Vittime, vulnerabilità e giustizia: principi e strumenti di protezione
Le vittime dei reati vanno tutelati dalla vittimizzazione secondaria, derivante dall'impatto con il sistema giudiziario.
Negli ultimi vent’anni si è assistito a una crescente attenzione alle vittime dei reati che ha prodotto non solo una definizione più puntuale delle caratteristiche e dei bisogni da ascoltare, ma anche la diffusione di strumenti e prassi operative atte a garantirne dei margini di protezione. Il sapere psicologico ha in tal senso avuto un ruolo centrale: da una parte, gli studi sulle conseguenze prodotte dall’impatto delle vittime (presumibilmente già provate dall’offesa subita) con il sistema giudiziario (vittimizzazione secondaria), dall’altra le evidenze scientifiche sulla memoria e sulle possibili fonti di errore nella raccolta della testimonianza. Considerevole anche la sensibilizzazione prodotta da alcuni fatti di cronaca, di rilievo per gli spunti di riflessione critica attivata.
Certamente il caso del processo celebrato a Latina nel 1978, anche grazie all’impegno dell’avvocata di allora, Tina Lagostena Bassi, ha permesso di evidenziare le violenze psicologiche che la vittima è stata costretta a subire durante il processo. Prima della legge che ha dato avvio alla rivoluzione del “sistema vittima” (L. n. 66 del 1996, sulla violenza sessuale), la vittima sopravvissuta agli stupri e alle torture del Circeo durante il processo non ebbe alcun filtro protettivo contro gli sguardi del pubblico presente, contro l’offensività e in generale l’inadeguatezza delle domande poste, dei pregiudizi e degli spazi certamente non “a misura di vittima”, ben lontani da agire una riparazione al danno subìto. Dobbiamo andare ancora più indietro nel tempo per scorgere i fatti di cronaca che nel nostro Paese hanno stimolato i primi interessi sulla psicologia della testimonianza. Pensiamo, per esempio, al caso conosciuto (dal 1927 in poi) come quello dello “smemorato di Collegno”, un uomo senza memoria trovato a rovistare in un cimitero, al quale si tentò di attribuire un’identità a partire dalle controverse ricostruzioni di due famiglie, che produssero storie molto differenti l’una dall’altra.
Negli anni, gli studi sperimentali hanno prodotto interessanti risposte sui possibili fattori di distorsione dell’accuratezza di una testimonianza; legati non solo alle competenze cognitive specifiche (memoria, linguaggio, attenzione, pensiero) di alcune persone, come per esempio i bambini e le bambine, ma anche alle possibili influenze suggestive di dinamiche relazionali conflittuali, o malpractices nella raccolta della testimonianza dovute a metodologie inadeguate.
Le linee guida promosse a livello internazionale e la normativa esistente hanno tradotto le evidenze scientifiche emergenti e le criticità rilevate in indicazioni e disposizioni sempre più efficaci per garantire una maggiore protezione delle vittime (soprattutto in riferimento ad alcuni reati e a specifiche condizioni di vulnerabilità) in rapporto non solo alla raccolta delle dichiarazioni, ma alla più generale capacità di accoglierne i bisogni di protezione. Per esempio, in tema di testimonianza, molte sono le strategie attuate a partire dalla legge di ratifica della Convenzione europea firmata a Lanzarote nel 2007 (L. n. 172 del 2012).
Solo per fare un esempio di azioni messe in campo, si ricorda quella virtuosa della Procura di Roma che, prima in Italia, già dall’inizio del 2013 predispose: la creazione di un elenco di esperti/e in psicologia e neuropsichiatria infantile (per affiancare la polizia giudiziaria nella raccolta delle dichiarazioni, come previsto dall’art. 351 co. 1-ter c.p.p.) organizzati in turni di reperibilità ventiquattr’ore al giorno; l’allestimento di una sala dedicata alle audizioni, accogliente ed attrezzata (sala regia con sistema di audio-videoregistrazione, vetro unidirezionale ecc.); la formazione di un pool specializzato di magistrate/i; la diramazione di specifiche direttive alle forze dell’ordine del territorio di competenza per promuovere l’adozione di procedure mirate a garantire una sempre maggiore tutela delle vittime e al contempo garanzia dei procedimenti stessi.
Un grande impulso nella tutela delle vittime dei reati deriva dall’articolata direttiva europea 29 del 2012, che invita gli Stati membri ad adottare le misure più idonee per accogliere in modo competente le vittime fin dal primo approccio con l’iter giudiziario, attraverso l’individuazione di eventuali condizioni di vulnerabilità e l’erogazione di interventi deputati a fornire informazioni e sostegno. Vanno in questa direzione i servizi di assistenza alle vittime di reato presenti in molte realtà del territorio nazionale: prima fra tutti la “Rete Dafne” di Torino e Firenze, più recente quello di Tivoli. In quest’ultima realtà territoriale, la sinergia di diversi enti pubblici – Procura (con un ruolo propulsivo e di garanzia fondamentale), ASL, Comune, avvocatura e Ordine degli Psicologi del Lazio (che ne coordina l’operatività) – ha dato vita al servizio “Spazio Ascolto e Accoglienza Vittime” che, in meno di due anni dall’avvio, ha saputo fornire a più di 200 persone (coinvolte soprattutto in situazioni di maltrattamento) un orientamento psicologico e legale, un accompagnamento giudiziario e/o una presa in carico clinica e psicosociale.
Molte sono quindi le sollecitazioni a livello normativo e articolate le azioni presenti in tutto il territorio nazionale, per quanto insufficienti siano ancora gli strumenti previsti a tutela delle vittime, per far sì che l’incontro con l’istituzione giudiziaria in un’ottica di comunità riparativa e relazionale possa rappresentare anche un’occasione di promozione del benessere e di restituzione di senso per vittime, autori e autrici dei reati e per la collettività.
Riferimenti bibliografici
Monteleone M., Cuzzocrea V. (2016), «Le dichiarazioni delle vittime vulnerabili nei procedimenti penali», Processo Penale e Giustizia, 1.
Patrizi P., Lepri G. L. (2012), «Vittime, autrici e autori di reato: i percorsi della giustizia riparativa». In P. Patrizi (a cura di), Manuale di psicologia giuridica minorile, Carocci, Roma.
Vera Cuzzocrea, psicologa giuridica e psicoterapeuta, è giudice onoraria del Tribunale per i Minorenni di Roma. Coordina per l’Ordine degli Psicologi del Lazio il Servizio “Spazio Ascolto e Accoglienza Vittime” di Tivoli (RM) e collabora con il team delle pratiche di giustizia riparativa dell’Università di Sassari.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui