Oops, non sono riuscito a fermarmi
Fermare un movimento già iniziato è abbastanza complesso: pensiamo a quando camminiamo spediti e dobbiamo cambiare direzione per non urtare una persona che sbuca all’improvviso o quando ci accorgiamo che stiamo versando il caffè nella zuccheriera invece che nella tazza.
Un’équipe di neuroscienziati della Johns Hopkins University, guidata da Kitty Xu e Susan Courtney, ha svolto uno studio comparato tra esseri umani e scimmie per capire che cosa succede esattamente nel cervello di chi vuole fermare o cambiare improvvisamente un movimento avviato.
I ricercatori hanno ideato un compito quasi identico per soggetti umani e non, una parte del campione ha ricevuto l’istruzione che blu significava “stop” e giallo “go”, per l’altra era il contrario. Sia le persone che le scimmie dovevano osservare lo schermo e muovere gli occhi velocemente per guardare un cerchio nero; quando appariva un punto blu o giallo, dovevano fermarsi o continuare il movimento oculare pianificato.
Durante il compito, l’attivazione delle aree cerebrali è stata mappata attraverso risonanza magnetica funzionale per le persone e con elettrodi impiantati nella corteccia per le scimmie. Secondo gli autori, questa doppia metodologia ha permesso di avere una visione completa dei meccanismi implicati nell’inibizione del movimento, a livello sia macro che micro. E hanno scoperto che non è una sola regione corticale ad attivarsi, ma tre: la corteccia prefrontale ventrolaterale e la corteccia premotoria, necessarie a fermare il movimento, e un’altra area, definita scherzosamente dai ricercatori “area oops”, che continua a elaborare l’atto che si sarebbe compiuto se non fosse stato arrestato. Solo l’interazione dei processi neurali che coinvolgono queste aree consente di interrompere, invertire o modificare un movimento già in corso.
Fermare un’azione pianificata necessita quindi di una “coreografia” complessa, ma non solo: riuscire a farlo è questione di tempismo. Dalle analisi è emerso che il segnale di “stop” dev’essere rapidissimo: se arriva circa 200 millisecondi (1/4 di secondo) dopo che i muscoli hanno ricevuto l’input a muoversi, l’atto non si blocca o non si modifica.
Se tali aree cerebrali non comunicano correttamente o abbastanza velocemente, pertanto, non riusciamo a interrompere il movimento iniziato: ecco spiegati molti degli eventi ci fanno esclamare “oops!” quando capitano.
Ma oltre a ciò, secondo gli studiosi sapere come il cervello arresta un’azione volontaria può fornire informazioni utili a chi si occupa di dipendenze e contribuire a spiegare cosa accade al cervello quando invecchiamo.
Riferimento bibliografico
K. Z. Xu, B. A. Anderson, E. E. Emeric, A. W. Sali, V. Stuphorn, S. Yantis, S. M. Courtney (2017), «Neural basis of cognitive control over movement inhibition: Human fMRI and primate electrophysiology evidence», Neuron, 96 (6), 1447.e6-1458.e6, doi: 10.1016/j.neuron.2017.11.010
Questo articolo è di ed è presente nel numero 268 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui