La famiglia costituita da genitori dello stesso sesso rientra nel tradizionale modello “nucleare”, padre-madre-figlio, oppure ne rappresenta una messa in crisi? Ecco alcune riflessioni.
La famiglia tradizionale “nucleare”, costituita cioè dalla triade padre-madre-figlio/i, resta tutto sommato prevalente nella nostra società. Ed è caratterizzata – oltre che da monogamia della coppia, da durevolezza del rapporto perlomeno nelle intenzioni iniziali, da apertura alla generatività di coppia e all’allevamento dei figli – dal carattere mononucleare (a differenza di famiglie patriarcali plurinucleari di altra epoca), dalla coabitazione neolocale (ovvero separata e spesso lontana dall’abitazione delle famiglie di provenienza) e dalla legittima trasmissione ai figli dei beni della coppia.
Ebbene, è da chiedersi se la famiglia omogenitoriale, virtualmente riconosciuta pure in Italia a seguito della legge sulle unioni civili, possa rientrare sotto il profilo psicologico e sociale nel modello di famiglia nucleare appena ricordato, o se invece ne configuri una messa in crisi – anche al netto del carattere eterosessuale della famiglia tradizionale – per additare di contro soluzioni alternative. Ma quanto queste soluzioni sono sostenibili? Occorre procedere con ordine, sgombrando anzitutto il campo da passionalità ispirate a pur legittime opzioni etiche e antropologiche, le une favorevoli, le altre avverse all’omogenitorialità.
IL DESTINO DEI FIGLI OMOGENITORIALI
Anche laddove è superata l’avversione all’omosessualità, le principali riserve si appuntano sul destino dei figli nati o cresciuti entro coppie omogenitoriali. Una mole di ricerche empirico-statistiche è stata compiuta specie in ambiente anglosassone, e ora anche italiano, all’Università La Sapienza di Roma, lavorando sui principali parametri che descrivono lo sviluppo psico-sociale del bambino e dell’adolescente: esse hanno mostrato che nei figli cresciuti da coppie omosessuali non vi sarebbero deficit o disturbi di rilievo rispetto ai figli cresciuti in famiglie eterogenitoriali, a parità di altre condizioni. I pochi studi che hanno portato risultati in senso opposto non dovrebbero inficiare la conclusione formulata alla luce di quelle ricerche e accolta dalle principali associazioni di psicologi, psichiatri e pediatri dei Paesi occidentali: non vi sono prove che coppie lesbiche o gay siano di per sé inadatte come genitori (APA, 2005).
Questa conclusione sfata pregiudizi eccessivi legati all’omosessualità dei genitori, suonando, a ben vedere, nel senso che coppie omosessuali possono essere buoni genitori. Ma dalla stessa non si può trarre la conseguenza che omogenitorialità ed eterogenitorialità siano equivalenti o indifferenti sotto ogni profilo.
In effetti, sono stati rilevati numerosi limiti metodologici, a volte riconosciuti dagli stessi autori di quelle ricerche, a partire dai criteri usati per la scelta dei campioni da studiare (Sullins, 2018): essi obbligano ad essere cauti sulla generalizzabilità ai grandi numeri dei risultati ottenuti.
Occorre usare campioni davvero casuali, ampi e appropriati, per un arco di sviluppo che comprenda l’età adulta (oggi le ricerche riguardano quasi tutte bambini e adolescenti), tanto per le coppie lesbiche – le più diffuse e studiate – quanto per le coppie gay non omologabili alle prime, infine a effettiva parità di condizioni (i figli di coppie omogenitoriali avuti superando grosse difficoltà sono particolarmente desiderati e dunque attentamente curati al confronto con la media dei figli eterogenitoriali). Per vari aspetti di queste complesse ricerche solo il tempo potrà dare risposte definitive.
Appurato che anche coppie omosessuali possono crescere figli sani, l’attenzione si è poi centrata sul come, cioè sul funzionamento di questo tipo di famiglie. La conclusione di ricercatori che hanno portato risultati favorevoli all’omogenitorialità (Golombok, 2015) rileva ciò che sarebbe predittivo di un sano sviluppo della prole: non già la struttura etero- od omogenitoriale o altra della famiglia, bensì il buon funzionamento della stessa, cioè la soddisfacente qualità delle relazioni entro la coppia genitoriale, il basso livello di stress, la qualità delle relazioni di cura e di affetto nei confronti dei figli.
Ma, ciò ammesso (ed è evidente quanto dannose per i figli siano le stesse coppie eterogenitoriali se trascuranti e litigiose), non se ne può dedurre che la diversa struttura sia indifferente al fine di conseguire un buon funzionamento della famiglia: è da appurare se l’una struttura faciliti un buon funzionamento e un’altra lo renda invece più difficile. Nel nostro contesto socioeconomico sembra che la famiglia omogenitoriale per il suo buon funzionamento debba affrontare difficoltà supplementari, intrinseche alla sua struttura, cioè non dipendenti da manifeste o latenti omofobie del contesto sociale.
DIFFICOLTÀ STRUTTURALI
La più vistosa difficoltà riguarda la dissociazione tra genitorialità e generatività per almeno un membro della coppia. Mi riferisco al caso più emblematico, quello della coppia omosessuale che per avere figli sia ricorsa a una delle varie forme di fecondazione eterologa (principalmente inseminazione da donazione di sperma per la lesbica, fecondazione in vitro di ovulo e gestazione surrogata per il gay).
Dal momento del concepimento e per tutta la crescita del figlio/a aleggia in famiglia, a dirla con un ossimoro, la presenza di un “terzo assente”, l’altro genitore biologico. Lo stesso accade per la coppia eterosessuale sterile che si sia avvalsa della fecondazione eterologa; ma nella coppia omogenitoriale l’assenza del terzo è di palpabile evidenza, inoltre vi è la complicazione data dall’ovvia mancanza del genitore d’altro sesso.
A quest’altra difficoltà strutturale si è risposto proponendo un’ulteriore dissociazione, tra sesso e funzione genitoriale: le differenziate funzioni paterna e materna sarebbero di matrice culturale piuttosto che correlate al sesso, sì che ciascun genitore, a prescindere dal proprio sesso, avrebbe potenzialità per svolgere pure funzioni tipiche del genitore d’altro sesso.
Questa tesi coinvolge dibattutissime questioni sulla natura delle differenze di genere tra donne e uomini. Ai fini del presente articolo osservo solo che la percezione delle differenze di genere da parte dei figli, come dunque l’acquisizione dell’identità e del comportamento di genere, è facilitata se, a parità di altre condizioni, le funzioni materna e paterna sono impersonate da genitori di sesso diverso.
Ma è la questione del terzo assente ciò che mette maggiormente in crisi l’assetto nucleare. Questo terzo, infatti, contrasta con l’esclusività sia del rapporto di coppia sia dell’appartenenza “gelosa” dei figli alla coppia, caratteri tipici della famiglia nucleare nel contesto socioculturale occidentale.
Al momento della fecondazione e/o della gestazione sorgono interrogativi sulla sua identità, motivi di curiosità se non di ansia, poi, quando il terzo compare in certe fattezze fisiche e temperamentali della prole. Il rapporto con il donatore o la donatrice è caratterizzato, a un estremo, da angoscia persecutoria nella misura in cui se ne respinge ogni segno della presenza e, all’altro estremo, dal mantenimento di rapporti amichevoli anche dopo la nascita del figlio/a (Carone, 2016).
Importanti sono le “narrazioni” che la coppia riesce a costruirsi sulla figura e la funzione di questo terzo. Nelle coppie lesbiche rispetto alle coppie gay si notano più di frequente resistenze a conoscere il genitore biologico, per timore che prima o poi possa avanzare rivendicazioni, o anche perché viene sentito come un intruso rispetto al progetto esclusivo di coppia. Nel caso dei gay, più ricorrente è un atteggiamento di gratitudine verso la gestante per il peso sopportato (Carone, 2016).
Non meno rilevanti sono i problemi che questo terzo suscita nella prole, tra evitamenti o, al contrario, desideri di mettersi in contatto scoraggiati o talora favoriti dalla coppia omogenitoriale. La tendenza odierna, recepita in più legislazioni, è di favorire la possibilità di conoscere l’altro genitore biologico almeno al conseguimento della maggiore età. È da chiedersi quanto tali facilitazioni consentano effettivamente di colmare il disagio dato da quel vuoto di origine e di continuità generazionale riscontrabile nei figli omogenitoriali allorché, a partire specialmente dall’adolescenza, si pongono domande sulla propria identità (Goldberg, 2010).
Se gli interrogativi irrisolti non arrivano sino a favorire patologie di stampo depressivo nell’età adulta (e studi in tema sono ad oggi prematuri), è verosimile che determinino però inquietudini esistenziali in parte simili a quelle riscontrabili nei soggetti adottati alla nascita.
Un’ulteriore difficoltà strutturale dipende dal facile insorgere di fenomeni di gelosia, rilevati soprattutto in coppie lesbiche: essi derivano dal rapporto asimmetrico con il figlio/a da parte della madre sociale rispetto alla madre di nascita, nonché dal maggior attaccamento dell’infante alla madre di nascita (Goldberg, 2010). Si aggrava, così, il carattere di possessività nei confronti dei figli già presente nella famiglia nucleare tradizionale.
SOLUZIONI PLAUSIBILI?
Come ventilato da ricercatori favorevoli all’omogenitorialità, le difficoltà che la dissociazione tra la coppia genitoriale e l’altro genitore biologico comporta sarebbero superate rivedendo il chiuso carattere nucleare della famiglia, etero- od omogenitoriale che sia. Sarebbe cioè auspicabile un allargamento della famiglia a rapporti multilaterali, magari in qualche modo regolamentati, conferendo al terzo extrafamiliare ruoli paragenitoriali simili a quello di zia/o, consentendole/gli qualche relazione affettiva con la prole.
Nel quadro della variegata tipologia di famiglie attuali (ricomposte con o senza figli nati da precedenti relazioni, formate da single, adottive ecc.), l’isolata famiglia nucleare verrebbe a risolversi in una “costellazione affettiva” dai confini non rigidamente predefiniti, attuando un passaggio dalla parentela in senso stretto a una rete relazionale allargata (Bertone, 2009; Parisi, 2013).
Del resto, le famiglie eterosessuali ricomposte con figli provenienti da precedenti relazioni di uno o di entrambi i partner, in crescita significativa anche in Italia, offrirebbero esempi di famiglie allargate: dissociando coniugalità e genitorialità biologica, operano una sorta di co-genitorialità.
Ma quanto è sostenibile un assetto di questo tipo, che segna un mutamento radicale della nozione e della pratica di famiglia? Nel nostro contesto socio-economico-culturale le relazioni familiari multilaterali, che comportino cioè l’esercizio di funzioni parentali al di fuori della coppia generativo-genitoriale, richiedono straordinaria maturità psicologica ai soggetti in causa.
Infatti, se fenomeni di gelosia, di incompatibilità di carattere, di tensioni con e per i figli biologici o non, sono già fattori di criticità entro la famiglia nucleare dei nostri giorni, a maggior ragione lo sono in un contesto di intricate relazioni multiple di famiglia allargata, dando luogo tendenzialmente a seri conflitti affettivi, educativi, economico-patrimoniali.
Lo attesta la stessa famiglia ricomposta eterosessuale, soggetta a divorzio ben più della famiglia nucleare di prima costituzione, anche per via della sua maggiore complessità strutturale (Barbagli, 1990). In ogni caso, l’auspicato allargamento appare una virtualità piuttosto teorica: di fatto sono poche, per le resistenze suddette, le famiglie omogenitoriali che intrattengono con l’altro genitore biologico e la sua famiglia rapporti duraturi e inoltre significativi per la prole: rapporti occasionali non permettono di parlare propriamente di “famiglia allargata”.
IN CONCLUSIONE
La dissociazione di generatività e genitorialità porta dunque a una situazione di difficoltà su due lati. Per il lato interno alla famiglia, è dato assistere all’insufficienza della coppia, tanto maggiore quanto più essa riproduce un modello di chiusa famiglia nucleare, dacché richiama strutturalmente un terzo ad essa estraneo. Per il lato esterno, forme di famiglia allargata se non plurinucleare, invocabili a soluzione della suddetta criticità, sarebbero affatto precarie, per ragioni psicologiche e sociologiche contestuali alla odierna pratica di famiglia occidentale. E dove sono state teorizzate forme effettivamente alternative di famiglia (comuni di vario tipo e di varia ideologia, kibbutz dei pionieri ebrei della prima ora) le loro realizzazioni si sono rivelate di breve durata. Resta dunque un improbo compito il superamento di questa difficoltà strutturale: ai fini di un buon funzionamento della famiglia, essa richiede sforzi supplementari nelle coppie ricorse a fecondazione eterologa e più ancora in quelle a base omogenitoriale.
Riferimenti bibliografici
APA - American Psychological Association (Ed., 2005), Lesbian and gay parenting, www.apa.org/pi/lgbt/
resources/parenting-full.pdf
Barbagli M. (1990), Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Il Mulino, Bologna.
Bertone C. (2009), «Una sfida a quale famiglia? Comprendere i mutamenti familiari attraverso le esperienze dei genitori non eterosessuali». In C. Cavina, D. Danna (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Franco Angeli, Milano, pp. 89-101.
Carone N. (2016), In origine è il dono. Donatori e portatrici nell’immaginario delle famiglie omogenitoriali, Il Saggiatore, Milano.
Goldberg A. E. (2010), Omogenitorialità. Famiglie con genitori gay e lesbiche: studi e ricerche (trad. it.), Erickson, Trento, 2015.
Golombok S. (2015), Famiglie moderne. Genitori e figli nelle nuove forme di famiglia (trad. it.), EDRA, Milano, 2016.
Parisi R. (2013), «Eterosessualità in briciole. Le famiglie omogenitoriali e la fabbrica della parentela». In F. Corbisiero (a cura di), Comunità omosessuali. Le scienze sociali sulla popolazione LGBT, Franco Angeli, Milano, pp. 79-95.
Sullins D. P. (2018), «Developmental outcomes for children of same-sex parents: What we know, and what we do not know». In E. Canzi, Same-sex parenting, filiation and related topics: A critical research review, Vita e Pensiero, Milano, pp. 79-101.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 268 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui