I primi giorni di un nuovo lavoro
I primi giorni di un nuovo lavoro sono molto importanti. Il primo passo per ambientarsi è cercare di mostrarsi come una persona gradevole ed efficace.
L'abbiamo fatto migliaia di volte, talvolta con buoni, talaltra con cattivi risultati. Immaginiamoci dunque di inserirci in un nuovo ambiente di lavoro, la prima questione a cui dobbiamo rispondere è indubbiamente: come dovrò comportarmi? In altri termini, affrontare qualcosa di nuovo è innanzitutto un problema di adeguatezza, di adozione del comportamento più adatto, di fare la cosa giusta.
Come farò a rispondere a questa domanda? Andrò a cercare delle informazioni utili. In parte tali informazioni saranno già possedute, appartengono alle esperienze passate, alle conoscenze acquisite direttamente o indirettamente e ai giudizi formulati al riguardo. Nel caso in cui la novità concerna il lavoro, quelle saranno probabilmente legate a precedenti esperienze lavorative, mie o di altri in rapporto con me, familiari, amici, conoscenti.
In parte le conoscenze che andrò a considerare saranno legate a ciò che posso conoscere dell’ambiente in cui mi vado a inserire, o meglio a ciò che già conosco (o penso di conoscere) e a ciò che posso conoscere ora. Nel caso del lavoro, l’ambiente sarà sia fisico che sociale, sarà fatto di luoghi, arredi, dispsizioni, persone, ma anche di ruoli, stili, gerarchie ecc.
In ogni caso, si tratta di una grandissima quantità di informazioni che dovrò elaborare efficacemente e in modo efficiente, al fine di individuare e attuare i comportamenti migliori, quelli cioè in grado di permettermi di inserirmi nel modo migliore. Ricordiamo Mark Twain: «Il segreto per farsi strada è di iniziare».
COSA CI ACCADE ALL’INIZIO DI UNA NOVITÀ
Per svolgere questo importante compito cognitivo ciascuno di noi mette in campo delle euristiche, cioè vere e proprie scorciatoie di pensiero che hanno innanzitutto lo scopo di farci gestire una gran mole di dati in poco tempo, così da permetterci di comportarci in modo fluido e, si spera, adeguato in ambienti e di fronte a problemi nuovi.
La psicologia cognitiva ha descritto molte diverse euristiche che entrano in gioco nella nostra capacità di predire certi accadimenti, per esempio la probabilità che una persona che mostra un certo carattere sia impegnata in un determinato lavoro.
Si tratta, quindi, di strumenti cognitivi utilissimi che ci consentono di prevedere ciò che accadrà e pertanto di informare in base a tale previsione il nostro comportamento.
Il problema delle euristiche, tuttavia, è che talvolta, per consentire risparmio energetico nella cognizione, ci portano a sbagliare. In fondo, si tratta pur sempre di semplificazioni della realtà, e la realtà è tutt’altro che semplice. La realtà lavorativa, poi, è ancora più complessa, sia per le sue dinamiche interne che coinvolgono parti profonde di noi – dalle dinamiche motivazionali ai meccanismi identitari – sia per quelle esterne, legate alle buone o cattive relazioni che ciascuno di noi vive.
Questa dinamica può portare a sviluppare “profezie” che nella relazione “si auto-avverano”: osservando il nuovo arrivato in un luogo di lavoro, interpreteremo le informazioni che ci invia – volontariamente, ma anche in maniera inconsapevole – e tenderemo a comportarci nei suoi confronti sulla base di tale interpretazione; per parte sua, ovviamente, anch’egli “leggerà” i nostri comportamenti, interpretandoli in modo valoriale, come apprezzamento o come rifiuto, e ciò porterà ad assumere nuovi comportamenti in una sequenza di eventi relazionali in cui i diversi attori rischiano di invischiarsi.
È importante, dunque, tener presente come funziona il nostro processo di cognizione, sia per evitare di mandare messaggi ambigui o addirittura conflittuali (stiamo entrando in un mondo nuovo e sappiamo bene quanto contino le prime impressioni, cerchiamo quindi di facilitare uno sguardo positivo nei nostri confronti che aiuterà a costruire un ambiente relazionale meno faticoso nel quale inserirsi) sia per evitare di fissarci su impressioni prevalentemente frutto di stereotipi o figlie dei nostri pregiudizi. Anche perché l’uomo può sviluppare una modalità migliore di conoscenza. I processi euristici sono una risorsa, a patto che impariamo a utilizzarli in termini non esclusivi.
Da questo punto di vista sono numerosi gli studi che evidenziano come i processi di conoscenza possano procedere secondo una direzione top-down, che partendo dallo schema già posseduto lo applica alla realtà esterna, ma anche bottom-up – atta a permettere, partendo dai dati, di costruire un nuovo modello –, e per le persone è possibile invertire la direzione dei flussi cognitivi per rispondere al meglio alle esigenze di comprensione della realtà.
Per cui nel momento in cui affrontiamo un nuovo lavoro è importante restare il più possibile aperti alla realtà, osservando, evitando di esprimere giudizi immediati, cercando di cogliere non solo le rassicuranti emergenze di ciò che già sappiamo, ma anche i punti di novità. Insomma, è importante dimostrare un atteggiamento di curiosità positiva che impedisca al già saputo di prevalere.
NON È SOLO QUESTIONE DI CERVELLO
Ma anche di cuore e di “pancia”. Proviamo a fare un passaggio ulteriore. Fin qui abbiamo affrontato l’inizio da un punto di vista cognitivo, ma evidentemente le questioni non sono tutte qui. Non abbiamo solo un cervello che raccoglie informazioni, le immagazzina, le elabora e le restituisce sotto forma di comportamenti – in questo gioco entrano anche emozioni e affetti.
Tutto il percorso che ci ha portato fin qui, in questa nuova azienda o in questo nuovo ruolo, ha ingaggiato non solo le nostre capacità ma anche i nostri sentimenti. Ogni cambiamento (dallo studio al lavoro, da un’azienda a un’altra, da un vecchio ruolo a uno nuovo, dalla disoccupazione al reimpiego, solo per citare alcune possibili “novità” in ambito lavorativo) porta con sé un faticoso lavoro emotivo. «Chi lascia la vecchia strada per la nuova, sa quel che perde...»: la scelta, nell’adagio, del verbo “perdere” ci dice appunto di una fatica intrinseca nel cambiare, legata all’ansia del confronto con l’ignoto, al timore di perdere qualcosa in questo incontro.
Anche in tal caso l’ancorarsi a ciò che già si conosce, spesso svolge una funzione difensiva nei confronti dell’ansia, grande o piccola, che inevitabilmente ci assale quando ci troviamo in procinto di iniziare. Solo che così rischiamo di innescare un circolo vizioso, per cui le nostre energie emotive vengono impegnate a ricercare ciò su cui ci pare di poter esercitare un controllo e a escludere il punto di novità che potrebbe aprirci una nuova possibilità. Così facendo, la possibilità psicologica rappresentata dal nuovo inizio viene un po’ alla volta a ridursi, portandoci sulla china di un atteggiamento depressivo che ridurrà a sua volta le energie disponibili.
Può aiutarci, a questo punto, introdurre la nozione di self-empowerment, espressione statunitense che frequentemente traduciamo con “sentimento di potere”: in altri termini, il sentirsi dotati di possibilità o l’aver aperto una nuova possibilità. Anni di ricerca sul campo ci hanno dimostrato che il self-empowerment è un ingrediente centrale tanto nei processi di cambiamento quanto nell’inserimento efficace in un nuovo ruolo, in un nuovo ambiente, in nuove relazioni.
I primi giorni di un nuovo lavoro sono essenziali nel processo di apertura di una nuova possibilità: un nuovo lavoro rappresenta sempre oggettivamente una nuova possibilità, però non è detto che questa possibilità sia soggettivamente sentita come tale. Il punto di partenza nel processo di self-empowerment è lo spostamento personale da una posizione centrata sul bisogno, sulla mancanza, a una centrata sul desiderio. È innegabile che nel contesto lavorativo bisogno e desiderio siano entrambi rappresentati, solo che spesso il primo prevale sul secondo, per cui l’entusiasmo desiderante dell’inizio lascia ben presto spazio al prevalere dei bisogni e delle mancanze, dei lamenti e della sfiducia.
È importante, invece, che noi lasciamo lavorare il desiderio: di conoscere, di comprendere, di entrare in relazione, di essere d’aiuto. Se nei nostri primi giorni faremo emergere questo atteggiamento, difficilmente saremo percepiti dai nuovi colleghi e dal capo in modo negativo: il desiderio è sempre alla base della generazione di valore, anche – o forse soprattutto – nel lavoro.
In tal modo, inoltre, andremo a migliorare il nostro benessere e, con esso, il benessere della comunità organizzativa in cui ci stiamo inserendo. Il benessere non è la risultante della riduzione o dell’eliminazione (ammesso che siano possibili) dei fattori critici, delle difficoltà, delle infinite negatività presenti in ogni ambiente di lavoro: il benessere lavorativo origina dal sentirsi inseriti in una rete di relazioni positive, dal sentirsi competenti ed efficaci, dal comprendere il senso del proprio lavoro, la sua utilità. Impegniamoci, dunque, a sviluppare il nostro sentimento di potere, a costruire buone relazioni, a sviluppare competenze utili, a orientarci ai risultati nel nostro lavoro. Ciò porterà chi ci è vicino a giudicarci portatori di un contributo positivo, utile a trasformare lo stress e la fatica del lavoro in una prospettiva salutogenica, invece di viverli come fonti di inevitabile malessere.
5 COSE DA SAPERE
Adesso proveremo a inserire le dinamiche cognitive e affettive dell’avvio descritte nello specifico del contesto in cui ci andiamo a muovere. Se molte delle cose dette possono, in fondo, riguardare ogni cambiamento e ogni inizio, ci sono alcune cose proprie dell’ambiente in cui cambiamento e inizio si collocano. Ecco perché è importante, alla vigilia dell’avvio di un nuovo lavoro, ri-conoscerne alcune che potranno facilitarci il compito di muoverci al meglio al suo interno.
Potrà sembrare una banalità, ma al primo posto delle nostre 5 cose da sapere collochiamo proprio il lavoro: non parliamo di un inizio qualsiasi, ma dell’inizio di un nuovo lavoro. È importante ricordare che il lavoro non è un terreno qualsiasi, si tratta di un ambito particolare, che investe aspetti profondi e rilevanti della persona. Il lavoro è certamente fatto di regole e obblighi, da comprendere velocemente per essere percepiti come adeguati, ma prima di tutto è un luogo di costruzione. Questa viene prima, le altre cose solo dopo: ricordarsi di questa profonda verità ci permetterà di assumere un atteggiamento positivo di costruzione, e non solo di adempimento. Così saremo visti come collaboratori preziosi, prima che dipendenti per lo più interessati al posto oppure potenziali competitori da cui difendersi.
La seconda cosa da sapere è che il lavoro di oggi non è lo stesso di quello dei nostri genitori. Il lavoro mio non è lo stesso di quello del mio amico o conoscente o del mio partner. Il lavoro che andiamo a cominciare oggi, con ogni probabilità si colloca in un percorso che ci porterà a incontrarne molti altri entro un arco di vita lavorativa che si sta facendo sempre più ampio. Per cui, attenti alle esperienze precedenti, proprie o altrui: non è detto che portino una reale e migliore conoscenza del contesto e del percorso in cui ci andiamo a inserire.
Questo ci conduce alla terza cosa da sapere (e da tenere a mente). Si tratta di un nuovo lavoro: non importa se siete già esperti e se vi hanno assunto proprio per la vostra esperienza, ci saranno certamente cose nuove da imparare e anche quelle che già sapete dovranno essere adattate al nuovo contesto.
Così dobbiamo sapere anche una quarta cosa: nel vostro nuovo lavoro sono certamente importanti le competenze di contenuto, ma non solo quelle. Da tempo la ricerca psicologica ha posto l’accento sulle cosiddette “competenze trasversali”, quelle che non riguardano specifici contenuti tecnici ma che piuttosto ci mettono in grado di utilizzare al meglio i contenuti che possediamo, nelle diverse circostanze di vita. Fra tutte, oggi certamente la capacità di imparare risulta fondamentale, dunque attenzione a non intraprendere il nuovo lavoro stando più attenti a ciò che sapete, rispetto a ciò che non sapete.
Parlando di atteggiamenti, la quinta cosa da sapere è che nel vostro nuovo lavoro hanno già iniziato a valutarvi e che la prima impressione conta parecchio. Tutti valutiamo e siamo valutati, in tempo reale, ma attenzione: l’ansia da prestazione non aiuta in nessun modo. È importante ricordare che vi hanno assunto perché la valutazione su di voi era positiva, se ci fossero state troppe perplessità non vi trovereste lì, a iniziare questo nuovo lavoro.
Usiamo dunque i primi giorni per osservare, per conoscere, per imparare; molto meglio, questo, che arrivare come se sapessimo già tutto, spingendo (o sgomitando) per sistemarci. Proviamo ora a concludere, individuando taluni comportamenti virtuosi che possono aiutarci nel nostro nuovo inizio.
4 COSE DA FARE (E 4 DA NON FARE)
In effetti, le 5 cose suddette portano con sé una serie di conseguenze pratiche. È impossibile qui rintracciarle tutte, concludiamo quindi provando a dare qualche suggerimento concreto sulle cose da fare, e da evitare, per aumentare la probabilità che il nuovo lavoro si riveli un vero successo.
1. Innanzitutto ricordatevi di presentarvi personalmente ai colleghi. Certamente il vostro capo avrà già provveduto a introdurvi, così come è assai probabile che i vostri nuovi colleghi abbiano già cercato informazioni su di voi (magari sui social: prudenza a ciò che scrivete e alle immagini che postate!), ma non diamolo per scontato. State entrando in casa d’altri, diventerà la vostra, ma ci vorrà qualche tempo, e nel frattempo è utile mostrare rispetto verso chi c’era già.
Così, una cosa da evitare è certamente ostentare una familiarità che almeno all’inizio non può esserci davvero, o scadere in un fare da compagnoni che potrebbe farvi giudicare inopportuno: che siano i vostri colleghi a mostrarvi familiarità e accoglienza. Da parte vostra, datevi tempo per avviare buone relazioni: non rifiutate inviti a pranzo, non isolatevi, mostrate interesse.
2. Quindi è importante (oltre che utile) osservare e fare domande. Evitate di ostentare le vostre conoscenze e competenze o di riferire tutto all’esperienza pregressa: un signor “so tutto io” è fastidioso e porterà tutti a guardarvi nell’attesa di un passo falso. Ricordiamo l’importanza di un atteggiamento aperto alla novità, magari anche prendendo qualche appunto relativo alle cose che stiamo imparando.
3. Fa parte di un apprezzabile entrare in punta di piedi anche il rispettare i tempi e gli spazi indicati. Per questo sono estremamente importanti la puntualità e il rispetto delle indicazioni che vengono date. È inoltre molto utile cercare di capire quali siano le regole non dette del nuovo ambiente di lavoro; ma per questo ci vorrà un po’ di tempo, dunque per ora procediamo a tenere in ordine il nostro posto di lavoro e i nostri strumenti: per il disordine “creativo” ci sarà tempo dopo aver capito se sia effettivamente una modalità apprezzata o almeno tollerata.
4. Infine, respira e prenditi un po’ di tempo! Nessuno si aspetta che siamo immediatamente allineati e pronti, ci si aspetta però di vederci impegnati in un percorso di inserimento efficace. Per questo, più che agitarti per far vedere di essere pronto, è meglio guardare e imparare. Ricorda che tuttavia, per imparare al meglio, troppa ansia è di ostacolo: ci fa concentrare su ciò che già sappiamo e ci porta a trascurare ciò che ci sembra fuori controllo. Impara i nomi dei tuoi colleghi, il loro ruolo e le loro competenze e responsabilità, riprendi gli appunti sui tuoi compiti e senza fretta cerca di formarti una visione d’insieme del luogo in cui ti trovi.
Senza pretese eccessive, spero che queste considerazioni possano aiutare una qualche maggiore consapevolezza, ma anche a vivere in modo più rilassato l’inizio. Anche per questo ho iniziato questo breve itinerario con un pensiero di Mark Twain, e vorrei ora chiudere con una diversa citazione, di un autore con altre caratteristiche, Cesare Pavese. Si tratta di un pensiero forse meno leggero del primo, ma che a mio avviso contiene un auspicio profondamente condivisibile e che vuol essere il mio augurio per un buon cominciare. «L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità – si vorrebbe morire».
Questo articolo è di ed è presente nel numero 265 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui