Con il venir meno di alcuni compiti, come la protezione della partner e delle prole e l'essere la fonte di sostentamento della famiglia, oggi la figura del padre è in crisi. Vediamo in che senso.
Gli antropologi osservano che a differenza degli altri mammiferi l’uomo non esaurisce la propria funzione verso la discendenza nel rapporto sessuale con la donna, bensì protrae nel tempo il rapporto con la prole e pure con la donna madre, con la quale inoltre può in ogni tempo accoppiarsi grazie alla perdita dell’estro nella femmina umana.
La presenza di un padre accanto alla madre ha avvantaggiato la specie umana, facilitando la protezione della prole, che abbisogna di un lungo periodo di cure, e della madre stessa, più fragile in gravidanza e nel puerperio.
Tuttavia la funzione paterna è più culturale che naturale: la madre è certa, il padre deve “riconoscere” la prole come propria. In varie culture, poi, il ruolo del padre è stato enfatizzato, conferendo un assetto patriarcale alla famiglia. Un primato della patrilinearità è rimasto anche oggi: il padre, dando alla prole il proprio cognome, la colloca simbolicamente nel proprio lignaggio. Molte cose, però, sono cambiate negli ultimi decenni e a sfavore della figura del padre.
FATTORI SOCIALI
Le nostre società occidentali hanno superato vari aspetti negativi della famiglia patriarcale, ma è pur vero che si sono manifestati, a partire dal secondo dopoguerra, un crescente appannamento della figura del padre nonché una svalutazione dei significati simbolici collegati alla paternità, quali l’autorità, la forza, la legge.
I motivi di questo trend sono disparati: socioeconomici, culturali, psicologici. Tra i primi emerge la crisi di una tipica funzione paterna, cioè la produzione e la gestione dei beni di famiglia, utili al sostentamento della stessa (ricordo che ‘patrimonio’, secondo l’etimo latino da ‘patris munus’, è il ‘compito del padre’).
Infatti, la variazione della tradizionale divisione del lavoro – le donne in casa, gli uomini fuori casa – ha comportato l’autonomia economica di molte donne, cosicché non di rado è la madre a fornire il reddito maggiore, se non l’unico.
Inoltre, fenomeno non meno importante, è in corso una generale femminilizzazione di lavori già a prevalenza maschile, dall’insegnamento (i docenti maschi sono scomparsi dalla scuola primaria) alle attività libero-professionali (le laureande in Medicina sono più numerose dei maschi), fino all’accesso ad attività prima ritenute per soli uomini (Forze Armate, incarichi politici).
Di contro, quanti maschi desiderano fare il colf, il baby-sitter o il badante? Dunque, non è sul piano socioeconomico che è rintracciabile una specificità della funzione paterno-maschile.
Altri fattori critici provengono dalla cultura diffusa nella nostra società e, correlativamente, dai valori perseguiti all’interno delle famiglie. Funzioni ritenute comunemente di pertinenza paterna, come l’imposizione di norme e limiti, l’educazione al duro impegno per la realizzazione di sé, sembrano difficili da esercitare in una società in cui crescono le aspirazioni all’immediato benessere consumistico, al facile successo individuale quando non individualistico.
In siffatto contesto si vorrebbe avere e dare ai figli tutto e subito, piuttosto che allenarli alla meritata e progressiva conquista. Spesso sono figli unici, lusingati da genitori e nonni circa un radioso avvenire, piuttosto che avviati al perseguimento di valori di rilevanza sociale: diventa così prioritario assecondarli e coltivarne le ambizioni narcisistiche.
La naturale benevolenza del genitore rischia di scadere in permissività, e la doverosa comprensione in giustificazione anche di comportamenti discutibili. Ma da queste tendenze, che vedono la collusione di padri e madri, sortiranno adolescenti e poi adulti meno conflittuali o più fragili?
CONTRIBUTI PSICOLOGICI
La parità fra donne e uomini nelle attività socioeconomiche è solo un aspetto della generale tendenza odierna a parificare i ruoli e i comportamenti di donne e uomini. Pertanto padri che fungono per necessità o per vocazione da “mammi”, occupandosi della casa e della cura dei piccoli, non sono una rarità.
Su questa falsariga vi è chi arriva a ipotizzare, anche dietro la spinta di talune correnti femministe, che le funzioni genitoriali siano del tutto interscambiabili: fatto salvo il diverso ruolo nella procreazione, tutte le altre funzioni genitoriali sarebbero esercitabili indifferentemente e con pari efficacia dalla madre e dal padre.
E stante il dato di fatto che nell’infanzia è ampiamente preminente il rapporto di cura da parte di un caregiver femminile, allora ai padri non resterebbe che esercitare una funzione di doppione di quella femminile e materna, il “mammo” appunto? In altri termini, avendo perso di importanza le funzioni paterne ereditate dalla filogenesi (protezione della madre e della prole) e dalla tradizione (fonte di sostentamento per la famiglia), quali possono essere, ammesso che ci siano ancora, le funzioni tipicamente paterne?
Va riconosciuto che all’incertezza odierna circa la specificità del ruolo paterno ha contribuito una parte consistente della psicologia dello sviluppo. Dal secondo dopoguerra in poi una schiera di importanti psicologi e pediatri di lingua inglese, a partire da Winnicott, Spitz, Bowlby, ha insistito sul carattere decisivo, ai fini della formazione della personalità, del rapporto in età infantile con la figura materna, specialmente nel primo anno di vita.
Questa insistenza ha finito con il lasciar pensare che il padre non abbia che un ruolo di appoggio e di sostegno alla compagna e madre.
In controtendenza rispetto a questi orientamenti, la scuola francese di Jacques Lacan ha evidenziato più di ogni altra il carattere strutturale della funzione del padre: “il-Nome-del Padre”, per sottolineare l’aspetto simbolico di questa funzione. In difetto, insorgono gravi patologie. Detta funzione consiste nel disarticolare la relazione tra madre e bambino/a – che tenderebbe di per sé a protrarre una simbiosi ben oltre la rottura del cordone ombelicale – per richiamare di contro ai due una realtà terza, cioè il mondo esterno, la società.
A tal fine occorre anzitutto che il padre si presenti come polo attrattivo della donna, la quale non è solo madre ma anche femmina, e dunque non dovrebbe esaurire il proprio desiderio nella relazione con il figlio.
In questa prospettiva viene sottolineata la funzione paterna, e non già la presenza di un padre pur che sia: è osservazione comune come alcuni padri, benché fisicamente presenti, siano delle nullità quanto a esercizio di funzioni genitoriali; d’altro canto, seppur in condizioni più difficili, madri single o vedove intelligenti sanno districarsi dal rapporto simbiotico e possessivo col figlio/a, incoraggiandone l’autonomia e le relazioni con il mondo esterno. Ma le posizioni lacaniane sono criticabili per la carenza di verifiche empiriche.
I DISCUTIBILI RISULTATI DELLE RICERCHE EMPIRICHE
Le ricerche recenti sulle “nuove famiglie” sembrano comportare passi indietro rispetto all’affermazione di uno specifico ruolo paterno. Si tratta principalmente delle famiglie costituite da madri single, da coppie omosessuali con prole, da coppie eterosessuali con prole avuta da fecondazione eterologa. Ebbene, le ricerche su queste famiglie hanno il pregio di poter studiare le funzioni genitoriali separatamente dalla procreazione, la quale nei suddetti casi avviene al di fuori della coppia genitoriale (come, del resto, già nelle adozioni da parte di coppie eterosessuali).
Si è potuto così vedere, tra l’altro, che cosa accade quando nella famiglia manca il padre biologico. Le comparazioni tra padri nelle coppie eterosessuali e madri sociali o co-madri nelle coppie lesbiche, e tra madri single e madri in coppie lesbiche, hanno portato a risultati piuttosto sorprendenti.
La maggior parte delle ricerche, ancorché non tutte, arriva a concludere che ai fini del sano sviluppo dei figli è sufficiente il buon rapporto affettivo e di cura della coppia genitoriale, a prescindere dal fatto che i genitori siano di sesso diverso o dello stesso sesso, che siano genitori biologici o soltanto “sociali”.
Sono stati invece rilevati disturbi nella prole di famiglie formate da madri single, ma deriverebbero più dalle condizioni economiche tendenzialmente precarie di queste famiglie, che dall’assenza di un partner, maschile o femminile che sia.
Dunque, la presenza di un padre non sarebbe indispensabile.
Tuttavia, a ben vedere, queste ricerche manifestano un limite conseguente alle concezioni che riducono le funzioni genitoriali sostanzialmente alle capacità di cura, di accudimento, di partecipazione empatica: in tali funzioni mediamente eccellono le donne e le madri. Si trascura invece di valutare le non meno genitoriali capacità di dar regole e porre limiti, in cui in genere i padri hanno punteggi superiori. Insomma, come già per molti studiosi della prima infanzia, le funzioni genitoriali appaiono ridotte a funzioni comunemente ritenute di preminenza materno-femminile.
NON BASTANO LE MADRI?
Al di là delle controversie sulle suddette ricerche, comunemente si osservano attitudini e comportamenti differenti tra madri e padri, quale che sia la loro origine. Le madri appaiono mediamente più sensibili ai bisogni dei figli, piccoli e grandi che siano (guai a farli soffrire!), attente ad evitar loro rischi e pericoli, più partecipi alle loro emozioni; i padri, mediamente più disposti a fornire le frustrazioni maturative, a differire il soddisfacimento dei desideri così da temprare i figli al rapporto con un mondo esterno non sempre benevolo, a spingerli al progetto intraprendente.
Sono temi su cui insiste l’analista junghiano Zoja, che rimpiange la «scomparsa del padre» nella nostra società, facendosi forte delle concezioni mitologiche del Maschile e del Femminile, del Padre e della Madre affermatesi nell’Occidente.
In ogni caso, se si riconosce che esistono attitudini genitoriali tipicamente maschili, forse che possono essere esercitate altrettanto bene dalle madri? In particolare, cosa dire dell’educazione al comportamento conforme al proprio genere, se al figlio maschio manca il modello rappresentato da una figura genitoriale maschile?
La psicologia dello sviluppo insegna che in ciascuno, donna o uomo, esistono, più o meno sviluppati, pure tratti identitari e attitudini comportamentali tipici dell’altro sesso: nessuno è al cento per cento o maschio o femmina. Ebbene, questa rilevazione ha consentito di affermare che ciascun membro di una coppia genitoriale può svolgere in qualche misura, in base alle proprie caratteristiche di personalità, anche ruoli tipici del genitore dell’altro sesso.
Tuttavia, pur ammettendo che una madre possa avere competenze per svolgere anche funzioni tipicamente paterne, è improbabile che esse siano esercitate, a parità di altre condizioni, altrettanto agevolmente e con pari performance rispetto a un padre in carne ed ossa. Inoltre il gioco dei ruoli complementari di madre e padre, se impersonati da sessi diversi, facilita nei figli la percezione delle differenze e dunque l’acquisizione di un’identità e di un comportamento di genere coerenti con il proprio sesso.
Riferimenti bibliografici
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Questo articolo è di ed è presente nel numero 266 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui