Alessandra Salerno, Miriana P. Vella

Vite in gioco

Psicopatologia e contesti di vita del gambler

Il gambler, cioè il dipendente dal gioco d'azzardo, è un individuo la cui ludopatia non ricade soltanto su di sé, ma anche sulle sue diverse aree di vita e sulla sua famiglia. 

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Il gioco d’azzardo, attività ludica che affonda le radici in epoche lontane, rientra nella categoria dei cosiddetti “giochi di Alea”, regolati dal caso, nei quali le abilità del giocatore non hanno influenza alcuna sul risultato.

Si può parlare di “azzardo” quando viene messa una posta in palio, la puntata non può essere ritirata e l’esito finale della giocata è affidato totalmente, o in larga parte, al caso (Ladouceur et al. citt. in Croce e Rascazzo, 2013).

Per i cosiddetti “giocatori sociali”, che circoscrivono il gioco a precisi limiti di tempo e luogo e con una frequenza non assidua, tale attività consente di sperimentare momentaneamente l’illusione della vincita e offre la piacevole sensazione di sfidare la sorte e gli avversari, non rientrando, in tale forma, in alcuna categoria patologica. 

Tuttavia, Custer (cit. in Lavanco e Varveri, 2006) sottolinea come l’interazione tra i fattori individuali e ambientali possa contribuire all’insorgenza e mantenimento del disturbo e come sussista un continuum tra le categorie di giocatore sociale, problematico e dipendente.

In tale ottica, il gioco patologico più che configurarsi come un fenomeno statico costituisce l’esito finale di un processo dinamico che si dispiega nel tempo, attraverso fasi diverse che vedono il gioco mutare dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo.

Quando la funzione ludica del gioco passa in secondo piano, può innescare una spirale inarrestabile, con conseguenze spesso drammatiche sulla salute propria e altrui.

Il processo di definizione diagnostica del disturbo è stato piuttosto tortuoso, benché già nel 1980 ottenesse lo status di malattia, trovando una prima collocazione nella terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) tra i “Disturbi del Controllo degli Impulsi Non Classificati Altrove”.

Da lì gli esperti iniziarono a chiedersi se i giocatori patologici avessero una personalità dipendente, considerando le analoghe manifestazioni cliniche con le dipendenze da sostanze.

Solo nell’attuale edizione del DSM-5 (2014) troverà una nuova collocazione nella sottocategoria “Disturbo non Correlato all’Uso di Sostanze”. Un altro importante cambiamento concerne la denominazione: da “Gioco d’Azzardo Patologico” a “Disturbo da Gioco d’Azzardo” (DGA), che va nella stessa direzione dell’evoluzione dei Disturbi da Sostanze.

La diagnosi del disturbo richiede la presenza di sintomi che devono essere presenti nell’arco di 12 mesi e che riguardano un persistente e ricorrente comportamento problematico di gioco d’azzardo, atto a causare difficoltà o disagi clinicamente significativi. 

Il giocatore, o gambler, sente il bisogno di investire quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata, si sente irritabile o irrequieto se tenta di ridurre o interrompere il gioco, si sente eccessivamente assorbito (il pensiero sulla programmazione dell’azzardo e su come procurarsi il denaro da reinvestire è persistente), gioca quando vive uno stato di disagio, in seguito alla perdita rincorre le vincite, mette a repentaglio relazioni significative, mente per occultare l’entità del proprio coinvolgimento e fa affidamento su altri per compensare parte del patrimonio dissipato. 

TRATTI E CARATTERISTICHE DEL GAMBLER

L’insorgenza e il mantenimento del DGA possono essere determinati da fattori personali (genetici e neurobiologici, fattori cognitivi e caratteristiche di personalità), fattori socio-demografici e condizioni psicopatologiche che espongono alla condizione di rischio e possono comportare comorbilità. 

Il gambler presenta un funzionamento neuro-fisio-patologico peculiare, condividendo le medesime alterazioni funzionali delle new addiction o dipendenze comportamentali (Grant et al. citt. in Caretti e La Barbera, 2009).

Alla base della dipendenza potrebbe esservi un’alterazione dei circuiti implicati nella gratificazione e nella motivazione, che provoca emozioni sgradevoli. Il gioco diviene stimolo saliente che attiva il sistema di gratificazione in modo intenso, provocando il rilascio di dopamina, che rinforza positivamente il soggetto facilitando le sensazioni di felicità ed euforia (Koob e Bloom citt. in Caretti e La Barbera, 2009).

Le distorsioni cognitive tendono a sfociare nel pensiero magico a discapito del ragionamento logico, inducendo il giocatore a:

• illudersi di poter controllare il gioco come se l’esito dipendesse dalle proprie abilità;

• riuscire a rintracciare leggi di causa-effetto inesistenti (lancio dei dadi con forza per ottenere un numero alto e viceversa);

• individuare un legame tra eventi indipendenti e con la stessa probabilità di verificarsi (numeri ritardatari al lotto);

• credere nel principio di equa distribuzione delle vincite;

• sentirsi vicino alla vincita in mancanza di un numero;

• ritenere che più ci si sacrifica e maggiore sarà la somma riscossa (fenomeno del chaising);

• pensare che una sequenza di perdite sia correlata a una serie di vincite, sfociando in un comportamento compulsivo finalizzato a rincorrere la perdita (fallacia di Montecarlo);

• venire condizionato da superstizioni determinate da pensiero manipolativo atto a controllare l’esito della giocata (ricorrere ad atti mentali, uso di talismani o rituali comportamentali);

• rievocare maggiormente le esperienze positive e meno le perdite (pregiudizi inerenti alla memoria);

• sottostimare l’entità delle perdite e giocare con l’idea di recuperare denaro. 

 

La ricerca ha inoltre dimostrato come alcune caratteristiche di personalità siano fortemente correlate al disturbo: sensation seeking, cioè “ricerca di stimoli emotivi e sensoriali forti” (ai giocatori piace il rischio di perdere, implicante una forte eccitazione durante la suspense); risk taking, cioè “assunzione di rischio” (direttamente proporzionale alla familiarità con il gioco); locus of control esterno (predispone maggiormente al rischio di gioco patologico, poiché ci si rimette passivamente alla fortuna e si percepisce la propria azione come insignificante); bassa autostima; elevate impulsività, sregolatezza, dipendenza dall’approvazione degli altri; legame con il caso (autotrascendenza); tratti alessitimici; stati dissociativi; orientamento personale al potere. Prevale inoltre la coazione a ripetere, il rischio frenetico si traduce in sfida magica e la condotta compulsiva obbliga progressivamente l’individuo allo stato coatto.

COINVOLGIMENTO DELLE FAMIGLIE

Oltre che dei costi individuali, il DGA presenta anche dei costi sociali. Il rapporto totalizzante con il gioco va spesso a compromettere pure le relazioni lavorative. L’azzardo si configura infatti come bene di dissipazione per l’economia di un Paese e al contempo come l’antitesi del lavoro.

Dal punto di vista professionale, si possono osservare due esiti diametralmente opposti: il cosiddetto superlavoro o la perdita dello stesso. Il primo esito nasce dalla necessità di avere denaro per affrontare debiti che aumentano e compensare il patrimonio dissipato. Il licenziamento si pone, in genere, come ultimo provvedimento emanato, giustificato dall’esito non risolutivo dei provvedimenti disciplinari a seguito di comportamenti impropri sul posto di lavoro. 

Altro rischio che si può correre è quello di finire nel mirino dei clan locali, che agiscono su giochi e giocatori in modo diretto e indiretto. Basti pensare alla contraffazione delle macchinette tramite la clonazione dei codici, all’usura che permette ai giocatori di ottenere proventi immediati e alle violenze, intimidazioni e minacce talvolta rivolte pure ai familiari (Croce e Rascazzo, 2013).

Il gioco d’azzardo risulta invalidante anche per il partner del giocatore e prevalgono atteggiamenti di sfiducia nell’affidargli denaro per lo svolgimento di mansioni quotidiane. Risulta sempre utile porre attenzione alle dinamiche nella coppia, poiché possono produrre meccanismi patologici.

In alcuni casi la complicità apparente può celare una dipendenza affettiva o co-dipendenza. Tale comportamento può nascere da chi ha avuto un genitore con gravi problemi di dipendenza, e il coniuge, con la sua dipendenza, diviene il pretesto per il “bisogno” di soffrire e di espiare la giusta punizione del fallimento in quanto figlio. Il coniuge offre un aiuto malato non finalizzato all’autonomia del partner, perché corrisponderebbe alla perdita del proprio ruolo (Croce e Rascazzo, 2013). 

All’interno del sistema familiare il gioco ha effetti negativi che possono spaziare dalle difficoltà economiche a quelle relazionali e comunicative.

Quando lo stile di vita genitoriale gravita attorno al gioco conduce a difficoltà di parenting, esperienze educative incoerenti e mancato assolvimento delle funzioni genitoriali.

La famiglia con DGA può non risultare una base sicura emotiva e materiale e determinare vissuti di trascuratezza, causati dall’assenteismo e dalla priorità conferita alle attività di gioco; rischia di compromettere anche la sintonizzazione affettiva con i figli, che permette di rispondere ai loro bisogni e offre uno strumento per comprendere il proprio sentire; la dinamica delle risposte ai bisogni, se carente, ostacola la possibilità di fornire strategie finalizzate all’autoregolazione emotiva e all’organizzazione di adeguate risposte comportamentali; si possono incontrare difficoltà nel costruire una struttura di riferimento di regole che non vanno imposte bensì motivate; non è insolito avanzare richieste inappropriate all’età dei figli; possono vigere barriere e segreti, e la conflittualità della coppia può ostacolare la possibilità di entrare in relazione empatica con il figlio. 

Maggiori sono i rischi con un figlio adolescente, che, in qualità di “cacciatore di sensazioni forti”, può attraversare forme di rischio attive per aderire a modelli sociali, competizione tra coetanei, ricerca di eccitazione e brivido, emulazione, opposizione al sistema sociale ecc.

Dall’osservazione clinica emergono: distanziamento affettivo; alleanza e/o identificazione con un genitore contro l’altro; sterilizzazione delle emozioni fino a stati dissociativi; adultizzazione precoce; disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi post-traumatici da stress; abuso di sostanze o alcol; tendenza a sovralimentarsi; disturbi antisociali della condotta (Rotter cit. in Attili et al., 2016).

In tale ottica, la presenza di una rete sociale di supporto o di un caregiver sano che possa assolvere la funzione differenziale in modo non confuso e distinto può costituire un fattore di protezione e risultare decisivo per lo sviluppo del bambino, delle sue capacità cognitive, sociali ed emotive (Ionio e Mascheroni, 2014).

TRATTAMENTO E PREVENZIONE DEL DISTURBO DA GIOCO

Il gioco d’azzardo, che negli anni ha prodotto introiti per le casse statali, oggi risulta una problematica emergente, che richiede diagnosi precoci, cure specialistiche e una gestione clinica che segua un approccio multidimensionale.

Le forme di trattamento da adottare variano in base alla pervasività del disturbo, agli attori coinvolti e alle risorse del gambler. Attualmente non è stato individuato un farmaco elettivo per la cura, ma sono impiegate diverse classi di farmaci. Il farmaco agisce unicamente sui sintomi e tratti ed eventuali disturbi in comorbilità, non permettendo di risalire alle cause responsabili dell’insorgenza del disturbo. In genere si integra tale forma di trattamento a interventi psicoterapeutici e psicosociali. 

La terapia psicologica individuale si può declinare secondo diversi approcci: psicodinamico, cognitivo-comportamentale, psicoeducativo. Anche le esperienze gruppali risultano di buona efficacia; in particolare, i gruppi di mutuo auto-aiuto, nati all’interno del contesto americano e meno visibili nel nostro Paese: tra questi possiamo distinguere i Giocatori Anonimi, nati sul modello degli Alcolisti Anonimi, e i GAM-ANON, rivolti a persone non direttamente coinvolte nel gioco (familiari e amici del congiunto). 

La famiglia che avanza una richiesta di aiuto ai servizi specializzati può intraprendere una terapia sistemico-relazionale, ove è auspicabile un cambiamento che non si esaurisca alla polarità giocare/non giocare, ma che vada incontro a una ristrutturazione del sistema in cui i familiari diventano risorsa preziosa (Coletti, 2014).

Altre aree di intervento attengono alla questione economica, dimensioni della genitorialità, recupero dell’intimità emotiva e sessuale tra i coniugi e delle funzioni genitoriali di competenza di entrambi i coniugi. 

Ancora più importante risulta prevenire tramite misure di intervento ad ampio raggio che si collocano su due livelli.

La prevenzione sul piano strutturale riguarda l’insieme delle leggi, limitazioni e controlli, finalizzati alla regolamentazione delle attività di gioco e non al proibizionismo. La responsabilità della dipendenza non attiene solo al giocatore, ma anche alle istituzioni chiamate a investire sulla ricerca e all’istituzione di servizi territoriali presenti nel nostro Paese ma attualmente distribuiti in maniera disomogenea: servizi per le dipendenze, fondazioni antiusura, linee telefoniche per consultazioni, organizzazioni di volontariato. 

La prevenzione sul piano educativo nasce dall’esigenza di rieducare al gioco, all’uso del denaro, al senso del lavoro e a fornire informazioni sulle reali probabilità di vincita e sui rischi che l’azzardo comporta. Il “gioco responsabile”, raccomandato dai messaggi pubblicitari, attualmente entra in conflitto con la presentazione di un prodotto che promette successo a poco prezzo, un nuovo stile di vita, un ventaglio di opportunità, che crea nuovi ruoli e può trascinare nell’angoscia più profonda chi già appare disorientato (Croce e Rascazzo, 2013).

 

Riferimenti bibliografici

APA - American Psychiatric Association (2014), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano. 

Attili G., Di Pentima L., Toni A., Roazzi A. (2016), «Reazioni dei genitori in situazioni problematiche e attribuzioni di causa: le aspettative dei bambini maltrattati», Maltrattamento e Abuso all’Infanzia, 18, 89-118.

Caretti V., La Barbera D. (2009), Le nuove dipendenze. Diagnosi e clinica, Carocci, Roma.

Coletti M. (2014), «L’approccio relazionale: coppia e famiglia». In G. Bellio, M. Croce (a cura di), Manuale sul gioco d’azzardo. Diagnosi, valutazione e trattamenti, Franco Angeli, Milano.

Croce M., Rascazzo F. (2013), Gioco d’azzardo, giovani e famiglie, Giunti, Firenze.

Ionio C., Mascheroni E. (2014), «L’impatto delle esperienze di vita negative della madre sul bambino», Maltrattamento e Abuso all’Infanzia, 3, 87-104.

Lavanco G., Varveri L. (2006), Psicologia del gioco d’azzardo e della scommessa. Prevenzione, diagnosi, metodi di lavoro nei servizi, Carocci, Roma.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui