Quando la morte irrompe nella vita dei bambini
Spesso l’adulto tende a ignorare la morte o a mistificarne la portata con i piccoli. ma questo rischia di angosciarli, più che di rasserenarli.
La morte è da sempre fonte di angoscia per gli esseri umani, sia quando si tratta della perdita delle persone a cui siamo legati sia quando si prefigura la fine della propria via. Nel primo caso perdiamo figure di attaccamento per noi importantissime, la cui assenza ci procura grande dolore, mentre nel secondo dobbiamo fare i conti con la nostra inevitabile caducità. Gli esseri umani, per le loro capacità cognitive, sono in grado pensare alla morte e alla fragilità della vita, e di conseguenza la riflessione sulla fine della vita è sempre stata presente in tutte le culture, dando luogo a diverse concezioni filosofiche e religiose. L’attaccamento alle persone care, da un lato, e quello alla nostra vita, dall’altro, hanno sempre fatto della morte la nemica per eccellenza, temuta e rifiutata, quantunque inevitabile. L’avversione nei suoi confronti è aumentata enormemente nella nostra società, che ha trasmesso l’illusione di poter prolungare la vita a nostro piacimento, grazie ai progressi scientifici e tecnologici. Si finge, così, di non sapere che la morte è ineliminabile, poiché fa parte della vita ed è il destino naturale di tutti gli esseri viventi. Di conseguenza, il tema della morte è diventato tabù nella nostra società, dove essa viene tenuta nascosta ed è ritenuto sconveniente anche il solo parlarne.
Il rifiuto della morte nella società attuale porta a tenere i bambini il più possibile lontano da questa esperienza, anche quando non si tratta di persone care ma di animali d’affezione. Accade di frequente che si nasconda ai bambini la morte degli animali di casa inventando giustificazioni che in realtà finiscono per angosciare i piccoli ancor di più: per un bambino, sapere che il proprio cane o gatto è vivo ma «se n’è andato via» non è certo consolante, perché equivale a sentirsi abbandonato da un essere amato. I bambini si ritengono facilmente colpevoli essi stessi di tale abbandono; questa interpretazione è causata dal loro egocentrismo cognitivo, che li porta a riferire gli eventi a sé stessi e al proprio comportamento. La negazione della morte di un animale a cui si è affezionati è quindi utile solo agli adulti, ai quali permette di non affrontare con i piccoli l’evento, con le domande e le emozioni che esso suscita, mentre per questi ultimi è fonte di maggiore ansia di quanto non sarebbe la verità.
Ancora più grave è nascondere la morte dei nonni, con cui spesso i bambini hanno avuto rapporti di profondo affetto. La loro scomparsa inspiegabile, di cui non riescono a comprendere le ragioni sul piano cognitivo, è per i bambini motivo di confusione, accompagnata da vissuti negativi di angoscia e tristezza. Anche nel caso delle persone care gli adulti spesso giustificano il fatto di nascondere ai piccoli la loro morte con l’esigenza di proteggerli dalla sofferenza. In realtà, si tratta anche in questo caso di una scusa con cui si copre l’inconfessato desiderio di proteggere sé stessi dalla difficoltà di affrontare con i piccoli un evento e un argomento che turbano profondamente, anzitutto, l’adulto.
È insomma per non affrontare la sofferenza propria, ancor più e ancor prima di quella del bambino, che gli adulti tacciono sulla morte: in una società che la nasconde e la nega, molti di loro sono oggi del tutto impreparati a farvi fronte. Cercano quindi di sfuggire alle domande dei piccoli con bugie ritenute pietose, che hanno l’effetto contrario di aumentare l’ansia e produrre interpretazioni errate. Va ricordato che ciò di cui non è consentito parlare appare molto più spaventoso di ciò che può essere tradotto e condiviso con le parole; queste, infatti, consentono di mettere fuori di sé un contenuto negativo, rendendolo così più trattabile a livello sia cognitivo che emotivo. Inoltre la comunicazione rassicura e dà al bambino la fiducia nella disponibilità degli adulti, in particolare dei genitori, a trattare anche gli argomenti più difficili. Viene così trasmesso il messaggio che non esistono argomenti proibiti e che non si è soli con le proprie ansie.
Una scusa spesso accampata per non parlare di questo argomento con i bambini chiama in causa i numerosi episodi di morte che ci vengono proposti ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa. Si dimentica che la rappresentazione virtuale della morte, in televisione o in Internet, non è di aiuto nell’affrontare la morte reale. Si crea infatti nei bambini – ma anche in molti adulti – un’assuefazione a queste notizie, sino all’indifferenza, che non permette di elaborare difese positive di fronte alla morte reale. Quando questa irrompe brutalmente nella vita concreta, le persone si trovano del tutto impreparate a farvi fronte.
Per affrontare positivamente con i bambini il tema della morte è quindi bene non aspettare che l’evento si presenti nel cerchio della famiglia o delle amicizie, perché le reazioni sono in quei momenti emotivamente molto cariche. Importanti a questo scopo sono i momenti di ritualità collettiva, come le festività dedicate ai defunti. Tali ritualità permettono di far accostare i bambini alla morte in modo più distaccato, poiché sono indipendenti da un recente evento di morte; l’adulto può quindi affrontare le domande infantili in maniera più pacata, senza quella carica emotiva che vive come sconvolgente e sconveniente per i piccoli. Inoltre la ritualità collettiva immerge il bambino in una dimensione sociale e culturale che è di aiuto nel vivere l’esperienza della morte in minore solitudine. Andare al cimitero nelle feste dei santi e dei morti aiuta a comprendere che la morte accomuna tutti gli esseri umani, ma che nello stesso tempo vi è una continuità nella vita tra il presente e il passato. I bambini comprenderanno così di esser parte di una storia familiare e di generazioni che li hanno preceduti.
Ugualmente importante è non sottrarsi alle domande che i bambini fanno su questo argomento. Ciò che conta è rispondere con semplicità, dando l’implicito messaggio di essere disponibili a trattare il tema. I piccoli non hanno bisogno di disquisizioni teologiche o filosofiche, ma di risposte semplici e serene, secondo i propri principi e le proprie convinzioni, laiche o religiose. In tal modo oseranno riproporre, mano a mano che crescono e che le loro capacità cognitive mutano, domande più complesse e articolate, fino a impegnarsi, in adolescenza, in riflessioni astratte sulla condizione umana, rese possibili dallo sviluppo del pensiero formale a dalla crescente consapevolezza di sé.
Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).
Questo articolo è di ed è presente nel numero 275 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui