Che cosa accade quando si incontra un personaggio famoso, che sia una star del cinema o un politico? Si produce quello strano fenomeno a causa del quale abbiamo l’impressione illusoria di conoscere una persona che in realtà ci è completamente sconosciuta.
Anni fa in una tavola calda sull’autostrada ebbi modo di osservare questa scena paradigmatica. Ad un tavolo un gruppo di turiste non più giovanissime, ad un altro tavolo un personaggio della tv in compagnia della moglie. In un primo momento le turiste, accaldate e impegnate a consultare il menu, non si accorsero dalla presenza del personaggio. Poi una lo notò e comunicò alle altre la sua scoperta. Curiosità, eccitazione, gioia furono le reazioni al tavolo delle turiste. Una dopo l’altra tutte quante si alzarono e andarono al tavolo della “star” per rendergli omaggio. Le prime parole che pronunciarono furono di scusa per non averlo riconosciuto immediatamente, quasi temessero che quella loro défaillance potesse essere stata scambiata per una scortesia nei suoi confronti. Il personaggio accolse benignamente le scuse e altrettanto benignamente acconsentì a rilasciare autografi sul retro delle cartoline che le turiste gli porgevano. Accettò pure di farsi fotografare in una foto-ricordo di gruppo. Alla fine erano tutti contenti: le turiste per l’occasione speciale che avevano vissuto e che, al rientro dal viaggio, avrebbero potuto raccontare ad amici e parenti; il personaggio pubblico per la corroborante conferma che aveva ricevuto sulla propria notorietà.
L’INTERAZIONE PARASOCIALE
Nel 1956 Donald Horton e Richard Wohl pubblicarono un lavoro in cui per la prima volta veniva usata l’espressione “interazione parasociale”. Con questa espressione i due psichiatri americani indicavano quel nuovo tipo di relazione che si può creare tra persone che non sono mai entrate in contatto diretto tra loro, ma che cinema, televisione e ora anche Internet danno l’impressione di conoscere di persona.
L’interazione parasociale non è una relazione come quella che avviene tra persone che interagiscono nello stesso spazio fisico, che possono guardarsi, avvicinarsi, toccarsi, allontanarsi, parlarsi e rispondersi; ma un tipo di rapporto asimmetrico dove uno dei due (lo spettatore) vede l’altro e, vedendolo, ha l’impressione di essere in comunicazione diretta con lui (lei). Da questa impressione nasce spesso una “illusione di intimità” che conferisce a costui – che pure è uno sconosciuto – lo statuto di amico, modello, consigliere.
Questa illusione a cui soggiacciono molti adulti è assai evidente nei bambini, che ad un personaggio dei cartoni animati che li saluta dallo schermo rispondono con gesti ed espressioni verbali come se esso fosse realmente in grado di vederli e udirli.
Emozioni, sentimenti e un clima di familiarità caratterizzano la relazione con gli “amici mediatici” con cui si crea una “intimità non reciproca a distanza”: amici mai incontrati fisicamente ma presenti nella vita psichica delle persone tanto da poter comparire anche nei loro sogni (Thompson, 2000; Pasquier, 2002). In altre parole, il carattere quasi interamente immaginario di questo tipo di relazioni mediatiche non impedisce che siano contraddistinte da forti emozioni e spinte identitarie, che modellino i gusti e influenzino le scelte delle persone.
Con le loro immagini e le loro suggestioni, cinema e televisione hanno così dato vita ad un mondo parallelo dove si aggirano celebrità, personaggi e vip capaci di suscitare turbamenti, attese e desideri: un mondo affascinante ma privo di reciprocità e di contatti reali in spazi fisici condivisi.
Se, inoltre, lo spettatore ha l’illusione di conoscere bene il personaggio che lo guarda dallo schermo, quest’ultimo è consapevole di essere conosciuto da migliaia o milioni di persone a lui del tutto sconosciute: una consapevolezza che può generare un piacere narcisistico ma anche forme di imbarazzo e di autodifesa.
C’è dunque una collisione paradossale tra la percezione di intimità nei confronti del personaggio pubblico e la distanza incolmabile che lo rende irraggiungibile, tra l’estrema familiarità di un viso arcinoto e l’estraneità di una persona che non si è mai incontrata e che forse non si incontrerà mai. Il che spiega l’eccitazione degli spettatori quando riescono a incontrare realmente il “divo” (incontri casuali oppure programmati come concerti, conferenze, spettacoli dal vivo).
Sul versante opposto, i “divi”, pur mostrandosi generalmente amabili, disponibili ed empatici nei confronti del pubblico quando sono sulla scena, nella realtà vivono in modo del tutto diverso e distante, a cui hanno accesso solo pochissimi e selezionati intimi.
Da questa asimmetria relazionale nasce una tensione che porta lo spettatore a voler incontrare il personaggio, a farsi conoscere, a verificare se c’è coincidenza tra ciò che sa di lui e ciò che invece ignora. Entra allora in azione l’“effetto San Tommaso”, ossia un bisogno, quasi compulsivo, di avvicinare e toccare il personaggio e successivamente di certificare l’incontro con un autografo e/o una foto, come nel caso delle turiste di cui si è parlato all’inizio. Ma c’è anche l’esigenza, più che comprensibile, di colmare quel divario che li separa, ossia di conferire alla relazione una configurazione più paritaria. «L’ho visto», «l’ho toccato», «mi ha parlato» assumono allora una valenza nobilitante.
IL POTERE DELLA VISIBILITÀ
L’ asimmetria relazionale non è l’unico fattore alla radice del fascino e della curiosità che star e personaggi noti esercitano sul pubblico, ma è certamente tra i più rilevanti. La tensione che si crea tra vicinanza e distanza, tra spazio pubblico e spazio privato, tra scena e retroscena è anche l’artificio che utilizzano i mezzi di informazione (i magazine ma non solo) quando cercano di tener viva l’attenzione sui personaggi mediatici. È del tutto naturale che il pubblico voglia saperne di più, dato che quei personaggi entrano prepotentemente nelle loro case, nel loro immaginario e persino nei loro sogni.
E tuttavia sapere tutto di loro sarebbe controproducente, porrebbe fine a quella tensione creata dal divario tra prossimità e distacco, tra aspirazione a ridurre la distanza e impossibilità di realizzare una vera e duratura vicinanza. Le cose devono rimanere in questi termini se si vuole che il personaggio continui a suscitare interesse e curiosità e soprattutto se si vuole tener vivo il legame emozionale che un certo tipo di pubblico ha nei suoi confronti. E non è un caso se molti attori e personaggi pubblici hanno un agente che li consiglia sui passi da compiere per non perdere visibilità.
Questa forma di potere psicologico che la visibilità riesce ad esercitare sul cosiddetto pubblico referenziale, diventa ancora più intrigante quando ad utilizzarla non sono soltanto le star del cinema (che comunque hanno un loro potere di influenzamento in vari ambiti, da quello commerciale a quello politico e ideologico), ma anche altri soggetti – come i politici e i giornalisti televisivi – con cui il pubblico non dovrebbe intrattenere relazioni di tipo emotivo ma razionali.
In realtà, invece, a volte è sufficiente la visibilità pura e semplice per uscire dall’anonimato e – talk show dopo talk show, videa ta dopo videata, TG dopo TG – costruirsi come personaggio familiare, “amico” del pubblico. Nel suo studio sul potere delle celebrità, David Marshall (1997) notava come, entrando nel flusso continuo delle notizie, un politico entri a far parte della comunità delle “persone pubbliche familiari”, diventi cioè un elemento integrante di quel continuum narrativo di notizie che la TV manda in onda.
In quest’ottica, l’ufficio stampa o il press agent dell’uomo politico possono costruire una serie di eventi (pseudo-eventi costruiti ad arte oppure vicende irrilevanti ma gonfiate e diffuse) al fine di mantenere vivo l’interesse dei media.
I passaggi in TV, la ripetizione, la serializzazione dei programmi e dei personaggi, la riduzione dei messaggi a modelli semplici (per esempio, il rito delle auto blu dei politici) sono oggi i pilastri su cui si costruisce la familiarità tra il pubblico e i politici. L’aspetto inquietante è che una percentuale significativa del pubblico televisivo che va a votare e che del “suo” candidato conosce soltanto la faccia, i tic, alcuni atteggiamenti ricorrenti e altri segni esteriori di riconoscimento, quando è nella cabina elettorale si trova a scegliere non sulla base di una reale conoscenza dei candidati, ma tra volti familiari di persone sconosciute.
IL "NON SGUARDO" DELLE STAR Una persona “in vista” si riconosce, in strada, dal modo in cui distoglie lo sguardo o evita di guardare, spiega la sociologa Nathalie Heinich (2012) in un saggio sulla visibilità. Quando una persona comune si sente guardata da un passante tende a ricambiare lo sguardo perché pensa che possa trattarsi di una persona che conosce. Se poi scopre di non conoscerla potrà distogliere lo sguardo oppure sostenerlo a seconda delle circostanze e di ciò che ritiene più giusto fare in quel momento. Ci sarà comunque un lasso di tempo tra la sua reazione e lo sguardo della persona che l’ha guardata, il tempo necessario per prendere una decisione. La persona nota invece è molto più rapida nel distogliere lo sguardo e, a volte, procede tra la gente senza guardare nessuno. Ecco cosa accade: certa che la guardino (per esperienza o perché ne va della sua identità), sa già perché la guardano (perché è una persona nota) e poiché c’è un’elevata probabilità di essere conosciuta da uno sconosciuto che, per definizione, lei non è tenuta a conoscere solo per il fatto di essere riconosciuta da lui, evita di guardarla. «La personalità sa che c’è una non-equivalenza» – spiega la Heinich – «una ineguaglianza tra lei e voi e che quindi lo sguardo non può essere scambiato perché ciò che voi avete da offrirle (la riconoscenza), lei non ve lo può rendere. Non vi renderà perciò il vostro sguardo. Lo sguardo è troppo ineguale tra due persone di condizione così differente». Da questo si comprende anche perché spesso le star indossano occhiati scuri: non per proteggersi dal sole ma dagli sguardi, «per evitare uno scambio che non può essere soddisfacente». Si comprende anche perché spesso danno l’impressione di essere scostanti e altezzose. |
VISIBILITÀ: VALORE AGGIUNTO O VALORE ENDOGENO? La visibilità nei media può essere motivata dalle capacità proprie della persona, dal caso (o fortuna) oppure dagli strumenti stessi della visibilità. Nel primo caso, la visibilità/ notorietà è pienamente giustificata, in quanto essa non è che un valore aggiunto ad un valore che la precede e la motiva (il talento, l’impegno, la preparazione, la competenza). Nel secondo caso, non è giustificata, ma la si può imputare al caso (per esempio, un incidente) e non può dunque essere oggetto di rimprovero o di biasimo. Nel terzo caso la visibilità non è giustificata da nessun atto esteriore o anteriore alla visibilità stessa, ed essa non ha quindi altra origine se non la stessa visibilità (per esempio, gli speaker dei telegiornali; una persona senza meriti particolari che però compare come opinion maker in un programma di intrattenimento, ecc.), il personaggio in questione è dunque conosciuto soltanto “per la sua notorietà” secondo la celebre formula di Daniel Boorstin (autore nel 1961 di un famoso saggio dal titolo The image: A guide to pseudo-events in America). La visibilità è in questo caso un valore endogeno o autogenerato che si ottiene con i mezzi tecnici dei media, i quali fabbricano e mantengono il capitale di visibilità (la presenza, prima di tutto, ma anche i primi piani e la centralità che viene data alla persona che si intende valorizzare). Una strategia che consente di mantenere o potenziare la visibilità sui media è quella degli scambi incrociati: il conduttore del programma X invita |
Riferimenti bibliografici
BOORSTIN D. (1962), The Image: A guide to pseudo-events in America, Vintage Books, New York, 1992.
HEINICH N. (2012), De la visibilità, NRF Gallimard, Paris.
HORTON D., WOHL R (1956), «Mass communication and parasocial interaction: Observation on intimacy at a distance», Psychiatry, XIX, 3.
MARSHALL P. D. (1997), Celebrity and power, Unmi, Minneapolis.
OLIVERIO FERRARIS A. (1999), La macchina della celebrità, Giunti, Firenze.
OLIVERIO FERRARIS A. (2010), Chi manipola la tua mente?, Giunti, Firenze.
PASQUIER D. (2002), «Un nouvelle amie». In P. Le Guern (ed.), Les cultes médiatiques, Presse Univ. de Rennes, Rennes. THOMPSON J. (2000), «Transformation de la visibilité», Réseaux, 100, 187-213.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 240 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui