riconoscere e conoscere il tuo corpo e i segnali che provengono da esso; non aver fretta di risolvere il problema, l’ascolto non è un’attività di problem-solving.

Vedete, anch’io non avevo mai riflettuto così tanto su quanto sia importante fermarsi e imparare ad ascoltare noi stessi, ma proprio in questo inizio di anno nuovo mi sono resa conto che siamo in continuo divenire e in continuo cambiamento. Noi non siamo quelli che eravamo ieri e neanche siamo quelli che saremo domani. I nostri tratti, seppur comuni, sono in continuo cambiamento. Ed è proprio da questa consapevolezza che nasce l’importanza di conoscere noi stessi, e l’unico modo che abbiamo per farlo è quello di prenderci del tempo privo di giudizio e appunto ascoltarci, osservarci. In un certo senso, è come se dovessimo diventare osservatori esterni di noi stessi e ascoltarci in modo non giudicante. 

A volte può succedere che ci accorgiamo di essere il frutto di ciò che gli altri pensano o dicono di noi. Questo è l’errore più grande che possiamo commettere su noi stessi, cioè costruire una narrazione di noi basata sui racconti e sui desideri di altre persone e così credere di conoscerci. Invece, dobbiamo fermarci e dare avvio a un’introspezione profonda, porci domande come: «Cosa voglio davvero? Sono felice di fare quello che sto facendo? Cosa posso fare per me? Cosa mi rende felice?». Sono tutte domande che richiedono di guardare dentro noi stessi e di lasciare la voce degli altri su di noi in lontananza. 

Come sostiene la grande psicologa Tasha Eurich: «Non dobbiamo chiederci “perché?”, ma “che cosa?”». Mi piace la sua osservazione, in quanto il perché impone di cercare di risolvere un problema, mentre il che cosa permette un’esplorazione e uno spazio di ascolto. Questo vuol essere un invito a intraprendere un percorso e a sceglierci, dato che non è mai troppo tardi per conoscersi meglio. 

Giulia Lamarca psicologa, amaviaggiare e, insieme al marito Andrea, è una travel blogger. Insieme girano il mondo e lo raccontano attraverso il blog MyTravelsTheHard­Truth.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui