Non più coniugi, ma sempre genitori
L’affidamento condiviso dei figli nelle separazioni. È auspicabile un affidamento con alternanza paritaria dei periodi trascorsi dai figli a casa dei due genitori separati?
In Italia, dicono le statistiche, ci si sposa sempre meno e sempre più tardi, e tra chi è sposato ci si separa sempre più. Si riduce la durata dei matrimoni, ma anche l’età dei coniugi alla separazione e la durata dei procedimenti. L’instabilità della famiglia procede in parallelo al cambiamento delle sue forme: aumentano le unioni libere, i genitori single, le coppie ricostituite. Questi cambiamenti sono stati accompagnati da interventi normativi riguardanti il divorzio, la riforma del diritto di famiglia, la legge sull’adozione e l’affidamento dei minori. Nel 2006 fu introdotta una disciplina sull’affidamento condiviso dei figli, che una recente proposta di legge intende modificare proponendo – tranne casi eccezionali – un tempo di affidamento esattamente paritario dei figli ai due genitori separati, per superare definitivamente la persistente prevalenza dell’affidamento alla madre. (CONTINUA...)
Il problema più rilevante nelle separazioni coniugali riguarda proprio i figli coinvolti e soprattutto l’affidamento di quelli minorenni, per far sì che restino i legami con entrambi i genitori anche quando questi non sono più una coppia coniugale. Non vi è dubbio che l’affidamento condiviso sia migliore rispetto a forme, ancora diffuse, che prevedono tempi di visita limitati o sporadici da parte di un genitore nella casa dell’ex coniuge con cui il figlio vive, o addirittura la custodia esclusiva: ma a condizione che i molteplici fattori che intervengono siano tenuti in dovuto conto nella determinazione delle modalità di condivisione. I tempi e i modi devono essere adattati alle reali caratteristiche ed esigenze dei figli minorenni: tenendo conto di variabili quali età, caratteristiche psicologiche, tipologia di rapporti preesistenti con i genitori e con le famiglie allargate (nonni o altri parenti), presenza di più fratelli o sorelle, impegni di scolarizzazione e attività extrascolastiche, possibilità di supporto se il genitore lavora. Inoltre si devono considerare l’eventuale ricostituzione di una famiglia da parte di uno o di entrambi i genitori, la presenza di altri figli dei precedenti matrimoni o nati dalla nuova unione e i rapporti che i figli dei genitori separati intrattengono con questi “nuovi parenti”.
Ogni decisione va ponderata in funzione di queste molteplici condizioni, assicurando una valutazione psicologica e sociale in ottica sistemica e una consulenza in fase di accordo o di giudizio: diversamente dalla mediazione, che interviene nella fase di separazione e coinvolge solo i coniugi in conflitto. Va considerato che norme recenti (la legge 162 del 2014) hanno molto semplificato le modalità di separazione, ma senza far corrispondere a tale facilitazione un adeguato supporto psicologico. In queste procedure abbreviate e facilitate l’interesse dei figli può essere adeguatamente valutato? L’affidamento, e la decisione sulla quota di condivisione, avvengono verificando tutte le variabili che possono portare alla riuscita o al fallimento della soluzione prevista nell’accordo e ratificata dall’organo giudiziario?
Bisogna perseguire quello che la letteratura giuridica e psicologica definisce «il migliore interesse per il bambino», ascoltando pure gli stessi bambini e adolescenti dopo i 12 anni – o anche «di età inferiore se capaci di discernimento» –, come previsto dalle normative internazionali ratificate in Italia. Il recente disegno di legge già citato propone nella separazione un affidamento condiviso “per principio” – tranne casi particolarmente gravi di violenza o abuso intrafamiliare – al 50%, con alternanza paritaria dei periodi trascorsi dai figli a casa dei due genitori separati. L’esigenza che questa proposta cerca di appagare è assicurare una reale garanzia di bi-genitorialità, spesso non applicata. Al tempo stesso mira a garantire il diritto di ogni genitore ad avere con sé il figlio per metà del tempo, spostando così l’attenzione dall’interesse del minore – che per la legge dev’essere prioritaria – a quello del genitore che si ritiene privato di un suo diritto avendo contatti limitati con i figli.
Ma la parità quantitativa di tempi resa obbligatoria, che comporta per i bambini un continuo pendolarismo tra due luoghi di residenza e due diverse camerette con duplicati oggetti personali, può non essere per loro la soluzione migliore, anche se appare salomonica per gli adulti. Il bambino, specie se piccolo, ha bisogno di stabilità di relazioni, di amicizie e luoghi di gioco, di garanzie di equilibrio affettivo. Una valutazione caso per caso appare più efficace rispetto a regole fissate rigidamente per legge sempre e per tutti allo stesso modo.
Studi empirici hanno dimostrato che, in specifici casi, una ottimale (anche se non esattamente paritaria) distribuzione del tempo può permettere ai figli di avere un genitore più disponibile quanto a tempo e attenzioni da dedicare loro, e ciò ha effetti positivi per la genitorialità di entrambi gli ex coniugi, alleviandone lo stress e migliorandone la capacità di rimanere genitori nonostante la rottura della famiglia. Altri studi hanno verificato che il collocamento condiviso funziona se viene scelto dai genitori stessi, se ci sono un basso livello di conflittualità fra loro e un maggiore clima collaborativo, se le condizioni logistiche e i supporti disponibili consentono una gestione flessibile e adattabile alle concrete esigenze dei figli, in relazione alla loro età e condizione emotiva.
L’Associazione Italiana di Psicologia e la Conferenza della Psicologia Accademica hanno esposto queste considerazioni, supportate da ampi riferimenti di letteratura specialistica, in un’audizione al Senato sul disegno di legge che, come detto, propone l’affidamento condiviso al 50% reso standard per legge. Così la psicologia scientifica fa sentire la sua voce su temi giuridici di grande rilevanza per la vita sociale; nel caso in questione, rivendica la funzione e il ruolo del professionista psicologo per far sì che le procedure di affidamento, prevedendo efficaci provvedimenti «a misura dei figli», evitino a tutti i membri delle famiglie ulteriori traumi oltre a quelli dovuti alla separazione.
Santo Di Nuovo è ordinario di Psicologia, direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania e presidente dell’AIP - Associazione Italiana di Psicologia. Tra altre pubblicazioni, è autore del volume Prigionieri delle neuroscienze? (Giunti, 2014).
Questo articolo è di ed è presente nel numero 274 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui