Una storia di resilienza
Una vicenda reale di sistematica costruzione di bugie, a 7 anni, per difendere l’immagine di sé in seguito all’abbandono da parte del padre.
Caudio, 7 anni, era perso in un suo mondo parallelo. «Ultimamente sta dicendo molte bugie», spiegò la mamma allo psicologo. «Sono preoccupata perché non sono bugie qualsiasi, ma vere e proprie invenzioni. Le dice ai parenti, agli amici, ai compagni di scuola e agli insegnanti come se fossero la realtà. Sono bugie che vanno in un’unica direzione e che assomigliano a dei piccoli deliri. Claudio racconta di incontri con il padre in pizzeria “fuori orario” e al cinema, di gite che farebbe con lui fuori città, di una BMW che il padre terrebbe nascosta in un garage in campagna e che utilizzerebbe soltanto di notte per percorrere insieme a lui centinaia di chilometri ad altissima velocità. Ha raccontato ai suoi amici di non poter frequentare la palestra in cui lavora il padre, perché studia pianoforte. Nulla di tutto ciò corrisponde a verità. Claudio non vede suo padre da due anni e non prende lezioni di pianoforte. Io e suo padre siamo separati e con noi vive il mio compagno».
Già dal primo incontro fu chiaro allo psicologo che Claudio raccontava quel cumulo di bugie nel tentativo di modificare e abbellire una realtà per lui intollerabile, una realtà che metteva in crisi la sua stessa identità. A seguito della separazione, i genitori si erano trovati su fronti opposti: entrambi volevano l’affido del figlio. «È un maschio», sosteneva il padre, «ha bisogno di una figura maschile». «È ancora piccolo per staccarsi da me», replicava la madre, «sapendolo con te non starei tranquilla». Non riuscendo a ottenere un affido paritario, il padre decise di rinunciare ai due fine settimana stabiliti dal giudice. In questo modo intendeva fare un dispetto alla ex moglie, ma chi veniva castigato duramente, in realtà, era Claudio, che si sentiva rifiutato dal padre, con cui aveva un forte legame.
Claudio sapeva, dall’esperienza di due suoi amici i cui genitori si erano separati come i propri, che la separazione non comporta l’allontanamento definitivo e completo di un genitore: loro, infatti, continuavano a incontrarsi con il padre ogni fine settimana e a telefonargli in qualsiasi momento desiderassero. Per nascondere agli amici la sua situazione famigliare Claudio aveva, sì, ammesso che i suoi genitori si erano separati, ma aveva inventato tutte quelle storie per non sentirsi diverso da loro, abbandonato e rifiutato dal padre, una condizione che lo faceva vergognare.
Le bugie gli servivano per mantenere un’immagine di sé presentabile ai suoi amici e anche a sé stesso, perché, a forza di raccontarle, quelle storie gli sembravano vere. E più la mamma cercava di convincerlo che, tutto sommato, era meglio che con il padre non si vedessero, più lui aveva bisogno di tranquillizzarsi raccontandole.
L’identità sociale è una dimensione importante nella vita di chiunque, e a 7 anni, quando l’identità individuale è ancora in formazione, poggia sull’identità dei genitori, acquista vigore dall’appartenenza famigliare. Per tutta l’infanzia il “noi” familiare ha un peso notevole per i bambini che capiscono quanto poco essi contino, presi singolarmente, nel mondo degli adulti. Essere conosciuto nel proprio ambiente come il figlio di…, il fratello di…, il nipote di…, è un punto di forza, a meno che per un qualche motivo i propri familiari non godano di una cattiva reputazione. Così, non soltanto Claudio sentiva il bisogno di vedere suo padre, ma aveva anche l’esigenza di parlarne. Se avesse ammesso a sé e agli amici che il padre aveva tagliato i ponti e non voleva più saperne di lui, avrebbe perso fiducia in sé stesso e quell’abbozzo di autonomia e di sicurezza che era riuscito a sviluppare nei primi anni di vita sarebbe entrato in crisi. Lungi dall’essere autonomi, a 7 anni si continua a trarre forza e continuità dall’identificazione con le proprie figure di attaccamento, nel caso specifico il padre.
Lo psicologo comprese che tali bugie avevano un valore protettivo simile a quello che svolgono i giochi di finzione infantili quando consentono ai giocatori di immaginare situazioni positive ed esaltanti che nella realtà sono impossibili da realizzare o da raggiungere. Comprese anche che Claudio non restava intrappolato nelle sue fiction ma che, come nei giochi, così come velocemente poteva entrare in una realtà immaginaria, con la stessa velocità poteva anche uscirne: in certi momenti sembrava crederci, ma in altri appariva lucido e razionale. Dal canto loro, gli amici, avendo compreso il suo tormento, smisero man mano di fargli domande che lo avrebbero messo in imbarazzo.
Con gli anni, i “deliranti” racconti di Claudio diminuirono fino a scomparire. Non parlava più del padre e sembrava che ormai se ne fosse dimenticato. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, però, Claudio, senza dire nulla alla madre, si presentò dal padre dicendogli di voler festeggiare anche con lui il raggiungimento della maggiore età.
«È una tappa importante della mia vita che voglio condividere pure con te. È passato molto tempo, ma io non ti ho dimenticato», gli disse. Al padre, stupito e commosso, non restò che abbracciare suo figlio tra le lacrime: «Cercherò di colmare questo lungo intervallo nel migliore dei modi. Come posso farmi perdonare?». «Possiamo fingere che tu fossi partito per un lungo viaggio intergalattico», propose Claudio in manieras conciliante. «Buona idea! Avremo molte cose da raccontarci».
Questa vicenda, che sembra una favola, ma che è realmente accaduta, è una storia di resilienza, di quella capacità – che i bambini possiedono ancor più degli adulti – di immaginarsi degli esiti positivi anche quando le vicende della vita sono avverse e, forti di tale immaginazione, di continuare a credere in ribaltamenti risolutivi.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui