Luca Mazzucchelli intervista Alessia Zecchini
Qual è il rapporto della stella italiana dell’immersione in apnea con i limiti da superare, il rapporto fra talento e allenamento, il buio dei fondali a 105 metri, la motivazione a fare sempre meglio?
Alessia Zecchini ha conseguito il record del mondo di profondità con i 105 m ed è stata definita «la donna più profonda del mondo». Alessia, da dove ti è nata la passione per l’apnea?
La mia passione per l’apnea nasce da quando ero piccola. Negli ultimi due brevetti in piscina dovevo fare i 25 m sott’acqua ed è stato là che ho conosciuto questo sport. Inoltre, tutte le estati con i miei genitori andavo in vacanza al mare e mi piaceva tanto scendere sott’acqua per prendere le conchiglie o quello che trovavo. Perciò ho chiesto loro di iscrivermi a un corso di apnea.
Quanti anni avevi quando hai iniziato a scendere sott’acqua?
Sono sempre andata sott’acqua, ma il primo corso di apnea l’ho fatto a 13 anni. Adesso ne ho 26.
Come si fa a diventare i numeri uno al mondo in questo campo?
Sicuramente se si hanno predisposizione e talento è più facile scendere sott’acqua perché non si hanno problemi né di adattamento né di paura. In ogni caso, con tanto allenamento si può arrivare comunque a risultati altissimi. Bisogna allenare tutte le componenti che costituiscono questo sport, quindi anche quelle mentali: il controllo e la tensione mentale sono altissimi.
Recentemente ho letto un libro, scritto dalla psicologa Angela Duckworth, che si intitola "Grinta. il potere della passione e della perseveranza" (Giunti Psychometrics, 2017). Lei sostiene che la grinta vale il doppio del talento. Infatti, talvolta chi ha troppo talento finisce, diciamo così, per stare sugli allori e ingannarsi, mentre chi parte un po’ svantaggiato ci mette più grinta. La tua esperienza com’è al riguardo?
Ho sempre pensato di avere parecchio talento. Quando ero piccola, fin da subito ero già molto forte. Forse per ciò i due anni precedenti a questo mi sono allenata meno; come dici tu, uno rischia di adagiarsi sul fatto che grazie al talento le cose riescono più facili e che quindi non c’è motivo di impegnarsi troppo. Quest’anno, invece, mi sono allenata di più e i risultati sono stati migliori.
Ci sono dei momenti in cui dici “Non ne ho voglia”?
Quest’anno no, gli ultimi due anni ho avuto qualche momento di sconforto, poi ho iniziato a fare l’assetto costante, che è molto più motivante. È bellissimo poter viaggiare e quindi, rispetto alla piscina, è più difficile perdere la motivazione.
L’idea del viaggio ti aiuta a tenerti motivata?
Certo, mi piace un sacco viaggiare e vedere posti nuovi, i posti dove facciamo le gare sono sempre bellissimi.
Come vive un’atleta come te? La tua giornata ha delle regole ferree? Sei costretta a fare tante rinunce?
No, riesco a gestirmi molto bene. Se sto a Roma mi alleno due volte al giorno, la mattina in piscina e il pomeriggio in palestra, poi riesco comunque ad avere una vita sociale. Quando sono all’estero è lo stesso, mi organizzo, riesco ad allenarmi e fare tutto il resto.
A cosa pensi quando sei sott’acqua?
Sono concentrata al 100% su quello che sto facendo, perciò faccio in modo che nessun pensiero esterno interferisca. Se si è concentrati al 100% non si commettono errori. Se ci si distrae anche pochissimo, invece, si rischia di commettere l’“errore della compensazione”. Infatti, quello che dobbiamo fare quando scendiamo è compensare, e basta una piccola distrazione per sbagliare questa tecnica e compromettere il tuffo. Poi ovviamente quando arrivi al piattello e torni verso la superficie magari può balenare un pensiero di felicità perché l’obiettivo è stato raggiunto.
C’è molto di psicologico in questo, no? Nel gestire i pensieri, nel convivere con delle emozioni… Anche se ti trasformi in una “bolla”, come gestisci le emozioni quando sei lì sotto?
Adesso non ho più ansia e riesco a gestire praticamente senza problemi tutta la performance. Prima della gara mi aiuta tanto fare la visualizzazione. In sostanza “mi vedo” mentre faccio quell’azione, dall’inizio alla fine; ovviamente vedo anche la soddisfazione all’uscita, cerco di sentire le sensazioni che avrò nel corso della prova. Questa tecnica me l’ha insegnata uno psicologo e mi ha cambiata parecchio.
Questi strumenti che apprendi per resistere, per superare i tuoi limiti, per convivere con alcune emozioni e pensieri, li usi poi anche nella vita normale? Riesci a trasporli anche in altri ambiti?
Sicuramente mi aiutano nella gestione dello stress. Anche all’università mi era molto più facile non avere ansia, o non avere problemi, prima di un impegno importante. Per cui uno riesce a portarli in tutto.
Come gestisci lo stress nella quotidianità? Con la visualizzazione?
No. Cerco di stare tranquilla e capire come trovare la soluzione. La visualizzazione mi è utile solo nell’apnea.
È buio sott’acqua?
Dipende da dove ti immergi. Alle Bahamas sì, è buissimo, non si vede niente. In Colombia anche il fondo è blu.
E tu hai gli occhi chiusi?
No, preferisco tenere sempre gli occhi aperti.
Il buio ti dà serenità o ti mette agitazione?
Preferisco quando il fondo è blu. Cioè, preferisco vedere qualcosa, perché la differenza di colore mi permette di capire a che profondità sono. Se non si vede assolutamente niente è più difficile.
Anno dopo anno tu hai messo mano ai tuoi limiti e li hai spostati uno alla volta. Che significato ha per te il limite?
Secondo me, non esiste un limite. Si può sempre migliorare. Si possono sempre abbassare i record in tutte le discipline. Bisogna soltanto migliorare e capire dove ci può essere l’errore.
Chi è che ti sostiene durante i tuoi allenamenti? Prima parlavi di uno psicologo, poi ci sarà un coach… Com’è composto il tuo team?
Allora, uno psicologo ce l’ho avuto, ho fatto poche sedute prima del mondiale 2013 e da quel momento ho sempre vinto in tutte le gare internazionali. Si trattava di Giorgio Nardone. Lui mi ha “svoltata”, veramente. Adesso ho un coach che però è di Praga, perciò mi alleno da sola. Lui mi dice più o meno quello che devo fare e io lo faccio.
Dall’inizio della tua carriera ad oggi, qual è stato il momento più critico che hai dovuto affrontare?
Sicuramente dopo il 2016. Avevo fatto tutti in record in piscina, mi ero allenata davvero tanto e ho passato un momento in cui volevo smettere perché non trovavo più stimoli per continuare. Poi mi sono buttata nel mare, e nel mare sto benissimo.
Acquisendo questa visibilità, senti il peso di una responsabilità sociale? Come vivi il fatto di essere un esempio per le altre persone?
Mi fa piacere essere un esempio per i più piccoli in quanto dimostro che se vuoi qualcosa veramente, lo puoi realizzare. Dato che mi metto pressione da sola perché voglio raggiungere certi obiettivi, non sento il peso delle aspettative degli altri: sono io la prima ad averne.
Che messaggio vorresti lasciare alle nuove generazioni che si approcciano allo sport?
Devono avere dei sogni e impegnarsi al massimo per poterli realizzare. Con l’impegno si può raggiungere qualunque cosa.
A proposito di sogni e di obiettivi, il tuo futuro come lo vedi?
Almeno per i prossimi sette anni sicuramente continuerò a fare l’atleta. Spero che nelle Olimpiadi del 2024 possa entrare l’apnea.
Grazie, Alessia, e complimenti per tutto quello che stai facendo.
Alessia Zecchini è nata a Roma nel 1992 e si immerge a livello agonistico da quando aveva 13 anni. Dal 2013, in questa disciplina sportiva, ha vinto di tutto. Il 10 maggio 2017, nell’isola di Long Island alle Bahamas, ha conquistato il record del mondo con -105 m di profondità nella competizione del Vertical Blue.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui