Luca Mazzucchelli

Luca Mazzucchelli intervista Bruno Brunod

Una conversazione a tre, con il nostro direttore, Pietro Trabucchi e Bruno Brunod, il noto fondista di corsa in montagna. Nella convinzione che il più cosciente dei propri limiti spesso è chi si arrischia a superarli.

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 Mazzucchelli:  Il tema di questo numero di Psicologia contemporanea riguarda le Sfide, che comprendono necessariamente anche il concetto di limite. Agli occhi di un osservatore esterno, quello che Bruno ha fatto e ha tentato di fare sembra l’opera di qualcuno che si crede senza limiti. Pietro, è un’impressione mia o è proprio così?

 Trabucchi: È assolutamente vero: quello che Bruno ha cercato di fare sembra un po’ un delirio di onnipotenza, a una persona non addetta ai lavori. Negli anni Novanta, quando Bruno “frantumò” il record di salita e discesa del Cervino da Breuil-Cervinia in 3 ore e 14 minuti, il giorno dopo uscì sull’inserto della Val d’Aosta della Stampa l’editoriale del direttore che gridava allo scandalo, come se fosse stato profanato l’alpinismo proprio per l’assenza di limiti. Invece, a mio parere fu ed è esattamente il contrario: per riuscire a fare queste cose bisogna essere perfettamente consapevoli dei propri limiti. Mi ricordo che la prima volta che Bruno ha provato a salire il Cervino in solitaria per prepararsi al record, ha avuto una crisi di paura: si è trovato in un punto della cresta con 2000 m di vuoto a destra e a sinistra, e lì il limite l’ha vissuto, l’ha visto chiaramente; così, se n’è tornato a casa. Poi ci è ritornato e l’ha riprovato 24 volte prima di fare il record! Questo vuol dire avere consapevolezza dei propri limiti, ma comunque non arrendersi e provare a lavorarci sopra negoziandoli.

Luca Mazzucchelli intervista Bruno Brunod

 Mazzucchelli: Bruno, cosa ricordi di quella impresa?

 Brunod: Io abitavo a 1800 m e la montagna più alta sopra casa mia era di 2800 m. La prima volta che sono salito sul Cervino, che è una montagna di quasi 4500 m, quando sono arrivato a 2800 ho avuto paura, perché non andavo sui ghiacciai, ero pastore e muratore ma non alpinista. Però mi sarebbe piaciuto salire quella montagna, avevo voglia di provare, senza rischiare perché avevo già due figli. Ora ne ho cinque!

 Mazzucchelli: Hai cinque figli? Un altro record, un’altra sfida! Quindi tu facevi il muratore e il pastore, volevi qualcosa di diverso e ti sei detto: «Proviamo a salire su in montagna»?

 Brunod: Sì. Facendo il pastore, ero abituato a saltare da un sasso all’altro, gli alpinisti mi vedevano salire il Cervino senza la corda e mi dicevano di tornare giù. Io invece credevo che fosse una cosa possibile, ma non ho mai rischiato, mi sentivo sicuro, e poco per volta ci sono riuscito.

 Mazzucchelli: Come ti sentivi quando gli alpinisti ti dicevano di lasciar perdere?

 Brunod: Mi sentivo sicuro, perché avevo in mente il mio limite e non l’avrei mai oltrepassato.

 Mazzucchelli: Dici che sentivi di non stare rischiando poiché avevi in mente il tuo limite, ma come facevi a conoscerlo così bene?

 Brunod: Già da bambino andavo a pascolare, anche di notte, al freddo, e grazie a questo so dove sta il mio limite, so quando è il momento di tornare indietro e so quando la roccia a cui sono attaccato può essere pericolosa…

 Mazzucchelli: Quindi, i tuoi limiti li hai imparati da bambino?

 Brunod: Sì. Ora è diverso, l’ho visto anche con mio figlio; devo dirgli di non andare tranquillamente sopra i sassi perché non è tutto facile come sembra nei filmati, la vita reale è un’altra cosa. I ragazzi di oggi hanno perso la percezione del pericolo.

 Mazzucchelli: È molto bello il fatto che per affrontare le sfide si debbano conoscere i propri limiti. Dici di avere imparato a conoscere i tuoi limiti da bambino perché in montagna vedevi la vita com’era. Hai cinque figli: come hai insegnato loro il senso del limite?

 Brunod: Non ci sono tanto riuscito, cerco di trasmetterglielo ma è molto più difficile la vita di adesso.

 Mazzucchelli: Prima parlavamo del tuo record. Ti ricordi un episodio del giorno in cui l’hai conseguito?

 Brunod: Quel giorno ho dormito tranquillamente, solo il pensiero dei miei bambini mi ha fatto chiedere che cosa stessi facendo, ma è stato un momento, perché non è che volessi andare ad ammazzarmi! Però, quando ho trovato una calzina della mia bambina nella borsa, e be’, questo mi ha un po’ deconcentrato… forse l’aveva messa mia moglie per non farmi partire!

 Mazzucchelli: Pietro, tu eri lì?

 Trabucchi: No, il giorno del record no, ma sono stato lì altre volte. Il record del Cervino è stato fatto nel 1995; noi abbiamo cominciato ad andare in giro per il mondo nel 1999. Forse il ricordo più importante risale al 2005, perché sono rimasto colpito dalla saggezza di Bruno e dal contatto che ha con i suoi limiti. Quando arrivò al campo base dell’Everest aveva l’intenzione di mantenere a 5200 m di quota gli allenamenti durissimi che faceva a casa. Per tutti era una stupidata, gli era stato sconsigliato persino dal medico, il quale riteneva che sarebbe stato nocivo. Lui, però, non diede retta a nessuno, continuò ad allenarsi tranquillamente e dimostrò di saperne più dei fisiologi e dei medici! La saggezza di Bruno in tema di limiti si è mostrata anche durante il record: infatti, giunto a 8200 m ha deciso di fermarsi, perché aveva capito che non serviva solo la forza per arrivare in cima, ma anche quella per scendere. Ci sono persone che, al contrario di Bruno, in situazioni analoghe si sopravvalutano e non tengono conto dei limiti. Qualcuno lo ha definito un insuccesso, per me, invece, è stata una grandissima performance: capire che a un certo punto bisogna avere il coraggio di fermarsi, nonostante la pressione del pubblico e degli sponsor.

 Brunod: Come dice Pietro, per me lì è stato un successo di squadra, ci siamo rispettati. Del resto, non lo stavo facendo per soldi ma per passione.

 Mazzucchelli: Se non lo facevi per i soldi, dove trovavi la motivazione e l’energia per affrontare sfide del genere?

 Brunod: Facendo lavori in cui era implicata la fatica fisica ho sempre voluto essere sportivo: portavo la farina su per la montagna, perciò avevo sempre 40-50 kg sulla schiena! Ho fatto anche un anno di ciclismo con Claudio Chiappucci [era suo compagno di stanza e in salita non è mai riuscito a tenere la ruota di Bruno, come dichiarato da Chiappucci stesso], però smisi, forse a 20 anni non avevo ancora la testa a posto, o magari la bici non faceva per me. Dopo dodici anni di lavoro ero diverso, e avevo anche una famiglia a sostenermi.

 Mazzucchelli: La famiglia ti ha aiutato?

 Brunod: Avere una famiglia e una donna accanto è fondamentale. Anche mia madre è stata importante per me, era una donna molto forte.

 Mazzucchelli: Hai avuto una mamma che portava pesi su per la montagna e che era un esempio di costanza e di grinta: anche questo è stato un ingrediente per affrontare le sfide al meglio?

 Brunod: Sì, mia madre ha cresciuto da sola cinque figli, era cento volte più forte di me.

 Mazzucchelli: Pietro, credi che si possa affermare che chi compie imprese tanto straordinarie deve necessariamente avere pure un grande senso del limite e la voglia di forzarlo un 1%, per citare il mio libro Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati?

 Trabucchi: Sì, sono convinto di questo; corrisponde alla mia esperienza con atleti di tutti i tipi e di tutti i livelli, anche altissimi. Chi compie cose straordinarie non è incosciente, non ha un delirio di onnipotenza: al contrario, ha un senso del limite preciso, chiaro, e ciò che fa è spingere un pochino in avanti i propri limiti sempre di più. Forse oggi nella nostra cultura si manifesta di più l’assenza del limite. La persona che va in montagna e si mette nei guai poiché si crede onnipotente e non prevede tutta una serie di pericoli non è capace di soppesare le conseguenze delle sue azioni. Credo che, paradossalmente, la mancanza del senso del limite non nasca da un senso di onni-potenza, ma da un senso di im-potenza. Tutta una serie di attività rischiose, commesse senza averne una grande consapevolezza, sono il tentativo di compensare proprio questo senso di impotenza. Le persone che hanno compiuto grandissime cose fanno un lavoro quotidiano per anni per arrivare ad abbattere certi limiti. E abbattere un limite non vuol dire cancellarlo, ma “stirarlo” dell’1% o giù di lì. Di recente nella maratona è stato abbattuto un limite straordinario, tuttavia è stato “stiracchiato” di qualche secondo, non è che sia sceso di colpo di cinque minuti. Ci sono voluti anni e anni per riuscirci.

 Mazzucchelli: Sono emerse tante cose su come affrontare le sfide nel modo migliore. Per esempio, il fatto che sia importante cominciare ad affrontare tante sfide fin da bambini. Bruno, tu sei cresciuto in montagna, senza papà, in un ambiente freddo, duro, e questo ti ha temprato e aiutato. Poi, abbiamo detto che è necessario avere un esempio. Tu hai avuto una mamma che era una forza della natura, che da sola ha cresciuto cinque bambini, che portava pesi sulla montagna in salita, e questo esempio di fatica, di sacrificio ti ha passato dei valori utili. Mi hai detto che è importante la famiglia, trovare la motivazione attorno a noi, nei nostri cari. E che un’altra cosa fondamentale è ascoltare meno gli altri e di più sé stessi, dunque avere fiducia in sé stessi: tu conoscevi i tuoi limiti. Pietro, tu hai aggiunto che è decisivo rispettare i limiti e giocare su di loro poco alla volta per cercare di migliorarsi. Tutte le cose che ho citato mi sembrano dei begli ingredienti per affrontare al meglio le sfide. Un’ultima domanda: che cosa ne pensate delle gare di corsa che sono sempre più lunghe, tipo l’ultramaratona? Si sta perdendo il senso del limite oppure no?

 Brunod: Secondo me il nostro limite non lo conosciamo ancora. Per esempio, mi sono fermato due volte al Tor des Géants e due volte l’ho portato a termine. Conta anche come uno dorme, come mangia. Mi piacciono queste gare, secondo me è bello provare e vedere dove si può arrivare. Se uno sta bene va avanti, altrimenti no: ritirarsi da una gara non è la fine del mondo. Ci vogliono anni per prepararsi e poi ci si può anche divertire, ma l’importante è che lo si faccia per sé stessi, e non per dimostrare qualcosa agli altri. Se uno conosce il proprio limite, può fare tutto; se uno vuole solo far vedere qualcosa agli altri, no.

 Trabucchi: Sono d’accordo con quello che dice Bruno, in questo fenomeno ci sono due aspetti. Uno sano: le persone utilizzano lo sport e i limiti per crescere. Dall’altra parte ci sono invece la moda, la ricerca narcisistica delle attenzioni degli altri, l’esibizionismo. È paradossale, sono stato finisher del Tor per cinque volte. Ho notato che tra i partecipanti ci sono alcuni che non riescono a vivere in maniera diretta la gara, ma devono fare, per esempio, le dirette Facebook: non sono connessi con l’esperienza e con la bellezza, è tutto a uso e consumo di un pubblico virtuale. Questo mi ha fatto molto riflettere, perché la gara diventa il dover dimostrare qualcosa a qualcun altro. Tutto il dolore e tutta la fatica che uno patisce allora non valgono la pena, non servono a rendersi migliore, ma solo ad avere consensi… e il problema non riguarda solo le gare. 


BRUNO BRUNOD, primo campione mondiale nella storia dello skyrunning, nel 1995 ha stabilito il record di salita e discesa del Cervino in 3h 14’. Nel 1999 quello dell’Aconcagua. E nel 2002 quello del Kilimangiaro.

Pietro Trabucchi si occupa di motivazione, gestione dello stress e resilienza, in particolare applicata alla psicologia dello sport. Insegna all’Università di Verona.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 277 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui